![]() |
Atlante Mnemosyne |
Ci
trasferimmo dalla Firenze rinascimentale della Cappella Sassetti alla
corte di Ferrara tramite l'Orfeo del Poliziano, poema d'occasione
proprio per le feste della corte di Ferrara tenute a Palazzo
Schifanoia, letteralmente schifa la noia. Finisce il poemetto con un
inno a Bacco, dio romano corrispondente al greco Dioniso. In realtà
nel salone dei mesi di Palazzo Schifanoia ciò che più interessa
sono i decani. Erano stelle che in Egitto sorgevano in particolari
ore della notte per un periodo di 36 volte ogni dieci giorni. Così
si individuavano le ore notturne in Egitto sin dal 2.100 a.C. Un
decano per dieci giorni indicava una certa ora poi, siccome le stelle
sorgono qualche minuto più tardi, veniva sostituito da quello
precedente. Così con i decani, 36 per dieci fa 360 giorni, gli
antichi misuravano il tempo notturno. A questa concezione pratica gli
egizi ne affiancavano una magica, per la quale il sole nel suo
percorso incontrava geni che ne volevano rubare i poteri. Questi geni
erano proprio i decani che si sollevano al suo tramonto uno dietro
l'altro.
Concezione che dall'Egitto passò duemila anni dopo in
Grecia e attraverso Aristotele ispirò un matematico e astronomo
arabo, Abu
Ma‘shar. Come la maggior parte degli astronomi arabi, questi
mantenne strettamente connessi l’aspetto astronomico
o descrittivo e quello astrologico o divinatorio e, come già
Tolomeo, considerò quest’ultimo aspetto nella sua relazione con la
filosofia, ovvero con la cosmologia aristotelica. La dottrina della
dipendenza di tutti i moti dal Primo Motore attribuiva infatti alle
sfere celesti un ruolo di mediazione che poté, nell’interpretazione
astrologica, essere assunto a fondamento della teoria dell’influenza
degli astri sul mondo sublunare; l’accostamento delle dottrine
fisiche di Aristotele alle dottrine astronomiche e astrologiche di
Tolomeo aveva reso possibile, inoltre, attribuire all’astrologia una
base scientifica e integrarla nel sistema scolastico delle scienze.
Abu Ma‘shar è considerato uno dei maggiori astrologi della sua
epoca per la teoria (esposta nell’opera De magnis
conjunctionibus) delle grandi congiunzioni, secondo la quale vi
sarebbe una stretta connessione fra le reciproche posizioni dei
pianeti e i grandi mutamenti nella storia dell’umanità: crisi
storiche decisive, quali i mutamenti dell’egemonia di popoli e di
civiltà, l’avvento o il tramonto di religioni, l’affermazione o
il crollo di regni e imperi. La creazione del mondo in particolare
sarebbe avvenuta quando tutti e sette i pianeti erano in congiunzione
al primo grado dell’Ariete e la fine del mondo si verificherà
quando tutti i pianeti si troveranno all’ultimo grado dei Pesci.
Questa magia astrale finì raffigurata sulle pareti di palazzo
Schifanoia. Borso d'Este chiese di affrescare il salone del palazzo,
eretto da Alberto d'Este, due anni prima di ricevere dal papa
l'investitura di duca di Ferrara. L'Officina Ferrarese venne
ingaggiata e Cosmè Tura, non si sa fino a che punto, ne prese la
direzione. L'opera fu completata tra il 1468 e il 1470. Chi però
costruì la complessa rappresentazione zodiacale, Warburg lo scoprì,
era Pellegrino Prisciani, bibliotecario, storiografo e
sovraintendente alle arti di corte, oltre che professore di
astronomia. Warburg presentò a Roma nel 1912 gli atti dei suoi studi
sugli affreschi del salone delle feste, per primo aveva intuito il
significato astrologico presente nelle rappresentazioni dei mesi.
Secondo il Prisciani doveva essere una sorta di grande talismano
murale. Così Warburg ricostruì la migrazione dei decani attraverso
la Grecia, l'Asia Minore, l'Egitto, la Mesopotamia, l'India, l'Arabia, la
Spagna, con la finale ricomparsa, Nachleben, e rinascita
a Ferrara.
Punto
d'orientamento di tutta la precessione è il primo decano
dell'Ariete, il Vir
Niger. Ricompare
così questo simbolo dopo tremilaseicento anni nell'affresco dipinto
da Francesco del Cossa, un fantasma che Mnemosyne
non ha dimenticato. Il suo engramma
di energie cristallizzate torna al mondo nel palazzo di Borso d'Este
rivivendo tra i commensali delle sue feste. Le raffigurazioni di mese
in mese mostrano in basso la vita ferrarese, sopra, a sorvegliarne le
fortune, i segni zodiacali con i decani come descritti da Abu Ma‘shar.
In alto, infine, le divinità tutelari del mese con la narrazione di
qualche episodio mitico. Nell'affresco in cui è raffigurato il Vir
Niger, Borso d'Este amministra la giustizia e va a caccia sotto il
trionfo di Minerva, dea romana della guerra di probabile derivazione
etrusca. Così possiamo indicare il circolo ermeneutico warburghiano
come una spirale su più piani. Quello dell'iconografia e della
storia dell'arte, il secondo è la storia della cultura, il terzo è
la sua scienza senza nome, volta a una diagnosi dell'uomo occidentale
attraverso i suoi fantasmi, alla cui configurazione Warburg ha
dedicato la vita.
La
ricerca di cause mitiche per spiegare eventi anomali è una pratica
magica che persiste nei secoli. La contemplazione artistica ha
combattuto contro le paure primitive e contro le speranze delle
pratiche magiche. Durer e la sua terza incisione, Melancolia,
sono al centro dell'analisi del Warburg. Il pianeta maligno Saturno
provoca la bile nera e la tetraggine nell'animo, ed è centrale in
ogni movimento cui si riferisce l'astrologia. Pianeta che pone i suoi
influssi deleteri e distruttivi, la sua presenza in certi momenti della storia singola o collettiva sembra determinare
catastrofi personali e storiche. Così il benefico influsso di Giove e
del suo quadrato magico, presente nell'opera del Durer, mitiga
l'influsso luciferino del pianeta oscuro. Durer costruisce questa
rappresentazione per mostrare come l'imperatore Massimiliano, che si
considerava figlio di Saturno, fosse nella mitologia magica del Durer
al centro di una una trasformazione artistica che si oppone
all'influsso del pianeta mangiatore di bambini, rappresentando invece
l'incarnazione visiva dell'uomo impegnato nella meditazione attiva.
Il demone saturnino, di derivazione pagana, è in un certo senso
sconfitto dalla figura melanconica del Durer in atto meditativo, il
compasso che ha in mano testimonia questa lotta che cerca una presa
di distanza dalle immagini simpatetiche, cioè che sembrano
accordarsi perfettamente con le inclinazioni di qualcuno o qualcosa,
come uno scienziato moderno la Melancolia cerca di trovare tra pratica
magica e matematica cosmologica lo spazio al proprio pensiero per
contemplare l'oggetto in modo spassionato. Ma il regno della ragione
e della riflessione sono sempre tratti in squilibrio dai poteri della
paura e della mentalità magica. Questa lotta di fondo tra motivi
apollinei, bellezza, luce, purezza, e i motivi che vogliono
snaturarli costituisce il polo schizoide della mente umana. In questo
senso Warburg vede nella tecnologia che sottopone al suo controllo la
natura, ad esempio con l'elettricità, un automatico rimpicciolimento
del mondo, cioè un riavvicinamento dell'oggetto, il problema allora
è che quello spazio che l'arte cerca di costituire per meditare e
contrastare la mentalità magica viene dalla techne eliminato. Perciò
il rischio che Warburg vede è la ricaduta repentina nella medesima
condizioni da cui l'uomo faticosamente tenta di sfuggire. La lotta
che avviene nei poli che costituiscono la nostra mente è quella,
secondo il Warburg, che accade tra Atene e Alessandria. Tra la
visione apollinea e i demoni. Tra la bellezza e l'armonia presenti
nella parta alta dedicata agli dei del salone delle feste di palazzo
Schifanoia, e i decani dipinti nella parte intermedia delle pareti.
Il decano principale è il Vir Niger, chi è? Warburg lo identifica
con la costellazione di Perseo, l'eroe che uccide Medusa, chi la
guarda rimane pietrificato dal terrore. I capelli di Medusa erano in
realtà serpenti che si muovevano in ogni direzione. Perseo è l'eroe
che taglia la testa di Medusa, perciò dà un taglio al terrore,
aprendo la via alla bellezza e all'armonia con il suo mito pieno di
costellazioni. Atena alla sua morte lo eternizza in cielo. Perseo
uccide il mostro e al ritorno in volo vede la bellissima Andromeda,
la figlia di Cèfeo e Cassiopea, incatenata a punire l'affronto di
sua madre alle nereidi, ella si era considerata la più bella,
Poseidone le vendica con l'incatenamento della figlia. Andromeda
liberata è sposata dall'eroe Teseo. Ma era già promessa al fratello
di Cefeo, suo zio Fineo. Con il mito di Teseo perciò finisce l'epoca
del matrimonio endogamico possibile all'interno dello stesso clan, e
inizia quello esogamico, cioè solo tra figli di famiglie e clan
differenti, passaggio che si delinea quando il matriarcato cede il
potere al patriatrcato. Ma torniamo al Warburg, nella sua prospettiva
le stelle guidano gli uomini nel loro tentativo di stabilire i
confini del proprio mondo. Nelle stelle riflesse in cielo uomini e
donne vedono forme a cui danno un nome. Se pensiamo che nell'Europa
antica, preistorica, neolitica e paleolitica, gli architetti già
sapevano orientare le loro opere megalitiche, pensiamo a Stonehenge,
siamo circa nel 4000 a.C., e così per tutti i templi di questo tipo,
con disposizione perfettamente allineata nello spazio con ingressi a
nord, sud, est e ovest, in perfetta simmetria con i passaggi degli
equinozi comprendiamo come tecnica e magia siano simmetrici. Avevano
perciò in quelle epoche già idee precise della disposizione
dell'universo. Tale conoscenza era certamente dettata da fini
religiosi e predisponeva una proiezione spaziale in cui la gens si
situava. I nomi dati alle stelle creavano uno spazio riconoscibile
alle popolazioni umane. Ma le immagini corrispondenti ai nomi sono
sempre in procinto di dispiegare il loro potere magico/demonico.
Quando il simbolo che rappresenta l'immagine prevale, allora non sarà
più solo significativo il dato che serve di riferimento al
riconoscimento spaziale, ma si schiuderà alla credenza di qualcosa
di ulteriore. Il significato ulteriore che assumerà accompagna
l'utilizzabile, spesso coprendolo. Quel significato ulteriore è
l'immagine attribuita alla costellazione, per somiglianza, per
familiarità, perché la rappresenta in modo preciso, simpatetico,
tale attribuzione scivolerà verso cause magiche che sovrapporranno l'oggetto con il simbolo, con ciò che lo rappresenta,
cosa e significato allora coincideranno. La crisalide rappresenta la
potenza dei poteri di rinascita, perciò chi la mangia introietta il
suo potere. Noi continuiamo per molti versi questo tipo di movimento
alimentare anche nel linguaggio. Assimiliamo i significati. Non
reggiamo il vuoto che costituisce la lingua, così la dobbiamo
riempire di significati. Scrive Sartre in 'L'essere e il nulla': 'Il
per sé si fa annunciare ciò che esso non è per mezzo delle
qualità. Percepire il rosso di questo quaderno è riflettere se
stesso come negazione interna di questa qualità. Il che significa
che l'apprensione della qualità non è 'riempimento', come vuole
Husserl, ma formazione di un vuoto come vuoto determinato di questa
qualità. In questo senso la qualità è presenza sempre
irraggiungibile. Le descrizioni della conoscenza sono troppo spesso
gastronomiche. C'è ancora troppo prelogismo nella filosofia
epistemologica, non ci siamo ancora sbarazzati dell'illusione
primitiva (di cui dovemo renderci conto più avanti) per la quale
conoscere è mangiare, cioè ingerire l'oggetto conosciuto,
riempirsene e digerirlo ("assimilazione").' Insomma, così
il Warburg vede nell'atterramento del Vir Niger a Palazzo Schifanoia
niente altro che un Perseo rinascimentale che torna proprio a
recuperare spazio alla bellezza rovesciando il significato dei segni
astrologici, come Durer rovescia quello di Saturno. Il Rinascimento
riconosce nell'eroe che uccide il mostro la salvezza dalle
perversioni della tradizione medioevale e orientale. I studiosi
presenti a Roma non si convinceranno della ricostruzione proposta da
Warburg, secondo cui il Vir Niger è Perseo. Per Warburg l'uomo
proiettando le immagini del proprio mondo nel cielo stellato dà un
senso allo spazio che orla i suoi confini, il suo orizzonte, così
aiutato da questi riferimenti riesce a collocarsi. Sarà la
similitudine a dare il nome alle costellazioni, l'orsa, i gemelli, i
pesci sono tutte rappresentazioni per similitudine. Una volta
nominate le stelle sono poste sotto il nostro controllo. Ma per non
perderci, questi punti definiti dall'uomo non devono confondersi con
gli esseri mitici, quando l'immagine da funzionale, cioè proiettata
per scopi mnemonici e per orientamento degli umani, viene scambiata
con la stessa realtà. Il mondo di sogno del pensiero magico allora
confonde il segno utile a orientare, con l'oggetto, il simbolo e il
significato che lo denota, stesso collasso schizoide dei fraticelli
dell'Inquisizione. Si afferma l'idea che le costellazioni siano
davvero tori, gemelli e pesci che abitano il cielo, come le streghe
che non solo sognano o immaginano ma fanno realmente ciò che
raccontano. La metafora visiva si trasforma nella credenza magica. Se
in cielo c'è un ariete questo deve avere tutti i caratteri
dell'ariete, se uno nasce sotto il suo segno ne porterà i caratteri.
Sarà un mercante di tessuti o un pastore, avrà fisionomia e
temperamento dell'ariete. Così la tecnica astrologica tenterà di
trarre il maggior numero possibile di caratteri individuali dalla
costellazione di nascita arricchendo le proprie profezie. Il segno
allora da un lato è utilizzabile come guida spaziale, ma dall'altro
diviene causa dei fenomeni che hanno familiarità di quel tipo, sia
nel passato che nel presente e nel futuro. Quando gli astrologi
aumentano i segni e i significati stravolgendo la forma
originaria del cielo stellato, aggiungono agglomerati puramente
immaginari di figure fantastiche e in questo modo minacciano il sistema di orientamento. I Decani egizi e i sovrani dei dieci mondi si
andranno così ad aggiungere alle poche costellazioni utilizzabili.
Mentre i segni dello zodiaco indicano veramente la posizione del sole
nei mesi da loro governato, dando una valida conoscenza scientifica,
nulla corrisponde a queste personificazioni della settimana nel
calendario egizio. Ma i segni zodiacali e i decani sono ora fianco a
fianco. Anche per l'utilizzabilità egiziana dei decani è da dire
che non si sa quali siano veramente queste stelle, in numero di 36
evrebbero consentito l'individuazione dell'ora notturna, salvo forse
Sirio le altre stelle sono sconosciute, probabilmente erano
costellazioni. Gli astrologi avendo necessità di rendere più
complesso il loro cielo astrale inserirono una serie infinita di
nuove entità immaginarie. Ad esempio moltiplicarono i nomi, se
Eracle e Thot sono la stessa cosa per i Greci e gli Egiziani, gli
astrologi medioevali li usano entrambi, duplicando così le
influenze. I paranatellonta, ad esempio, erano formazioni addirittura
giornaliere e fittizie riprese dagli antichi egizi. Il calendario
egiziano prevedeva 360 giorni divisi in 12 mesi di trenta giorni,
divisi in tre decani e trenta paranatellonta, questi ultimi
influenzavano il destino a seconda dell'aspetto che assumevano il
giorno della nascita. Espulsi da Tolomeo rientrano con Pietro
d'Abano. Tali costellazioni iniziano a confondere la ricostruzione
dei segni funzionali nel cielo. Ma si va oltre nella invenzione dei
segni, nel Picatrix alle costellazioni immaginarie è attribuito un
potere magico e nel Rinascimento era normale che pietre e amuleti
fossero incisi di queste immagini. Picatrix ne riporta di veramente
spaventose. Perciò l'eroe che uccide il mostro secondo Warburg
ritorna verso una interpretazione classica, più razionale e perciò
scientifica. Nell'astrologia Warburg vedeva in atto il pensiero
bipolare. L'immagine di Venere nel Quattrocento poteva contenere
entrambi i poli, pianeta causa di certi effetti astrologici ma anche
evocazione classica della divinità dell'amore. L'astronomo Greco
fissò nel cielo la sua teoria di movimenti traducibili
matematicamente e giustificati dai movimenti delle stelle. Il sistema
tolemaico delle sfere, con i suoi cicli ed epicili, è una immagine
scientifica in grado di afferrare e prevedere il movimento delle
stelle. La bellezza, la contemplazione, sono di antidoto alle
pratiche magiche. Dove regna la contemplazione sparisce la paura.
L'idea di un universo governato dai numeri porta agli usi e abusi di
questa concezione. Se è dominato dai numeri è perché c'è una
armonia nel tutto che ritorna, ciò mette in relazione il micro con
il macro. L'uomo e l'universo sono in rapporto simpatetico, ciò che
si muove sopra, si muove anche sotto. Ma questa impostazione riapre
il varco alla interpretazione magica. Bene, questa che abbiamo appena
descritto è la prospettiva di Gombrich. Ne seguiremo una di tenore
opposto, che è invece di Didi-Huberman. I filosofi preferiscono
questa seconda versione meno apollinea.
Riprendiamo
il filo dell'analisi che Warburg tesse sul Rinascimento. Analisi che
pone al centro della sua indagine alcuni elementi ripresi da
filosofi, biologi, psicologi, critici ecc. L'arte è necessaria
all'uomo per oggettivare il reale e prenderne distanza. Per
controllare le forze che lo costituiscono. Per avere un rapporto in
cui le cause degli eventi siano messe a distanza e chiarite. Il fatto
è che in ogni essere vivente scatta un meccanismo di attribuzione di
causa provocato dalla paura. Prendere distanza da tale paura è
l'elemento patico con cui l'arte cerca di agire tale controllo. Per
questo nella sua storia il riferimento è sempre alla bellezza. Come
unico obiettivo che l'arte ha nel suo discorso con la bellezza trova
la sua verità. Il dio per Warburg abita i particolari. Così la
bellezza è sempre accompagnata da sintomi, segni, forme che ne
dichiarano una diversa origine. Hanno origine in ciò che la bellezza
copre. Cosa copre la bellezza? La condizione tragica della vita.
Insomma, alla fine c'è la morte. Cerchiamo una consolazione a questa
tragedia tramite la bellezza che aiuta a dimenticarcene. Le
patosformel
sono per Warburg le forme con cui il pathos si ripresenta dietro la
bellezza, nei particolari, nei dettagli. Come Freud cerca nei sogni,
nei qui pro quo, negli errori linguistici, i segni e i sintomi della
patologia, anche Warburg nei dettagli trova i sintomi. Tenterà
Warburg anche di disegnare le forme che si ripresentano, per dare un
ordine che però si accorge è impossibile da inquadrare. Avverte che
sotto l'apollineo narrare delle immagini è nascosto un groviglio di
serpenti arrotolati che guardano ciascuno in altra direzione. Dioniso
così viene nascosto sotto la bellezza narrata da Apollo. Il pathos
del corpo è soggiogato dalle spiegazioni che il sapere positivo pone
cercando le cause, cioè il significato. Ma sotto rimane il
groviglio, nei particolari, nei dettagli, dove viene meno il cuore
del messaggio, allora un contenuto opposto emerge. Il pensiero è
così sempre in gioco tra scienza e passione fisica, corporea, che
trascina quella sovrabbondanza generosa e spaventosa costituita dalla
vita e dal suo limite, dalla sua fine, dalla morte. Il fatto è che
egli vede l'arte rinascimentale attraverso un complicato movimento
che ha al suo centro il problema delle immagini. Partirà da lui, dai
suoi discepoli, l'iconografia e l'iconologia. La prima vede il segno,
la seconda il contenuto. Ma entrambe sono vie troppo strette per il
modo di procedere del Warburg. Egli scopre che le immagini sono
revenantes,
sono fantasmi, ma subiscono torsioni, cambiamenti, tensioni,
nonostante la loro condizione spettrale. Nella introduzione del
Boccaccio alla quarta giornata del Decameron si parla delle donne che
sono corrispondenti a quella imago della Ninfa di cui parla l'autore.
La imago moderna inizia con lui, quando dice nel Corbaccio, al
contrario di ciò che afferma nel Decameron, che 'le cose più belle
son femmine, ma non pisciano'. Stella, ad esempio, è femminile, ma
non piscia. Questo è un punto in cui la sutura che il medioevo con
Dante e Cavalcanti aveva tentato unendo imago e mondo reale il
Boccaccio separa, le immagini sono immaginate, perciò non pisciano.
Questa demarcazione stabilisce l'inizio della letteratura moderna.
Direi che ha a che fare con il realismo e il nominalismo. La scuola
di Tommaso e il nuovo che avanza con Occam.
Ninfa
è per Warburg, secondo Agamben, l'immagine dell'immagine. Cioè al
quadrato. Aby questo studia, citando in alcune occasioni proprio il
Boccaccio. Ma cosa significa questo? Bo! Non lo so. Certamente mette
in evidenza un fatto. Che le immagini abitano la memoria individuale
e anche quella storica. ll punto è che nel Rinascimento, proprio
quando inizia il processo che si apre alla modernità, ciò che
Warburg nota è una molteplicità di forme che riguardano immagini
del passato, cioè pagane. Ad esempio, il Vir Niger e tutti i decani
rappresentati a palazzo Schifanoia dall'Officina Ferrarese. Questa
unione Warburg l'aveva notata anche nel simbolo come indicato da
Vischer, un hegeliano che però a differenza di Hegel ritiene
importante psicologicamente i simboli, per Hegel erano sotto il
profilo logico insignificanti, spiegano solo il modo in cui l'uomo
ha iniziato ad attribuire la causalità in modo errato e sotto
l'impeto della paura. Vischer ne evidenzia l'aspetto psicologico. Se
osservo la crisalide diventare farfalla ecco il simbolo della
rinascita. Ma anche l'ostia non rappresenta il corpo di Gesù, lo è.
Perciò nel simbolo l'immagine/oggetto non rappresenta è. Warburg
descrive la danza del serpente vedendo in atto lo stesso meccanismo.
Prenderà da Darwin tre concetti sull'espressione, e mostrerà come
nel Masaccio lo studio di Darwin sull'espressione aiuti a comprendere
i volti dipinti. Ma sopratutto come l'inversione indicata da Darwin
porta le immagini a significare l'opposto di ciò che in origine
significano. La Ninfa da dionisiaca diventa cristiana. Ciò per
Warburg significa che sotto la bellezza apollinea continuano a venire
fuori, Nachleben,
le forme, Pathosformel,
impresse da Dioniso. Questa è la schizofrenia presente nella nostra
immaginazione. Il Warburg vede che mentre il serpente degli indiani
non rappresenta ma è il fulmine e alla fine della cerimonia viene
liberato, invece con la nuova causalità scientifica si spiega
l'elettricità e il suo processo, ma il serpente viene sterminato.
Vede
come le forme pur rimanendo uguali abbiano significati differenti.
Come, insomma, sopravvivano, nachleben, ad esempio in pieno
Rinascimento, quando nel salone dei mesi di Palazzo Schifanoia i
decani ancora indicano le stagioni e il loro ruotare notturno. Oppure
la servetta di Domenico Ghirlandaio così simile alla Vittoria romana in
effige su un solido, cioè la moneta dell'Imperatore Costantino II.
La servetta come la dea alata ha una forma ricorrente a cui Warburg
dà il nome di Ninfa. La ninfa Liriope e il Dio fluviale Cefiso
concepiscono Narciso. Ninfa vitale e dio fluviale malinconico. Così
accade che le forme siano energia cristallizzata nella memoria che
riemerge ricorrentemente in costellazioni, configurazioni
energetiche, cui Warburg dà il nome di engramma, prende
il nome da un biologo, Semon, con cui si indicavano nella struttura
neurale le modifiche che ogni esperienza lascia nella memoria. Nelle
connessioni sinaptiche strette con i neuroni la traccia mnestica
cambia per sempre la mappatura cerebrale e perciò storica. Tale
configurazione storica Warburg cercherà nell'ultimo progetto della
sua vita di disegnare tramite l'Atlante illustrato della memoria,
Atlante Mnemosyne,
rimasto incompiuto.
Ciò
che interessa è la dimensione politica che apre questa prospettiva.
Partiamo con la forma che è anche contenuto. Warburg amava da bimbo
entrare nell'armadio dove al suo fondo trovava delle calze di lana,
metteva la mano dentro la calza e provava un grande piacere per il
caldo della stoffa a contatto con la pelle e per la forma di borsa
che otteneva, gli piaceva poi il dono che via via sfilava dalla
borsa che la calza era diventata, ma sfilato il dono che nascondeva,
quando alla fine la manina era uscita, sgomento vedeva che la forma
della borsa non c'era più, insomma, si rendeva conto che forma e
contenuto sono la stessa cosa. Certo, come dice Adorno nella Teoria
Estetica, il contenuto è sedimentato. Ciò significa che ogni forma
non sta mai detta una volta per tutte. Che nessuno può dirla
definitivamente, neanche l'autore. Non ha l'autore maggiore autorità
per dire il senso della sua opera di quanta ne abbiano altri. Anzi
spesso altri possono scoprire molto più di quanto l'autore stesso
credeva di aver messo. Siamo in un gioco che a questo punto Adorno
esplicita dicendo che l'invisibile abita nel visibile. Poiché non
tutti vedono allo stesso modo, solo alcuni percepiscono ciò che ad
altri è invisibile, ne colgono le tracce.
Per
questo la forma pur rimanendo la stessa continua a produrre senso.
Non rappresenta soltanto, non riproduce il reale, ma produce. Produce
che cosa? Produce se stessa e il suo contenuto. Warburg ha presente
la polarità tra Apollo e Dioniso, sa che non si conclude attraverso
la sintesi, non avviene che uno si risolva nell'altro. Si tratta
pertanto di riconoscere nel rappresentabile, l'apollineo,
l'irrapresentabile, Dioniso. Cioè nel visibile, l'invisibile. Questa
è la dimensione tragica dell'immagine in cui il sensibile è
irriducibile all'intelligibile. Perciò Warburg ritiene che quando
vediamo una immagine essa sia carica stratigraficamente nella sua
dimensione sensibile di memoria, mnemosyne, intrisa di oblio. La
conoscenza allora non può emanciparsi completamente dal mito, a
differenza di quanto crede la concezione evoluzionista e
progressista. Ciò testimonia come ogni conoscenza abbia una origine
mitica. La memoria incarna l'immagine alla sua superfice e le
garantisce autonomia confronto alla realtà, perciò essa può
stratificarsi in significati così differenti. Nei fenomeni Warburg
e Adorno sentono manifestarsi storicamente la molteplicità dei
significati. Così l'irrapresentabile, l'invisibile, si dà
nell'immagine che è presentazione di se stessa, perciò è opaca, ma
insieme rappresenta anche l'altro, cioè è trasparente, perciò non
è possibile ridurre tutto a rappresentazione. Tale condizione
rovesciata ne determina la potenza, poiché tale impossibilità di
ridurre tutto a rappresentazione consente all'immagine di produrre
dal suo interno significati sempre nuovi.
L'immagine
è allora autonoma due volte, esteticamente nella forma sensibile,
formalmente dalla parte del significato. A differenza di chi ritiene
il mito il primo passo verso la conoscenza, prima tappa della
trasformazione simbolica del mondo che poi penserà la scienza a
correggere se non ad annullare, vedi Cassirer e i neokantiani, ma
anche Gombrich, per Warburg al contrario l'influenza delle forze e
delle emozioni primitive non viene mai meno. Si modifica nei periodi
successivi ma rimane elemento fondamentale della rappresentazione.
Cassirer dopo Warburg ne elimina il nucleo mitico-pagano, iniziando
quella messa tra parentesi della tensione tra immagine e significato
a vantaggio di quest'ultima dimensione, come faranno il Gombrych e lo
stesso Panofsky. Tale riduzione dal visivo al verbale porta alla
perdita di quella storicità dell'immagine che per Warburg è
fondamentale. Perciò possiamo dire che la 'Scienza senza nome' del
Warburg, più legata alla vita anziché all'elemento letterario e
formale, trasforma la critica d'arte in una scienza della cultura.
Ora ciò che ha più rilievo in questa relazione che Warburg pone tra
memoria, immagine e tempo è che si nega un inizio assoluto. Cioè le
cose più antiche non vengono prima di quelle meno antiche, non
esiste quindi una storicità assoluta, autonoma, delle immagini. La
vita dell'immagine ha invece una sua temporalità interna. Esiste sì
il passato, ma esso sempre si ricostituisce nel presente, nell'atto
di chi lo pensa, altrattanto come il presente si costituisce a
partire dal passato. Ciò vuol dire anche che non esiste forma senza
contenuto, vale anche il contrario, inoltre che il contenuto è
formato nel tempo. Tale tempo non è più perciò lineare ma
complesso. Perché è dal suo presente che si proietta verso il
passato, cioè verso il futuro. Questo il motivo per cui non esiste
archetipo assoluto. Non esiste neanche l'originale e la ripetizione.
Già
Goethe aveva messo in evidenza come l'immagine sia divenire, ma se fosse
solo tale non sarebbe riconoscibile, perciò deve anche essere. Questa
doppia condizione del'immagine la pone tra due poli, forma e
contenuto, che non rendono mai possibile una classificazione
definitiva. Ecco allora che aiuta il concetto di Warburg della
sopravvivenza, nachleben,
cioè della ricomparsa di significati antichi insieme a quelli nuovi.
Impossibile una memoria senza immagini, ecco quindi il tentativo di
Warburg di ricostruire tramite l'Atlante Mnemosyne
la loro storia intrinseca. Tale opera viene concepita con una maglia
concettuale larga, cioè tramite determinazione e traslazione di una
classe, ricordate la crisalide e il suo potere di rinascita? Bene, è
simile al concetto di somiglianza famigliare di Wittgenstein.
Questa impostazione temporale fa sì che non sia più possibile
distinguere tra originale e copia, la ripetizione ha in sé anche
l'origine stratificatasi nel tempo, accade perché le immagini sono
vive, in noi, nella nostra memoria, perciò nachleben,
sopravvivono. Ciò porta a concludere che il passato apparentemente
irrevocabile, per noi si rimette in movimento, cioè ridiventa
possibile. Così l'immagine è come Giano bifronte, ha una doppia
temporalità, una in entrata e una in uscita, come l'attimo, inizia,
apre, ma già sta finendo, si chiude. Si apre e riapre. Eppure se
l'attimo è pieno, cioè creativo, rimane eterno, vedi anche il
problema dei fatti che stanno fatti di Jankalevich. Perciò è
necessario elaborare un'altro concetto di tempo.
Warburg
parla di polarità, Benjamin di 'immagine dialettica'. Emerge per
entrambi la modalità contraddittoria come presenza e
rappresentazione. Appare per rendere visibile. Per questo più che la
continuità storica prevale la discontinuità, l'anacronismo, nella
temporalità dell'immagine. Così Benjamin passa dalla concezione del
passato come 'fatto obiettivo' al passato come 'fatto di memoria',
come fatto cioè in movimento. Ciò non significa che i fatti non
restino fatti, cioè che quanto è avvenuto sia emendabile. Ma
significa che la traccia mnestica che quei fatti hanno tracciato può
cambiare. Insomma, è nella memoria che noi ricostruiamo il passato,
perciò si esclude che il lavoro dello storico possa fare a meno di
una teoria della memoria. Ora si tratta di non andare verso la
memoria volontaria, quando cioè andiamo razionalmente a
ricordare i fatti, ma di orientarci verso quella memoria involontaria di Proust in cui per il corpo si produce qualcosa di diverso da ciò che è.
L'origine per Benjamin e il nachleben
di Warburg, cioè sopravvivenza, entrambi sono per questa condizione
produttiva, creativa e ricreativa. Un passato che ritorna come
anacronistico, cioè senza tempo. Dunque ritorna come non è mai
stato vissuto, torna allora anche come possibilità. I mass
media danno sempre i fatti, ma
come memoria volontaria, come memoria dei vincitori, senza la loro
aura, cioè senza le
possibilità. Un fatto questo che ci lascia impotenti, dal momento
che si offrono come mero oggetto di constatazione. Ma l'idea di corso
progressivo del tempo non è forse l'idea che la cultura dominante,
cioè dei dominatori, impone? Tale cultura vuole l'esclusione di
molteplici possibilità, voci e immagini. Ad esempio, quelle degli
ultimi. Ed è lo sdegno per tale esclusione che porta Benjamin a
concepire una rivoluzione rivolta al passato. Una redenzione che
riguarda quel passato perduto e restituisce la parola a chi è stato
escluso, a chi è stato dimenticato proprio dalla storia lineare dei
vincitori. Per questo è necessario contrastare l'oggettività
fattuale di ciò che è stato. In una lettera Max Horkheimer aveva
scritto: "L'ingiustizia passata è avvenuta e definitivamente
conclusa. Gli uccisi sono veramente uccisi... L'ingiustizia,
l'orrore, i dolori del passato sono irreparabili'. Benjamin risponde:
'La storia non è solo scienza ma anche e non meno una forma di
rammemorazione. La rammemorazione può fare dell'incompiuto (la
felictà) un compiuto, e del compiuto (il dolore) un incompiuto'.
Questa è l'immagine dialettica che tra scienza e rammemorazione
porta con sé una salvezza non più illusoria e rivolta al futuro ma
al passato. Costruisce cioè un nuovo rapporto tra presente e
passato, lavora esclusivamente sulla traccia mnestica. Ma non si può
accettare, come ricorda Hannah Arendt descrivendo la discussione tra due
tedeschi nel dopo guerra, che uno dica che è la Russia ad aver attaccato la Germania richiedendo alla sua opinione la stessa dignità di quella opposta.
Scrive Benjamin: "Non è che il passato getti la sua luce sul
presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò
in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l'ora (Jetz)
in una costellazione. In altre
parole: immagine è la dialettica nell'immobilità. Poiché, mentre
la relazione del presente con il passato è puramente temporale,
quella tra ciò che è stato e l'ora (Jetz) è
dialettica: non di natura temporale ma immaginale. Solo le immagini dialettiche sono immagini autenticamente storiche (cioè non
arcaiche)".
Allora,
per ciò che riguarda la traccia mnestica il ricordo diventa anche un
risveglio, quando finalmente per noi il passato acquista la sua piena
intelleggibilità. L'immagine dialettica è un fermo immagine, dove
il passato ancora non è completamente fatto e il suo sapere ancora
non è giunto, perché solo ora può finalmente realizzarsi. Quel
punto è il risveglio che interrompe il continuum
storico, sono cioè le epifanie di Proust. Questo è lo spostamento
che Warburg pone nel nachleben,
la sopravvivenza, ed è anche, forse, il motivo per cui lui stesso
guarisce dalla schizofrenia. Perché il passato riletto alla luce
delle nuove acquisizioni sprigiona una energia che porta alla
conversione. Si dà conversione quando non sono più i modelli a
condizionarci, il loro posto lo prende l'immaginazione attiva, cioè
la creazione, ricreazione. Questa la distanza che Warburg marca dal
metodo stilistico-formale, quello che invece è inclinato a seguire
anche il Gombrich, cioè imperante nella storia dell'arte alla fine
del diciannovesimo secolo. Spostamento dalla valutazione estetica
dello stile dal formalismo estetico, per seguire la sopravvivenza
nella memoria, nella cultura, delle pathosformel
che come engrammi energetici parlano ancora al nostro presente.
Warburg più che un investigatore è allora un cacciatore di perle,
termine con cui Hannah Arendt definisce la filosofia poetica del
cugino, Walter Benjamin. Perché non è possibile quadrettare
mnemosyne, occorre
immergersi con i pericoli che questo comporta, come in un oceano
senza limiti noti, cioè: ineffabile, invisibile, indicibile,
inimmaginabile, inquadrettabile, indivisibile, imparcellabile,
impartizionabile.
Shakespeare:
A
cinque tese sott'acqua
Tuo
padre giace
Già
corallo
Son
le sue ossa
Ed
i suoi occhi
Perle.
Tutto
ciò che di lui
Deve
perire
Subisce
una metamorfosi marina
In
qualche cosa
Di
ricco e di strano.
Ad
ogni ora
Le
ninfe del mare
Una
campana
Fanno
rintoccare.
Allora
ci immergiamo di nuovo e capiamo che lì dove tutto è naufragato,
nel tempo, ci sono degli autentici tesori. Scoprendo anche che il più
ricco, quello che si mostra ogni tanto per poi sparire, come dice
Hannah Arendt, lì si nasconde, nell'immagine. Cioè, la possibilità
che riapre la libertà. Se l'immagine infatti non è mai chiusa,
l'immaginazione creativa può rendere pieno ogni attimo della sua
energia, ricreare ogni volta un senso che ci libera del passato e dai
suoi condizionamenti.
Franco Insalaco
Franco Insalaco
Nessun commento:
Posta un commento