Il testo di cui parleremo in
questo incontro è 'La signora del gioco', di Luisa Muraro, il
cui sottotitolo recita: 'La caccia alle streghe interpretata dalle
sue vittime'. In effetti è una rielaborazione approfondita del
suo primo libro edito nel 1976. Il primo caso che la Muraro propone
nel testo avviene a Poschiavo, Alpi Retiche, oggi nella Svizzera
Italiana ma al tempo sotto il dominio di due comuni che se ne
contendevano il territorio, Milano e Como. A Caterina Ross il
processo viene redatto secondo la forma tipica con cui si svolgevano
a quel tempo.
Accusata di essere una strega sin da bambina, sia la
nonna che la madre erano state giudicate tali, Caterina viene
processata, in virtù dell'età e del fatto che era il primo processo
viene riconsegnata alla famiglia per rieducarla. Caterina dal padre è
allontanata dal luogo di nascita e mandata in Germania per le
difficoltà che avrebbe incontrato nel suo territorio essendo già
segnata. All'età di trenta anni, siamo nel 1697, non si capisce
perché, fa ritorno al paese nativo, probabilmente alla ricerca di un
marito. La gente comincia a lamentarsi della sua presenza accusandola
di malefici e malocchi vari provocati da lei. Il tribunale, in
questo caso civile, apre una inchiesta e interroga Caterina. Si va
per le spicce e dopo un paio di incontri dedicati a interrogarla
sulla vicenda passata e sulle accuse che le sono mosse al presente,
al terzo incontro viene torturata, se nei primi due rifiuta qualsiasi
responsabilità disconoscendo pure di aver conosciuto sua nonna,
sotto tortura confessa pienamente gli eventi passati e presenti, ma
ritratta nel nuovo interrogatorio senza tortura, poi di nuovo sotto
tortura dice di non ascoltare ciò che aveva detto la volta
precedente, infine senza tortura conferma tutto quanto. La struttura
del processo era dunque così impostata, cioè, le confessioni
sotto tortura e senza dovevano coincidere. Se una condannata alla
fine, quando era portata al rogo, lamentava la sua innocenza la gente
protestava, dunque bisognava che le vittime fossero convinte della
colpevolezza e non contestassero la condanna. La famiglia poteva
decidere di difendere in proprio l'accusata o di avvalersi del
difensore d'ufficio. Va da sé che quando sceglieva questa seconda
opzione lo faceva perché aveva più possibilità di dimostrare
l'innocenza della congiunta. Anche perché nel caso in cui la
processata veniva condannata il suo patrimonio rispondeva delle spese
processuali e veniva confiscato, inoltre, nel caso non fossero
sufficienti i suoi averi, ne dovevano rispondere anche i famigliari.
Il tribunale da parte sua cercava di accelerare e non perdere tempo
proprio per non far lievitare i costi. I costi erano merende e
bevute dei giudici, poi i costi di detenzione dell'imputata e gli
stipendi delle guardie necessarie al servizio di sorveglianza e così
via. I beni erano rappresentati anche da mobili e suppellettili. Ci
sono casi in cui i parenti fanno sparire i letti perché non siano
sequestrati dalle autorità, oppure, in un caso, viene addirittura
sequestrata una botte di vino. Dunque, se c'era qualcosa da difendere
sotto il profilo patrimoniale, allora era più facile che la famiglia
si occupasse dell'imputata in proprio. Le ragioni affettive nella
maggior parte dei casi paiono scarseggiare. Il processo a Caterina
Ross vede l'imputata essere sempre in una posizione vigile e
disponibile, non accusare mai alcuna donna viva, anche sotto tortura.
Protesta la sua innocenza ogni volta che non è torturata, fino alla
fine. Per farla convinta la spogliano nuda e le mettono il camice con
cui venivano torturate e in tal caso conferma, ma quando ormai la
sentenza è redatta protesta di nuovo di essere innocente, di andare
vittima di un dispositivo di cui non riconosce giustizia e verità.
Insomma, quello di Caterina Ross può essere considerato il processo
in cui lucidamente una donna si difende e riesce a mettere in critica
tutto il dispositivo messo in atto, determinando così
l'approssimarsi della fine dei processi alle streghe. Mostra tutta la
sua abilità Caterina quando, ad esempio, risponde al giudice che le
chiede perché fosse stata mandata via dal suo territorio, 'a causa
delle malelingue', oppure quando le chiedono di ricapitolare il
contenuto delle precedenti udienze dice: 'sono stata interrogata su
quelli che mi hanno calunniata'. Caterina se aveva dimenticato le sue
parenti condannate al rogo, madre e nonna, sapeva però perfettamente
la posta in gioco di quel processo, la sua vita. Il fatto è che
Caterina Ross aveva cercato di dimenticare i torti subiti in
precedenza con la morte della madre e della nonna, ma quelli che
l'accusano le fanno tornare in mente tutto e infine le faranno
condividere la stessa sorte, Caterina Ross protesta fino alla fine,
mettendo in rilievo come l'accusa non riesca a giustificare la
sentenza che la manda a morte. Insomma, lei non si fa convinta di
essere una strega. Caterina forse non si rende conto di quanto fosse
scadente la difesa del suo avvocato, quanto tutto fosse già deciso
sin dall'inizio, come non seguissero altro che una serie di formalità
per giungere alla sentenza di condanna privata di qualsiasi ricerca
della verità, qualsiasi cosa essa significhi. Non tutti i processi
erano così, in precedenza le cose erano molto più complesse. Ma
questo è forse uno degli ultimi dispositivi di condanna per
stregheria. Ormai il processo è diventato un involucro vuoto, non ci
credono più le accusate e neanche gli accusatori, l'unico problema è
quello per chi accusa di rimanere nei termini giudiziari senza
correre dei rischi personali, non si temono più le streghe ma i
tribunali. Il processo allora diviene uno sterile meccanismo
suggestivo privo di qualsiasi credibilità. Caterina Ross era legata
alla stregheria solo per colpa dei processi precedenti, in realtà
era una donna totalmente esterna a quelle credenze. Una donna più
moderna di chi la giudicava. Protesterà sino alla fine, il boia
scoprirà che nessuna bolla diabolica era presente nel suo corpo, al
contrario di quanto affermato dal consulente che l'aveva visitata ben
due volte. Il medico locale, dott. Curti, presente al supplizio,
meravigliato vide le proteste della Ross che negò avanti a tutti di
esser strega. 'Il podestà in carica riferisce
al tribunale come Caterina, appresa la sentenza di condanna a morte,
"invece d'esser stata constante,
si sia di nuovo retirata di quanto essa haveva deposto, e detto che,
se essa moriva, moriva innocente e senza colpa. I giudici, doppo
haver sentito, hanno ordinato primieramente che in pena di rais
(fiorini renani) due, quelli che sono
di guardia non possino lasciar venire nessuno a parlar con l'avanti
scritta Catterina, come ancora la Madalena e nell'istessa pena
incorre ancora li servitori. Però li religiosi, tanto cattolici
quanto il signor Ministro possono parlare con le condannate. Più
oltre ancora hanno dichiarato che confermano la sentenza proferta
contro Catterina, che habbia da essere per mano del carnefice
decapitata. Ben vero che essendo, tenor solito è consueto, condotta
in piazza e letto la sentenza contro di lei Capitale, la quale la
confermano e la ratificano e che teno quella habbia d'essere posta
in esecuzione senza altra né grazia né riserva. Havendo inteso che
detta Catterina deve haver fatto qualche testamento, le fanno dire
che non si intendano che tal testamento possa subsistere in modo
alcuno, essendo ciò in pregiudizio totale della Comunità per causa
della confiscazione. I beni della condannata spettano alla Comunità,
come afferma lo statuto." Sulla
morte di Caterina Ross abbiamo anche, per altra via, il racconto del
ministro riformato Giuliani. Marra che "lì
7 marzo, egli si recò a visitarla, presente il signor Podestà.
Alhora essa subito negò et disse d'eesere stata interrogata
suggestivamente essendo essa nel curlo. La menarono ancora in piazza
(per
la lettura pubblica e solenne della sentenza), dove
essa negò avanti a tutti di non saper arte di strega né d'haver
fatto tali cose. Condotta dunque di sopra fu di novo toccata al
curlo, ove stando salda di non essere tale (cioè
strega), fecerlo lasciarla
giù, venire il boia ligarla e senza consolazione menarla al
supplizio, essa gridando che li era fatto torto; vedendo ciò ancora
e meravigliandosi il signn. dott. Curti, fu fatta morire".
La
protesta che Caterina Ross mette in evidenza significa che tutte le
streghe erano innocenti del reato per cui erano condannate. Potevano
aver avvelenato qualcuno ma non essersi unite carnalmente a Satana,
né causato tramite magia sventure al prossimo. Soggettivamente poche
si considerarono innocenti e protestarono la loro innocenza, lo
fecero quelle che si sentirono ingannate. A Pisogne sulla riva
orientale del lago d'Iseo, già nel 1518 le condannate inveirono
contro il giudice perché aveva promesso loro la vita se avessero
confessate, cosa che i tribunali ecclesiastici facevano normalmente,
questo nonostante il tribunale dell'inquisizione di Roma avesse
indicato come scorretto questo modo di procedere. Altre avevano
reagito con l'esaltazione dell'autoaccusa o con il teatro della
possessione diabolica, ma alla fine ormai nessuno più credeva a
quelle accuse. Le otto di Pisogne vengono condannate e messe al rogo.
Un informatore mandato da Venezia, il territorio era sotto la sua
potestà, scrive nel resoconto che mai avrebbe voluto assistere a
quello spettacolo e che le procedure a suo giudizio erano scorrette.
Alla sua richiesta di poter parlare con le streghe frate Bernardino,
l'inquisitore, si rifiuta adducendo che essendo confessate non vuole
portare turbamento. Tutte le donne, racconta il testimone, erano in
preghiera alla lettura della sentenza e una tra loro accusò frate
Bernardino dicendo che 'le faceva un grande torto e che tutti
dovevano saperlo, ma aveva confessato perché non dicendo quello che
voleva lui le aveva dato della gran vacca e altre parolacce, poi
promesso di lasciarla andare se diceva come voleva lui, questo avevi
promesso e tu sei peggio di me'. Poi altre che discolpavano una serie
di compaesani dicendo che mai erano stati al sabba come confessato,
perché lo avevano dette costrette. Vedere quelle donne bruciare vive
e due e tre già morte prima che il fuoco giungesse alle altre fa
arretrare il testimone davanti a tutta quella crudeltà. Aggiunge poi
che queste donne venivano torturate e a volte lo facevano anche con
il fuoco al punto che a una di queste le furono staccati i piedi
dalle fiamme. Una delle imputate dei processi in Val di Fiemme,
vicino a Trento, al tribunale di Cavalese racconta che una volta
cercando delle bestie perse al pascolo, con la suocera videro in
lontananza un fuoco blavio, cioè smorzato. Allora quella si mise a
gridare 'Fuggite, quello è il fuoco della donna del buon gioco'.
Gioco è il più antico nome del Sabba. Ma che le storie raccontate
fossero vere o false è una delle implicazioni che comporta il
pregiudizio storico, infatti per la visione moderna sono solo false,
come se il tribunale di allora non fosse in grado di appurare la
verità o come se sotto tortura uno non dicesse altro che delle
falsità, oppure, così per i tribunali di allora, erano vere, nel
senso delle sentenze e delle condanne che venivano comminate. In
realtà bisogna che noi riprendiamo lo sguardo di Girard per
comprendere che un capro espiatorio è sempre innocente, anche se ha
compiuto, dunque è vero, gli atti di cui viene accusato. Prendiamo
un ebreo che abbia ricevuto l'accusa di essere un untore segnando le
porte delle case. Bene! Questa accusa è fatta contro un innocente.
Perché il fatto che egli segnasse le case non aveva relazione alcuna
con la peste. Se uno è considerato colpevole perché è zoppo, o
straniero, o malato di mente è vittima di una mistificazione, lo è
anche se fa davvero l'untore. Questo anche se è vero e
corrispondente alle accuse, ma nella maggior parte dei casi neanche
lo è. Dunque alcune streghe credevano davvero, o si facevano
convinte durante il processo, di esserlo. Il fatto è che di fronte
agli inquisitori che spesso non definivano subito le accuse, le donne
sentivano di avere qualcosa da nascondere, di essere in un certo
senso implicate, così si trovavano psicologicamente nella situazione
di chi deve resistere e nascondere qualcosa, qualcosa che non
sapevano bene neanche loro. Questo senso di coinvolgimento poi
diramava nella mente i suoi effetti fantastici implicandole in modo
sempre più convinto. Le accuse seguivano in rapida successione,
prima il rinnegamento della fede, poi la partecipazione ai convegni,
la confessione dei malefizi umani e animali, infine i malefizi del
brutto tempo. Venivano quindi mano mano richiesti i nomi dei soci nel
malaffare. I processi in Val di Fiemme iniziano a causa di certo
Giovanni (Zuanne) Delle Piatte. Un ambulante che guadagnava qualche
soldo girando nei mercati con i suoi rimedi per la salute e
predicendo il futuro guardando in un cristallo. Passando da Cavalese
dice ala gente che ci sarebbe stata una inondazione più grave delle
precedenti. In effetti quella notte il fiume che attraversa il paese
tracima sommergendo il paese, uccide molte persone, quelli che
avevano ascoltato il Delle Piatte si erano salvati andando verso il
monte. Allora il capitano Della Valle lo fa chiamare per chiedere con
quale scienza sapeva cosa sarebbe successo. Nel Febbraio 1501 inizia
il suo processo. Al vicario Domenico Zen mostrano gli strumenti che
il Delle Piatte aveva con sé: un libro con caratteri strani e
proibiti, formule diaboliche scritte in tedesco, formule per il
Cristallo, lo stesso Cristallo incapsulato nella cera, inoltre aveva
molte radici che probabilmente, dice Zen, facevano ammalare le
persone anziché guarirle quando le usava. Il Delle Piatte sostiene
di aver imparato quelle scienze da persone esperte, ad esempio le formule del
cristallo da alcuni frati, di non aver mai fatto del male, ma solo
medicato con erbe e radici. Si dichiara, insomma, uomo onesto e
probo. Non viene torturato, solo minacciato nel modo più efficace,
cioè preparato come se dovesse esserlo. Gli bruciano poi
l'attrezzatura e gli intimano di non tornare più nella Valle salvo
espressa autorizzazione delle autorità, inoltre di non praticare più
le sue arti. A ciò si impegna giurando sul vangelo. Il fatto è che
il Delle Piatte pensava che la memoria della giustizia fosse come
quella umana e che durasse poco. Così dopo soli quattro anni
ricompare in Valle con tutta la sua attrezzatura e in più due ostie
non si sa se consacrate. Inoltre diceva di curare il mal francese (la
sifilide) e altre malattie. Domenico Zen va a messa a Tesero, qui in
chiesa chi ti vede? Proprio il buon Giovanni. Immediatamente lo fa
cacciare e arrestare. Ora la situazione è aggravata dalla precedente
sentenza e dalle Ostie. Questa volta il libro che porta con sé viene
analizzato e si scopre che è pieno di formule magiche per fare soldi
e per l'amore. Non è però un manuale per le streghe, anzi insegna a
riconoscerle. Ci sono anche alcuni accenni al diavolo e al modo per
ottenerne l'aiuto. Dall'accusa di essere uno stregone il Delle Piatte
si difende sostenendo che ignorava il contenuto del libro e se lo
avesse saputo lo avrebbe bruciato. Delle Ostie sostiene che non sono
consacrate e che gli servivano per una ricetta imparata a scuola.
Torturato leggermente conferma quanto detto. Lunedì 9 dicembre
strattonato continua a confermare ma il Mercoledì sollevato da terra
comincia a confessare. Da lì in poi basta la minaccia della tortura
perché continui a confessare. Le storie che racconta sono tante, ne
conosceva anche per il mestiere che faceva, in una di queste parla
di un frate, che era poi il suo maestro, con questi va a Roma poi nel
monte delle Sibille, o Monte di Venere, dove incontrano la donna
Erodiade. Per tre giorni girarono prima di arrivare al Monte, e
dovettero passare per un lago azzurro dove trovarono un frate vestito
di nero, a questo punto quello che accompagnava Giovanni disse che
doveva dimenticarsi di Dio e dei Santi e solo dopo potevano
attraversare il lago. Aggiunse, il frate che l'accompagnava, di
dimenticare Dio e la Vergine Maria e di dedicarsi interamente al
diavolo, anima e corpo. Appena detto il fratone nero li accompagnò
di là dal lago e li portò dentro al Monte, attraverso una porta che
si apre e chiude da sola, ma così velocemente che si deve saltare in
fretta per non esserne schiacciati, da lì introduce nella cavità
della montagna dove, superato un serpente, si giunge ad un altra
porta, qui un vecchio detto fedele Eckart li avvisa di non rimanere
oltre un anno altrimenti non potranno più uscire. C'erano con loro
altre dieci persone che non conosceva, poi entrati nella grotta
videro un vecchio dalla barba bianca che dormiva ed era chiamato il
Tonhauser. C'erano donne, ragazze e anche donna Venere e altri
uomini. Donna Venere per tre giorni si trasforma dalla cintola in giù
in un serpente. Solo però Sabato, Domenica e lunedì, poi torna
normale ed è sempre accompagnata da ragazze bellissime, sembra come
le altre donne ma è gelida. Lì mangiavano e bevevano ma non sa
cosa, come se fossero cose contraffatte. Una volta sono andati in
compagnia con quella donna sopra cavalli neri e in cinque ore avevano
fatto il giro del mondo. Altre volte, sempre volando con i cavalli,
andavano per aria e ai crocicchi ballavano, mangiavano e bevevano
malvasia, ma non sapeva dove prendessero tutta quella roba. Finito il
racconto il tribunale chiede a Giovanni di dire con chi andava in
compagnia e di fare il nome delle streghe che aveva frequentato. Il
suo mestiere lo portava a conoscere molta gente, molte donne gli
chiedevano rimedi per il male della matrice, così non ha difficoltà
Giovanni a dire posti e donne, indicando anche i luoghi dei convegni
notturni e dei malefizi. Sottoposto a tortura leggera ratifica tutto,
chiesto di confermare discolpa un donna coinvolta ma conferma il
resto. Non segue alcuna sentenza. Finisce così il processo al mago
girovago e inizia quello alle streghe che ha citato. Orsola detta la
strumechera di Trodena, Margherita dell'Agnola di Cavalese,
Margherita di Tressadello di Tesero e Ottilia Della Giacoma di
Predazzo sono le accusate. Sono rinchiuse assieme a Delle Piatte e
verranno interrogate separatamente. Si promettono, farà la spia il
Delle Piatte, che non si faranno accuse l'un l'altra, ma alla prima
tortura Ottilia confessa seguendo i suggerimenti del Delle Piatte.
Dice di essere passata al diavolo perché le desse del buon tempo per
stare allegra. Nomina alcune donne, racconta di banchetti notturni,
dice che certe volte il diavolo si asteneva dall'avere rapporti con
loro perché era troppo freddo. Margherita dell'Agnola detta Tomasina
è di tutte la più provata, forse per una sua tristezza personale.
Dice interrogata che non sa cosa dire, che lei mai ha fatto del male
a nessuno se non a se stessa. Al secondo incontro racconta che il
marito aveva rubato delle cose da mangiare e del filo ma che lei non
voleva. Allora chiamano il Delle Piatte che la incita a confessare
ricordando che insieme a lui erano andati ai convegni 'con mi
sora Cadran a la Crosara, che lì mangiassimo una vacca, non deneghé.
Anch'io mi volsi denegare ma non mi valse niente. Bisogna pur dire la
verità et non ve lassate struzzare' Et ella balbettando non sapeva
cosa dire. Alla fine Tomasina dice che è vero. Allora il
tribunale la accusa formalmente di essere una strega. Lei allora
risponde: 'Dite che sono una strega? Va bene. Cosa volete che
dica? ditemelo voi'. Il Vicario allora la esorta a denunciare chi
l'abbia introdotta in società con le streghe. Lei costruisce un
racconto. Trenta anni prima quando stava a Cavalese vennero a casa
sua tre ribalde streghe, che abitavano lì, insieme ad altre in gran
compagnia, le dissero di seguirle rinnegando Dio, la Vergine Maria e
la Santa Chiesa per darsi al diavolo anima e corpo. Così lei si
diede al diavolo nell'abisso inferno impegnandosi a servirlo. Una
delle maestre streghe allora le diede un unguento con cui unsero una
panca ed un capello nel nome del diavolo e Margherita vi si sedette
sopra. Allora come il vento andarono in giro nell'aria con le altre
streghe e diavoli. Val di quà e di là quella notte fecero più di
mille km. Erano tanti e tanti e c'era un uomo di Carano e mangiarono
un bue giù ai mulini, sopra le fontane, quel bue seccò, visse
ancora mezzo anno poi morì. Poi a Daiano mangiarono una bella vacca
di Cristoforo del Giovanni di Moena, c'era in quel posto un uomo che
suonava la piva, era l'uomo di Càrano, presero poi del vino dalla
cantina di Giacomo di Agostino, entrati da una finestra ingollarono
più di una soma. Nulla di benedetto c'era perché altrimenti non
potevano né mangiare né bere. Poi a Varena e Cavalese finché il
gallo cantò e tutti tornarono a casa. Poi in altri racconti simili
citerà sia il Delle Piatte che le altre compagne di sventura. Infine
c'è un cenno alla domina ludi. Dice che andata a Varena
vicino ala fontana trova la donna del bon gioco che va sempre in aria
e tiene due paraocchi, così che non veda ogni cosa perché se
potesse vedere ogni cosa farebbe del gran male al mondo. Tutte le confessioni di Tomasina finiscono con una ricetta, tanto che dovette
sembrare una grande esperta, ma le sue sono solo narrazioni di luoghi
comuni messe insieme tra i suggerimenti del Vicario e la mitologia
pagana e cristiana. Chiesto a questo punto se vuole essere difesa
Tomasina dice che chiede solo la grazia se è possibile. Tra i
malefizi di cui aveva accusato se stessa e altre non c'era solo
l'aver mangiato bestie ma anche uomini e bambini. Questa è l'accusa
più grave che viene mossa alle streghe. Orsola Stromachera dirà
come avviene. La vittima viene in stato di incoscienza portata al
gioco. Dopo succhiato il sangue si bolliva e in parte mangiava. I
resti, ossa, pelle, ricomposti con arti magiche sostituendo le parti
mancanti con la paglia o stracci o, se mancava un osso, con un legno,
consentiva alla vittima di riacquistare una parvenza di vita. Quando
qualcuno deperiva e moriva, allora dicevano che le streghe lo avevano
consumato. Ma anche chi moriva per disgrazia o incidente, insomma il
termine della vita era causato quasi sempre dalle malefiche streghe.
Insomma, sembrava che la coscienza collettiva non considerasse più
la morte un fatto naturale ma sempre legato a qualche maleficio. La
domina ludi aveva la prerogativa di ridare la vita anche alle bestie
mangiate. Ma le sue prerogative sono un poco ridotte, la mitologia si
è deteriorata, perché la si vede girare senza vedere bene, e le sue
magie sono un poco difettose, umani e bestie rimangono consunti e
incapaci di vivere normalmente. Orsola Stromachera sarà quella che
resiste di più alla tortura. Il Vicario le chiede di dire tutto ciò
che sa a partire dalla sua infanzia. Lei replica che non sa che dire
perché non aveva mai peccato o frequentato cattive compagnie. Alla
terza udienza non avendo parlato nonostante le torture viene messa a
confronto con Delle Piatte. L'uomo la sollecita dicendo: 'lo sai,
devi saperlo, che sei stata con me su alla Cisa sopra quel monte, e
sopra Caiano con le altre in compagnia la notte, io l'ho giurato e ci
ho messo la vita e ti dico che sei quella a cui chiesi come ti
chiamassi e rispondesti la Strumechera di Trodena. E persino aggiungo
con te c'era quella di Pinzano. Non denegare io credevo di essere
costante come fai tu ma mi hanno fatto dire la verità, parla e non
lasciarti fare a pezzi'. Non parla e allora viene aumentato il
supplizio, sollevata da terra le attaccano ai piedi più di 50 libbre
di peso, circa la metà in chili, promesso di confessare la
depongono. Lei confessa il furto di una rapa. Di nuovo torturata
aggiunge il furto di una manciata di legna, un pane, una scodella di
farina e fa il nome di una socia. Nelle altre due udienze insiste a
dire che altro non ha fatto. Avendo sostenuto eroicamente le prove
della tortura avrebbe meritato di andare assolta, ma i crudeli e
ignoranti inquisitori non la mollarono. I carnefici continuarono a
tormentarla con strattoni e pesi finché ne ruppero la resistenza, a
questo punto fa sei racconti perfettamente coerenti in cui tutti gli
elementi della stregheria compaiono fortemente integrati. Seppure
fantastici a leggerli impressionano per il loro aspetto reale. Si
rivela così una grande narratrice. 'Orsola
disse ancora che, circa dieci anni prima, una notte di sabato dopo
mezzanotte mentre si avvicinava il giorno festivo, prima del canto
del gallo - erano le quattro tempora -, veniva da Trodena con una
grande cesta di ciliege, volendo recarsi a Cavalese. Arrivata a
Zimana vicino alla Croce, Orsola depone la cesta con le ciliege e lì
si addormentò. E ci fu un grande rumore di uomini e done che stavano
intorno a lei, e volevano che si unisse alla loro conpagnia e così
le mangiarono tutti le ciliege. Poi andarono nel paese di Caràno e
presero del vino dalla cantino dell'Avanzin, quindi si accordarono
che l'uno portasse una cosa, l'altro un'altra, a seconda che
portavano, ed in quella compagnia c'era anzitutto un uomo di
Càrano..., uno di Rendena..., uno di Aiano..., una donna di
Atrei..., due donne di Caràno..., e una di Aiano..., e due di
Varena. elì mangiarono boui e vacche di Caràno: una vacca a
Giovanni del bue a Brenzo... e quando cotti e mangiati, rimettevano
insieme le ossa e le bestie tornavano vive e venvano riportate a
casa. Andarono poi a Brenzo sempre nella stessa compagnia e qui
presero da una casa un bambino, uno lo portava per i piedi, l'altra
per le braccia, avrà avuto circa sei anni, e lì lo cucinarono, e
gli mangiarono il cuore succhiandogli il sangue dalle dita e dai
piedi; poi lo riportarono a casa. Presero a Giovanni de Chiasur un
bue a Zimana, e lo consumarono e mangiarono. Poi al cantar del gallo
tutti tornarono a casa, perché quando il gallo canta non possono più
far ribalderie. Il diavolo era sempre con loro, in forma di caprone.'Orsola ratificherà sotto tortura leggera e senza tortura e nella piazza del paese libera e slegata. Non si avvarrà della difesa. Intanto era iniziato il processo alla Tessadrella. Anche lei sotto leggera tortura confessa ma ancora poco, allora viene interrogata in modo più cruento e inizia una invenzione così personale e continua di situazioni che mettono in evidenza il conflitto interiore con cui sta lottando credendo di essere strega ed essendo contemporaneamente profondamente religiosa. Il legame amoroso con la Vergine Maria è nella Tessadrella fortissimo. Ma l'inversione che avviene nei suoi racconti è che all'improvviso Maria ha in braccio il diavolo. Allora si rende conto la Tessadrella che il punto è che avrebbe desiderato il potere sugli uomini non attraverso la seduzione, arte femminile per eccellenza, ma attraverso la magia. Dio in braccio alla Vergine rappresenta bene questo desiderio di potere femminile, ma capisce anche che nella società del tempo tale disegno era impossibile, che non poteva stare al di sopra di tutti gli uomini e così omaggia il potere ufficiale affermando alla fine del processo di aver cavato l'anima al diavolo. La sentenza tarda ad arrivare, intanto altre donne nominate vengono processate. Il 15 marzo 1505 nella piazza di Cavalese si legge la sentenza e sette imputate sono condannate al rogo. Tra le altre cinque successivamente processate c'è Barbara Marostega. Questa sempre riconduce la fantasia alla realtà, ironizza sulle procedure feroci e burocratiche del tribunale, riporta continuamente l'attenzione sulla prepotenza dei giudici e fa una analisi rudimentale ma efficace della stregheria. Quando confessa e capisce che il tribunale non smetterà di tormentarla cercando altre confessioni ritratta e si fa tormentare fino alla morte. La Marostega è accusata dal Delle Piatte, dalla Tomasina e da altre. Viene accusata di segnare i bambini per guarirli dal mal della senega, forse rachitismo. Fatto alla creatura il segno della croce si mette nel forno sopra una pala e poi la si ritira nel nome del padre ecc. Alcuni sopravvivono altri no. 'Cosa potevo farci io? Facevo ciò che andava fatto nel nome di Dio'. Fu sollevata e disse che voleva parlare, tirata giù non disse niente, questo più volte. A volte tirata su dice: 'cosa volete che dica, può essere che io abbia fatto quelle cose nel sogno, ma non lo ricordo'. Sotto tortura, cosa che avveniva tutti i giorni, una volta alle richieste dell'inquisitore di rispondere sì o no disse: 'male se dico no peggio se dico sì'. Altra volta dice: 'sia chiaro, se mi farete dire per forza, per forza bisogna dire.' Ancora dopo la tortura chiese di essere portata alla stua che vuole parlare e qui esordisce: 'ebbene se vince chi è più forte, bisognerà pur parlare'. All'ultima tortura lei si protesta innocente. Rimandata al lunedì morirà in carcere. Le streghe erano più facilmente accusate se donne povere, senza marito e figli, meglio se un poco emarginate. In alcuni casi donne con famiglia e figli numerosi vedono la loro difesa fatta con convinzione, in questi casi chi testimonia dice cose generiche per timore di contrasti con la famiglia. Oppure alcune resisteranno alle torture appoggiate dai mariti che promettono di aspettarle, quelle che riusciranno infine a non confessare torneranno a casa. Perché se non si confessa la stregheria non può essere provata. La pressione sociale verso la costituzione e il controllo della maternità trova nelle streghe l'esemplare classificazione di comportamenti contrari proprio alla natività. Donne spesso sole e senza figli facilmente erano accusate di stregheria, venivano così colpite situazioni, comportamenti e modelli ritenuti socialmente dispendiosi e inutili. Il passaggio dalla cultura medioevale a quella moderna inoltre cambia paradigma, avvicina i modelli verso l'immanenza. Ciò comporta una stagione in cui l'invidia sociale è sempre più presente. La competizione per il possesso è sempre più pronunciata. La differenza di classe sociale impediva questa inclinazione ma non del tutto, viste le lotte contadine contro i proprietari terrieri, invece nella formazione della nuova borghesia la proprietà diviene motivo di conflitto e di competizione sempre più diffusa. La spinta delle trasformazioni in atto punta contro le donne più deboli il meccanismo attraverso cui sfogare la violenza che cova nei rapporti sociali. Se doveva colpire era più facile accusando il più debole. In fondo la Chiesa continua a realizzare ciò che per Girard è il fine della religione arcaica, limitare la violenza generale incanalandola contro il più debole. Finirà questa pressione perché il sistema giungerà ad un adattamento e a un maggiore equilibrio, la scienza soppianterà la trascendenza religiosa con una nuova forma di immanenza. A quel punto molte donne non saranno più considerate streghe ma si vedranno trasformate semplicemente in isteriche.
Franco Insalaco
Et In Arcadia Ego...dicevano i membri della Compagnia del Gioco della Buona Società.
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