Luisa Muraro dopo la laurea in filosofia
delle scienze fa una esperienza didattica antiautoritaria con
Elvio Facchinelli. Esperienza raccontata nel libro 'L'
Erba voglio: pratica non autoritaria nella scuola'.
Ne
nascerà la rivista 'L'Erba
voglio'.
Tra i '60 e i '70 fonderà a Milano il gruppo DEMAU
(Demistificazione autoritarismo patriarcale).
Poi
con Lia Cigarini fonda il "Collettivo
di Col di Lana", con
la stessa inaugura la 'Libreria delle Donne' a Milano, ancora aperta.
In libreria le riunioni che si tengono daranno luogo alla
edizione del libro
'Non
credere di avere diritti. La generazione della libertà femminile
nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne'.
Nel
frattempo va a insegnare a Verona dove con Chiara Zamboni,
Wanda Tommasi e Adriana Cavarero dà luogo alla comunità filosofica femminile
'Diotima'.
Il suo pensiero si ispira alla filosofia della differenza
sessuale di Luce Irigaray, le opere più
importanti della filosofa francese sono state tradotte proprio da
Luisa Muraro. Noi seguiremo il pensiero di Luisa Muraro a
partire dal libro intitolato 'Guglielma
e Maifreda. Storia di una Eresia Femminile'.
In realtà il testo esce a 24 anni di distanza dal suo primo libro sulle streghe,
appunto 'La
signora del Gioco. Episodi della caccia alle streghe',
Milano, Feltrinelli 1976. Sarà seguito poi da un libro dal titolo simile al primo, 'La
signora del Gioco. La caccia alle streghe interpretata dalle sue
vittime'.
Parleremo degli ultimi due testi editi nel 2003 e nel 2006. Il primo
narra una storia accaduta nel 1262, epoca in cui arrivò a Milano
Guglielma con il figlio, forse solo una tappa del suo viaggio ma poi
vi rimase. Guglielma era la figlia primogenita di Costanza d'Ungheria regina di Boemia. Mai era stata così
grande la Boemia come allora, al punto che l'imperatore Rodolfo
d'Asburgo, appena nominato, chiese indietro a Ottocaro I alcuni
territori che si era annesso. Ottocaro I finse di accettare, ma poi con il suo
esercito entrò in Austria e sfidò l'imperatore, ne seguì una
battaglia in cui morì. Fu la fine della grandezza boema. Comunque,
tutto quel che sappiamo di Guglielma deriva dal processo contro i
suoi seguaci che avvenne nel 1300 quando lei era già morta. Quasi
nessuno a Milano e intorno all'Abbazia di Chiaravalle, frequentata da
Guglielma, sapeva chi esattamente fosse, nessuno era a conoscenza
della sua origine regale. Solo Andrea Saramita sapeva che era figlia
di una regina. Ma era anche sorella di Santa Agnese da Praga. Del
figlio di Guglielma nessuno parla. C'è solo la citazione nel
processo di una irata reazione di Guglielma che affermò di essere
giunta a Milano con un figlio, proprio a dimostrare che era una semplice e
comune donna. Di Guglielma Andrea Saramita nel processo dirà che
aveva come primo nome Blazena, che significa felix, cioè donna felice, donna che rende felici, poi Vilemina, per questo i figli dei guglielmiti erano
spesso chiamati Felicino o Felicina. Saramita nel processo
parla della origine di Guglielma come se fosse poco importante, forse perché
poca importanza le aveva dato lei durante la sua vita.
L'Inquisizione, pur avendone i mezzi, preferì glissare, forse
anche per motivi politici, e lasciò nell'oscurità tale questione.
Nella Milano di Guglielma, tra il 1260 e il 1280, dominava la
famiglia Torriani, insediata dai Visconti. La situazione era
burrascosa, le lotte per il potere tra le fazioni e contro le vicine
città di Pavia, Lodi e Crema infiammavano le campagne con continue
scaramucce. Milano era pure in conflitto con Roma perché aveva
rifiutato l'arcivescovo indicato dal Papa. Abitata da 200.000
abitanti, nonostante i conflitti era una città ricca, vivace, aperta
al nuovo. Gli eretici erano presenti in tutte le salse, valdesi,
catari o albigesi, patarini, begardi, tutti tollerati nonostante la
contrarietà dell'Inquisizione che accusava l'autorità secolare di
scarsa collaborazione. Così i cristiani a Milano usavano la
persuasione e l'esempio per convertire, anziché i mezzi più
persuasivi del tribunale Santo. Giunta a Milano Guglielma prese a
frequentare l'Abbazia di Chiaravalle. Essa, fondata dai benedettini
Cistercensi ed eretta in stile gotico, è posta poco fuori Porta
Romana, in aperta campagna. Forse Guglielma vi divenne terziaria,
cioè laica che senza abbandonare la vita mondana accetta le regole
spirituali dell'ordine per averne benefici morali e materiali. I
Cistercensi erano contrari, ma lo era complessivamente la Chiesa,
alle aspirazioni religiose femminili. La Chiesa, insomma, osteggiava
gli ordini femminili, per questo motivo le donne spesso si
appoggiavano a quelli maschili. Guglielma visse una vita solitaria,
costellata però da una frequentazione assidua di tutti coloro che
videro in lei una interlocutrice di Dio. Anche il tribunale
dell'inquisizione durante il processo si fece di Guglielma l'idea
che avesse avuto in vita una grande fede e una grandezza femminile
rare, tanto che chi la frequentava vide in lei una incarnazione di
Dio. Guglielma non portò la sua ricerca in una condizione di
isolamento, né dava mai l'impressione che avesse trovato la sua
fine. La solitudine le serviva solo per pregare, ma senza isolarsi.
Scelse Milano come città dove vivere lasciando la porta di casa
sempre aperta a chiunque, la gente era libera di entrarvi e entrando
non perdeva la libertà di uscirne. Infatti, se invece di posare lo
sguardo su di lei osserviamo chi la frequentava scopriamo che i suoi
devoti erano molto diversi tra loro per condizione sociale, carattere
personale, aspirazioni e problemi. Così Guglielma era per le donne
del popolo lo stimolo e la speranza di divenire di più di ciò che
erano, per il commerciante in conflitto con se stesso era la voce della
coscienza, per il cristiano offeso dalla corruzione ecclesiastica rappresentava la
speranza di una Chiesa santa. Ognuno poteva trovare una motivazione
per cui sentirsi seguace di Guglielma, perché presentava prospettive
diverse unite coerentemente, non tramite una unica idea ma sotto il
significato spirituale di una comprensione amorosa. Insomma,
l'atteggiamento di Guglielma era percepito dai suoi devoti ricordando
due aspetti teologali e religiosi, Gesù e lo Spirito santo, il
Paraclito. Troviamo le tracce di queste inclinazioni nel culto della
sua santità dopo la morte, ma sappiamo anche da alcuni che era
considerata divina già durante la vita. I seguaci avvertivano la sua
somiglianza con Cristo, che era un uomo, ma così differente dai suoi
simili. Dicevano anche che faceva i miracoli e aveva le stigmate. In
effetti due miracolose guarigioni sono registrate nel processo,
dunque ella manifestava la capacità di confortare e guarire. Dal
processo sappiamo che guarì un medico dalle sue sofferenze agli
occhi e un altro, tal Novati, da una fistola. Guglielma non voleva
però che la cercassero per questo. Quando si facevano insistenti le
richieste, allora diceva: ite ego non sum deus. Non amava neanche
dicessero che aveva le stigmate. Più profondamente Guglielma aveva
la consapevolezza di portare la sapienza dello Spirito santo in modo
tale che i cristiani del suo tempo riconoscendolo lo nominavano.
Danilo Cotta era della più alta nobiltà, alla richiesta
dell'inquisizione sul motivo per cui pranzasse con grande familiarità
insieme a gente del popolo che non era simile a lui e neanche
imparentata, rispose che prima di morire Guglielma raccomandò ai
fedeli che dovevano restare uniti, amarsi e onorarsi a vicenda.
Aggiunge infine, che mai era disperato come quando andava a trovarla
senza ripartire lieto e confortato da lei. Così Guglielma, come il
Cristo dell'ultima cena, invitava i suoi a sciogliersi dalle
convenzioni sociali e a legarsi nell'amore e nel rispetto reciproco.
Il tema dello Spirito compare, invece, quando il Cotta accenna alla
consolazione che ricavava dal frequentarla. Paraclito è il
consolatore, dice Luisa Muraro, più esattamente in greco significa avvocato, consigliere, insomma, chi assiste e difende la persona
affidatagli aiutandola a superare la prova in tribunale.
L'inquisitore, dice la Muraro ironicamente, non capisce bene questo
secondo aspetto. Infatti nel 1300 nella Chiesa ufficiale allo Spirito
santo si dedica poca attenzione, Dio parla più attraverso le
gerarchie e, quando occorre, la forza distruttiva del dominio.
Invece, il fatto che i guglielmiti usavano felix come nome dei propri
figli indica il valore dello Spirito che sentivano incarnato in
Guglielma. Essa rappresentava una potenza benefica e beata. Il medico
Giacomo da Ferno, discepolo con tutta la sua famiglia, nella sua
discendenza indica proprio con 'paraclitolus', piccolo paraclito,
Paraclitino, il nome di uno dei figli, Felicino l'altro. Il medico
Giacomo riteneva che lo Spirito santo fosse presente e incarnato in
Guglielma. Questa credenza di incarnazione femminile di Dio è il
fondamento del principio eretico guglielmita. Tale credo, seppure si
diffuse ancora in vita Guglielma, non era lei a insegnarlo. Una sua
amica sentì Andrea Saramita affermare che Guglielma era lo Spirito
santo. Allora Allegranza andò a riferire questa cosa a Guglielma che
se ne ebbe a male e disse che lei era una donna comune, un povero
verme. L'idea era dunque insegnata dal Saramita. Anche altri
interrogata Guglielma ne ricavarono la stessa risposta, che lei era
donna in carne e ossa, che era nata da uomo e da donna, come tutti,
e che aveva messo al mondo un figlio. Andrea Saramita era povero,
padre di famiglia, destinato a una esistenza oscura, gli scritti di
Gioacchino da Fiore ne aveva infiammato la mente, acceso la speranza
della venuta dello Spirito santo, così nella straniera boema vide
incarnate le sue attese. Ma non aveva alcuna autorità nel convincere
altri di ciò che Guglielma stessa respingeva. Dunque, Saramita
doveva aver trovato anche qualche conferma in ciò che Guglielma
diceva. Difatti vedremo cosa lo confermasse nella sua
interpretazione. Di sicuro, va aggiunto, Guglielma amava quel suo
discepolo infervorato, nonostante lo correggesse continuamente,
eppure, anche se non era fedele al suo dire, lei e il suo spirito
libero lo amavano. Guglielma amava tutti, come se non ci fossero mai
contraddizioni. Una sapienza rarissima la sua, più che medioevale o scolastica, una sapienza greca senza polemos, una sapienza cristiana delle origini. Il suo insegnamento era legato
alla Abbazia di Chiaravalle che era frequentata dai suoi seguaci. I
monaci di Chiaravalle desideravano una riappacificazione
dei Milanesi, volevano vivessero come nel loro cimitero i nemici, simbolicamente riposando vicini gli uni agli altri. Così come anche le famiglie che si contendevano il potere e militavano in partiti
diversi le vedevano riunirsi intorno a Guglielma. Nella cerchia di
frequentatori c'erano anche delle religiose della Casa di Biassono,
convento milanese dell'ordine delle umiliate. Suor Maifreda ne faceva
parte, aveva frequentato e conosciuto Guglielma, ma mai intimamente
come Andrea Saramita, dirà all'inquisitore. Tuttavia l'incontro con
Guglielma cambiò la sua vita. Una passione interna che non si
consuma la prese assumendo nella suora una determinazione che durante
il processo, prova dopo prova, non verrà mai meno. Se Danilo Cotta
si scalda alla presenza di Guglielma, Maifreda vi si tempra.
'Guglielma
aveva infatti la capacità di essere per ciascuno una strada verso il
vero nella fedeltà a sé, capacità che vediamo rilucere perfino
attraverso le costrizioni di un processo penale. In lei trovò
conforto chi sapeva portare il peso della vita, slancio chi voleva di
più. Essa infiammò gli entusiasti e lasciò in pace i tranquilli,
non scandalizzò i semplici e sostenne gli audaci.'
Così Luisa Muraro. Nel processo si parla di devoti, di amici, di
fedeli, in alcuni casi anche di seguaci, indicando così un
insegnamento provenire da lei. Un insegnamento non dottrinale ma
sapienziale. Nel processo si parla poco di Guglielma, per il
tribunale la maggiore preoccupazione era scardinare il suo pensiero,
provare che era eretica. Per questo poco sappiamo delle idee
originali di Guglielma. Luisa Muraro prova a ricostruirle
sottolineando che alcune zone d'ombra sono colmate da semplici
ipotesi. Si diceva di Guglielma che era Dio, cioè, Spirito santo
incarnato. Si diceva anche che era venuta a salvare tutti; ebrei,
mussulmani, donne, compresi coloro che erano fuori dalla Chiesa per
ignoranza o rifiuto. Cose che si dicevano ancora in vita Guglielma.
Carmeo da Crema, si legge nei verbali, lo insegnava, è riportato nel
testo Profezia
di Carmeo da Crema,
scritto da Andrea Saramita. Così come Guglielma era a conoscenza
della prima tesi, quella della sua divinità e la respingeva, si
pensa che fosse a conoscenza anche della seconda, però non risulta
che da lei sia mai stata respinta. Dunque, le cose stanno in questo
modo. Pare che alcune delle idee erano sicuramente provenienti da
Guglielma, soprattutto la seconda tesi, cioè, che era venuta a
salvare tutti. Nel processo noi le veniamo a sapere soprattutto da
Andrea Saramita e da suor Maifreda, le conosciamo solo attraverso la
loro interpretazione. Ciò che colpisce Luisa Muraro, senza che
pretenda di darne una spiegazione, è il fatto che anche dopo morta
il culto della santa era condiviso da persone tanto differenti. Forse
ciò costituiva il cuore della dottrina di Guglielma, il
fatto che a noi pare nemico quello che non lo è. Guglielma
trasmetteva questa certezza, che le molte strade sono la vera figura
della verità. Un altra filosofa del Novecento vedrà questa unità
spirituale nascosta nelle diverse religioni. Simone Weil dietro ogni
dottrina avverte la stessa tensione, lo stesso Dio. Dopo la morte di
Guglielma, avvenuta nel 1281 o 1282, non se ne ha certezza, una prima
tumulazione avvenne per ragioni di sicurezza a San Pietro dell'orto,
vicino a casa sua. Poi un drappello militare, qualche anno dopo, la
traslò a Chiaravalle, dove, come a casa sua quando era in vita, i
pellegrini continuarono ad andare in visita alla nuova tomba.
Tomba che oggi è vuota poiché l'Inquisizione nel 1300 ordinò al
braccio secolare di bruciarne i resti, il rogo avvenne insieme agli
altri eretici guglielmiti condannati. I monaci avevano iniziato ad
offrire a chi visitava la santa dei pasti semplici, vino, pane, ceci,
e in due occasioni, in ricorrenza della morte e della traslazione,
organizzavano cerimonie in cui predicavano le idee di Guglielma.
Alcuni monaci saranno poi coinvolti dai testimoni nel processo. In
effetti alcune testimonianze piene di acredine parlano dei monaci che
paragonavano Guglielma alla luna e alle stelle. Nel 1300 i monaci di
Chiaravalle ancora predicavano il messaggio della santa, così
tentarono, tramite l'arcivescovo di Milano, di sfilare la causa alla
Santa Inquisizione per svilupparla loro. La salma di Guglielma, dopo
la sepoltura a Chiaravalle del corpo, come accadeva nella tradizione
di chi era in odore di santità, venne tolta dal sepolcro, portata in
chiesa e davanti ai frati, da Andrea Saramita e dai suoi aiutanti, fu
lavata con acqua e vino, liquido che venne poi raccolto e mandato a
Milano a suor Maifreda. Dopo lavato, il corpo venne rivestito da
Andrea con paramenti di seta, Graziadeo da Operno, un monaco
presente, offrì il suo scapolare, un rettangolo di stoffa con un buco
per infilarvi la testa, lo donò a Guglielma come se fosse una
terziaria cistercense. Andrea Saramita e il pittore Mirano, dopo
l'inverno, partirono verso la Boemia per portare a corte la notizia
della morte di Guglielma e per chiedere indietro i soldi spesi da
Andrea per la sepoltura. Giunti a Praga scoprirono che il re Ottocaro I era morto. L'inquisitore chiederà ad Andrea se lo scopo non fosse
anche di cercare aiuto dal re di Boemia per la promozione a Roma
della canonizzazione di Guglielma. Andrea rispose che allora non ci
pensava. Andrea Saramita si dedicava con tutte le sue energie a
promuovere la conoscenza di Guglielma organizzando feste, incontri, banchetti,
pellegrinaggi, insomma, non mancava occasione per parlare, pensare,
discutere, scrivere intorno al suo pensiero. Quando il
Saramita va a Praga per recuperare dei soldi ne parla come se fossero
suoi, in realtà erano le offerte che una intera comunità dedita a
Guglielma gli versava per i paramenti e le iniziative sulla santa.
Spesso si trovavano tutti convivialmente in pranzi in cui
partecipavano i devoti che suor Maifreda allietava con le sue
musiche. Avevano anche individuato delle sante di copertura per
rappresentare Guglielma, sempre dipinte da Prete Mirano, ad
esempio, Santa Caterina nella chiesa di Sant'Eufemia ha le sue fattezze. Questi dipinti poi durante le feste ricevevano
particolare illuminazione. Ser Danilo Cotta in Santa Maria madre di Dio, faceva tenere due lampade
sempre accese in suffragio del fratello sepolto sotto il ritratto di Guglielma.
Due sante erano spesso nominate da suor Maifreda per parlare di
Guglielma, Santa Caterina d'Alessandria, protettrice dei filosofi, messa a morte sotto
l'imperatore Massenzio, probabilmente dietro c'è la figura di Ipazia, e Santa Margherita, vergine e martire del
III secolo, la leggenda racconta che fu divorata dal drago, il diavolo, ma ne uscì viva, allegoria di una salvezza miracolosa dalla morte.
Entrambe le sante appariranno anche a Giovanna d'Arco, un secolo e
più dopo, guidandola nella difficile prova del suo processo. L'idea
della divinità di Guglielma era già presente, abbiamo visto, quando
era in vita, anche se lei non l'approvava. Ora Saramita, dopo la
morte, iniziò a dire anche che presto sarebbe risorta. Saramita ne
era così convinto che organizzò il ritorno di Guglielma. Una parte
delle offerte fu dedicata all'acquisto di abiti regali che Guglielma
avrebbe messo appena risorta. Alcuni alle domande dell'inquisizione
risposero che erano paramenti con cui il corpo avrebbe dovuto essere
riportato in Boemia, ed era necessario farlo con tutti gli onori
dovuti ad un membro della famiglia reale. In realtà nessuno a Milano
pensava di distaccarsi dal corpo della santa. Saramita quegli abiti
li teneva a casa e li mostrava a tutti. Così il loro valore
avvalorava la fede, l'invisibile diveniva visibile toccandosi con mano. Albertone Novati racconta di una visione che ebbe al
cimitero di Chiaravalle, Andrea Saramita è legato mani e piedi dalla
Inquisizione e Guglielma affettuosamente gli scioglie i legami, poi
gli inquisitori cercano di prendere Maifreda ma un Angelo con la
spada insanguinata lo impedisce. Nella visione si mischiano motivi
dottrinali e il timore di ciò che in seguito avvenne davvero.
Guglielma vi è rappresentata come paraclito, avvocato che difende il suo preferito
perseguitato ingiustamente. Ma anche il motivo dell'Angelo che
difende suor Maifreda indica che era considerata anche lei da
Albertone persona sacra. Guglielma apparve anche allo stesso Saramita
e a suor Maifreda. A Chiaravalle si praticava il culto della santità
di Guglielma e a Casa di Biassono, dove viveva Riccadonna, madre del
Saramita, e suor Maifreda, si celebrava il culto segreto della sua
divinità. Suor Maifreda non andò mai, secondo Luisa Muraro, a
Chiaravalle, o almeno nessun documento lo testimonia, ciò prova che
non era tanto un rapporto affettivo a legare Maifreda a Guglielma,
la suora però si sentiva una sostituta della santa, l'unica che
poteva svilupparne gli esiti spirituali. Perciò suor Maifreda
portava avanti con assoluta determinazione questo compito. A Casa
Bissona Maifreda non predicava in Chiesa, sarebbe stata una
provocazione per la gerarchia maschile, ma parlava nell'oratorio,
nel parlatorio, nell'infermeria, nel cortile interno, nel porticato.
Nelle sue predicazioni raccontava dei Vangeli, delle lettere degli
Apostoli, dei santi, tra i quali Caterina e Margherita. Ma quando
l'inquisizione supererà le resistenze iniziali si capirà che
Maifreda istruiva particolarmente le donne. A poche e in privato,
massimo una decina, Maifreda raccontava che Guglielma era lo Spirito
santo, parlava della sua natura divina e delle idee portate da lei.
Amministrava anche i sacramenti, in forme semplici di devozione a
santa Guglielma, con l'acqua dei lavacri del suo corpo e le ostie
depositate sul suo sepolcro. Erano i sacramenti tradizionali che
Maifreda operava, cresima ed estrema unzione, ma anche comunione
eucaristica. Il tribunale non approfondirà particolarmente la
questione della legittimità dei sacramenti, non gli interessava,
anche perché era terreno minato. Per alcuni, pochi, seppure
amministrato da una donna il sacramento era valido, non per Tommaso,
allora il più autorevole, per lui il sesso femminile non era capace
di esercitare il ministero sacro. Comunque, il diritto canonico non
consentiva alle donne il sacerdozio, tuttavia, badesse a capo di
monasteri celebravano e esercitavano il governo anche sui preti, al
pari di un vescovo. Maifreda fa appendere nella chiesa della casa di
Biassono un dipinto che raffigura la sua dottrina, ne intuiamo il
significato, vi sono tre persone, due a destra e una a sinistra che
liberano dei prigionieri. Aveva così grande autorità per i seguaci
Maifreda perché rappresentava in terra proprio il Dio incarnato da
Guglielma. Adelina Crimella tornando da Chiaravalle con altri
pellegrini dice che Maifreda aveva in terra grazia, virtù e autorità
superiori a quella dell'apostolo Pietro. Carabella Toscano la
rimprovera per l'imprudenza di quelle parole. I guglielmiti a partire
da Saramita, poco prudente per se stesso, erano molto attenti a non
esporre suor Maifreda. Le davano il titolo di vicario, cioè di
sostituta dell'autorità che era assente. Insomma, la onoravano di
segni di rispetto, si inginocchiavano baciandole la mano e a volte il
piede, come un papa. Ma baciare il piede ricorda anche il gesto con
cui i primi credenti adoravano Gesù. Nel 1073 quel gesto Gregorio
VII prescrisse fosse dovuto solo al papa. Così nel 1284
l'Inquisizione ebbe notizia della nuova eresia. Nel confidarsi con
donne esterne al gruppo, forse per coinvolgerle, accade che una certa
Bellafiore, madre di un frate, Enrico da Nova, confida al figlio ciò
che le avevano detto le Guglielmite. Poco dopo fra Manfredo da
Dovaria, inquisitore, ordinò ad Andrea Saramita con sorella, madre e
figlie, e poi a suor Maifreda, a suor Giacoma dei Bassani e a
Bellacara Cerentano di presentarsi da lui. Alla fine del primo
processo gli inquisiti abiurarono ai loro errori, giurarono nelle
mani dell'inquisitore, ebbero una penitenza, un colpo di bastone sul
coppino e furono assolti. Dopo il processo si fecero più accorti. Le
compagne di suor Maifreda la rimproveravano perché continuava a
frequentare i guglielmiti e temevano per loro e la loro Casa. Fatto è
che l'inquisizione perdonava il cristiano caduto in errore, se si
pentiva, solo una volta, la seconda c'era il rogo. Seppure nulla
cambiò, la maggiore prudenza fece vivere senza contraccolpi e
tranquillamente il gruppo fino al 1296. Come disse l'inquisizione in
apertura dell'ultimo processo del 1300: 'le
persone già processate e perdonate, dopo le abiure per molto tempo
ancora fecero riunioni segrete e riunioni pubbliche di molti uomini
e donne, e perfino prediche.' Cosa
era accaduto? In particolare il fatto che il papa Bonifacio VIII in
una bolla descrive persone che come nuvole senza acqua portate dal
vento disseminano credenze secondo cui possono legare e sciogliere,
cosa che può solo Pietro e i suoi successori. Queste persone vivono
in comunità miste, fanno comunioni, prendono la tonsura e
trasformano un laico in chierico, predicano, insomma, vanno contro il
rito ecclesiastico, trasmettono lo Spirito santo con l'applicazione
delle mani e rispondono di sé solo a Dio. Altre pratiche riguardano
il fatto che le preghiere sono, per questi eretici, più efficaci se
fatte nudi, poi si scambiano le donne e non hanno rispetto per il
sacramento del matrimonio. Non si dice di quale setta si tratta nel
documento, ma porta come conseguenza che le autorità locali faranno
molta più attenzione, soprattutto se nei gruppi osservati sono
presenti molte donne, come per i guglielmiti. Così nel 1296 frate
Tommaso da Como, inquisitore, riapre il fascicolo contro di loro. Il
primo a essere interrogato, Girardo, non dice molto, ma è talmente
terrorizzato dalla Inquisizione che esce dicendo a Saramita che non
vuole più saperne di Guglielma. Quindi esorta anche sua moglie a non
credere più ai guglielmiti, ma lei non gli dette retta. Nel 1296
Girardo doveva essere il primo dei guglielmiti in realtà rimase
l'unico, Frate Tommaso andò a Roma in seguito a un ricorso contro di
lui per un altra questione. L'interrogatorio però mise in
apprensione suor Maifreda che decise di uscire dalla Casa Bissona e
affittò per lei e le sue compagne la casa di un certo Guglielmo
Codega. La portineria della Casa Bissona non taceva le visite
ricevute da suor Maifreda, così era risaputo fino a Roma che la
suora era visitata da Galeazzo Visconti. D'altronde con i Visconti
aveva una lontana parentela e anche una certa protezione. Comunque,
senza cautelarsi troppo, l'attività di suor Maifreda e del Saramita
in quegli anni addirittura si intensificò. Saramita frequentava
molta gente e raccontava che Papa Bonifacio VIII non era un vero
papa, cosa che molti pensavano per il fatto che si era proclamato
papa da solo ancora in vita il predecessore, Celestino V. Anche suor
Maifreda appoggiava questa tesi. La suora ormai sicura di non
coinvolgere Casa Bissona era più audace nel portare avanti le sue
tesi. Così nel 1300 nel giorno di Pasqua decise di esercitare le sue
funzioni, vestiti i panni sacerdotali celebra la messa solenne della
liturgia pasquale. Altre volte aveva compiuto la benedizione e
distribuzione delle ostie, che in forma rudimentale erano messe anche
quelle, ma questa volta seguì il rito romano o forse quello
ambrosiano. Nulla di straordinario, salvo il sesso del celebrante.
Dunque, suor Maifreda non era una eretica riformatrice, non voleva
cambiare la Chiesa in senso morale o spirituale, voleva solo un
mutamento dello stato femminile. Nel 1300, sentendo il clima di
attesa che nel mondo cristiano era presente, Dante vi collocherà il
suo viaggio immaginario, tutti credevano a un nuovo periodo, si sperava nell'avvento di una nuova
epoca, si sperava nella venuta dello Spirito santo, il Saramita
addirittura crede ormai prossima la resurrezione di Guglielma. Suor
Maifreda, senza mai contraddirlo, inclina diversamente il senso, dà
un altro significato alla fine secolo, Dio per suor Maifreda non sta
tornando, ma, ella pensa, i segni del suo potenziamento si
testimonieranno con la liberazione del sesso femminile. La messa del
1300 fu curata in ogni dettaglio. Preziosi gli ornamenti e gli altri
oggetti per la celebrazione. Nove giorni dopo frate Guido da
Cocconato interroga Maifreda, ciò dà l'impressione di una
correlazione con la messa praticata, ma non se ne trova traccia nelle
parole dell'inquisitore. La causa sta, sembra, solo nelle voci
diffuse e insistenti che circolano. Il 19 luglio successivo si apre
il processo ai guglielmiti e questa volta alla stessa Guglielma.
Franco Insalaco
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