come promesso ti mando alcune mie
impressioni a proposito del tuo volume di poesie “Rivelazioni”. Ammetto che
quanto hai detto (“potrei pubblicarle sul mio blog”) mi potrà influenzare in
quello che sto per scriverti, almeno nello sforzo di una correttezza
grammaticale e di una forma meno sciatta di quanto di solito si fa in queste
e-mail; vorrei comunque riportarti impressioni, diciamo così, genuine, non
filtrate da pretestuosi tentativi di lettura critica.
Ti dico subito che la prima parte,
“L'immagine allo specchio: la scoperta del mondo e delle parole”, mi sembra la
migliore. La tua rimane una poesia spesso concettuale (deformazione
comprensibile del filosofo), persino quando il tema è quello eros/carne. Ma sai
perfettamente che quando la poesia si fa concettuale in modo preponderante, il
pericolo per il lettore è quello di focalizzarsi su un'estetica di suoni,
mancando un sicuro appoggio o riferimenti interpretativi che magari l'autore
dava per scontati.
Tuttavia, anche la tua poesia
diventa qualche volta narrazione. Penso, per fare qualche esempio, a “Neve” (p.
28), dove l'immagine tanto semplice della neve che cade sopra “strade di
silenzio” parla più di mille iperboli verbali che abbiano per oggetto la
solitudine dell'esistenza. O ancora in “Ostia” (p.43), dove racconti, qui pure
in un paesaggio invernale, di vagabondaggi “dentro osterie di vino”, fino alla
consolante chiusura tra le “forme di donna”.
Questa della poesia-narrazione,
però, è parte meno sviluppata nel tuo libro, a vantaggio dei concetti.
Ma il poeta, lo sappiamo, non è un
ingenuo (almeno non nel tuo caso). E anche tu ti rendi perfettamente conto del
pericolo di incomprensione in cui si imbatte chi vuole trovare perfette
corrispondenze tra mondo e sua descrizione verbale. Penso a “Parole” (p. 29),
dove ammetti la complessità delle parole, appunto, che si dispongono “discinte a
grappoli […] disciolte in scabre voragini […] diatonie di suoni...” e così
via.
Qualche volta dai l'idea addirittura
che del mondo ti interessi meno di quanto ci hai fatto credere, che ti basti il
gioco delle parole; forse per questo in “Succedono” (p. 77) parli di versi
sospesi sul niente.
Il nostro comune amico, Marco Ruini,
mi dice che trova in qualche modo migliori i tuoi ultimi lavori poetici (quelli,
per intenderci, che si preparano per la pubblicazione con l'editore di
Trento).
Io ho imparato che maturità del
poeta e bellezza della poesia non vanno necessariamente di pari passo, e non
credo in evoluzioni in versi nei lavori di un autore. Ma sospendo il giudizio
fino alla alla lettura del tuo nuovo libro.
Dovrai pagare lo scotto di queste
poche righe che ti scrivo, caro Franco! Potresti farlo attraverso due vie. La
prima potrebbe essere quella di leggere un volumetto di poesie dello scrittore
mantovano Adriano Amati (che ti ho fugacemente presentato una sera, a Reggio
Emilia, non so se ricordi), breve raccolta che io ritengo decisamente
interessante, nutrendone forse più considerazione io dello stesso autore, visto
che non ne parla mai molto rispetto ad altri suoi lavori. Questo suggerimento di
lettura risponde anche ad un dovere morale: obbligare voi poeti narcisi a
confrontarvi gli uni con gli altri!
La seconda via è il prevedibile dono
che ti farò in un futuro non troppo lontano di un mio volumetto, forse l'ultimo
che ho scritto (tipografia permettendo).
Un caro saluto.
Davide Donadio - La Clessidra Editrice
P.S.
Ho dimenticato di esprimere un parere più preciso che (pensavo trasparisse chiaro) ovviamente è positivo, le tue poesie mi sono piaciute. Penso che una lettura più attenta, valorizzi di un'opera più del semplice "mi piace" o "non mi piace".
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