Fu
malattia ciò che mi diè
L'intimo
impulso creativo.
Creando
vidi che guarivo,
Crear
fu guarir per me.
(Heine, Poesie amorose, Ricciardi)1
Prendo spunto a partire dal mio
articolo per il numero precedente di Anemos sul dolore. Vi
evidenziavo del soggetto, dell'identità, cioè di chi crediamo di
essere, la sofferenza quando siamo di fronte al cambiamento. Quella
forma di resistenza sta alla base anche del narcisismo. Provoca una
sorta di condizione dogmatica che è lo stato a cui il narcisista
giunge. A partire da questa posizione cristallizzata chi ci cade
crede di avere capito tutto e pensa di essere il centro del mondo.
Questo modo di essere evita il divenire, fissa delle certezze per non
cambiare e soffrire, insomma, cerca di sfuggire al dolore. Condizione
necessaria al narcisista per riflettere sul mondo è sempre quella di
guardare solo a se stesso. Una modalità del riflettere
caratterizzata dalla mancanza
di pensiero. Nel narcisista questo impedimento costituisce l'elemento principale del suo atteggiamento, aspetto che insieme a quello sessuale messo in evidenza da Freud, per lui però solo questo è il reale e vero motivo, è ciò che contraddistingue il narcisista. D'altronde per il premio Nobel per la medicina nel 2000 Kandel, peraltro anche psicoanalista freudiano, la grande intuizione di Freud è l'inconscio, scusate se è poco. Il neuroscienziato racconta la dimostrazione scientifica fatta da Hans Kornhuber nel 1967 di come l'inconscio anticipi sempre la ragione di fronte a una scelta, lo dimostra il fatto che nell'esperimento lo scienziato sa sempre prima del soggetto la decisione che prenderà. Il passaggio del testimone avviene tra strutture generali di base, inconsce, e quelle superiori con un funzionamento bottom up e top down, che solo infine, cooptando le aree linguistiche, diviene consapevole. Alla ragione rimane comunque la possibilità di aderire o meno al suggerimento dell'inconscio, cosa fondamentale per sentirsi liberi e avvertire come proprie le scelte fatte. Ma questo significa anche che possiamo decidere limitatamente alle opzioni suggerite dai processi inconsci, vedi di Kandel: 'L'età dell'inconscio. Arte mente cervello dalla grande Vienna ai giorni nostri', (Raffaele Cortina Editore). Kandel, al di là dell'inconscio, al pensiero di Freud riconosce grandi intuizioni che però peccano delle verifiche necessarie ad essere considerate scientifiche, soprattutto per la mancanza di strumenti adatti che all'epoca non erano disponibili, pertanto in buona parte la psicoanalisi è poco più che letteratura. Bisognerebbe realizzare esperimenti adatti a verificare il pensiero di Freud nel suo complesso. Ma essendo la materia dello studio la mente presumo che la cosa sia impossibile per la scienza più hard.2 Tanto che la coscienza è dai neuroscienziati descritta con una metafora teatrale: il faro illumina il palcoscenico, che sarebbe il soggetto, dietro il palcoscenico i meccanismi di scena, davanti il pubblico poi i tecnici, gli attori ecc. compongono il set complessivo della mente. Come avviene quindi che si formi la coscienza è attribuito al complesso di attività cerebrali attive nel loro insieme. Insomma, se ne sa ancora molto poco. In 'Principi di neuroscienze', Casa Editrice Ambrosiana, di Kandel, Schwartz e Jessel alla coscienza sono dedicate appena un paio di pagine su 1.439.
di pensiero. Nel narcisista questo impedimento costituisce l'elemento principale del suo atteggiamento, aspetto che insieme a quello sessuale messo in evidenza da Freud, per lui però solo questo è il reale e vero motivo, è ciò che contraddistingue il narcisista. D'altronde per il premio Nobel per la medicina nel 2000 Kandel, peraltro anche psicoanalista freudiano, la grande intuizione di Freud è l'inconscio, scusate se è poco. Il neuroscienziato racconta la dimostrazione scientifica fatta da Hans Kornhuber nel 1967 di come l'inconscio anticipi sempre la ragione di fronte a una scelta, lo dimostra il fatto che nell'esperimento lo scienziato sa sempre prima del soggetto la decisione che prenderà. Il passaggio del testimone avviene tra strutture generali di base, inconsce, e quelle superiori con un funzionamento bottom up e top down, che solo infine, cooptando le aree linguistiche, diviene consapevole. Alla ragione rimane comunque la possibilità di aderire o meno al suggerimento dell'inconscio, cosa fondamentale per sentirsi liberi e avvertire come proprie le scelte fatte. Ma questo significa anche che possiamo decidere limitatamente alle opzioni suggerite dai processi inconsci, vedi di Kandel: 'L'età dell'inconscio. Arte mente cervello dalla grande Vienna ai giorni nostri', (Raffaele Cortina Editore). Kandel, al di là dell'inconscio, al pensiero di Freud riconosce grandi intuizioni che però peccano delle verifiche necessarie ad essere considerate scientifiche, soprattutto per la mancanza di strumenti adatti che all'epoca non erano disponibili, pertanto in buona parte la psicoanalisi è poco più che letteratura. Bisognerebbe realizzare esperimenti adatti a verificare il pensiero di Freud nel suo complesso. Ma essendo la materia dello studio la mente presumo che la cosa sia impossibile per la scienza più hard.2 Tanto che la coscienza è dai neuroscienziati descritta con una metafora teatrale: il faro illumina il palcoscenico, che sarebbe il soggetto, dietro il palcoscenico i meccanismi di scena, davanti il pubblico poi i tecnici, gli attori ecc. compongono il set complessivo della mente. Come avviene quindi che si formi la coscienza è attribuito al complesso di attività cerebrali attive nel loro insieme. Insomma, se ne sa ancora molto poco. In 'Principi di neuroscienze', Casa Editrice Ambrosiana, di Kandel, Schwartz e Jessel alla coscienza sono dedicate appena un paio di pagine su 1.439.
Nel mito di Narciso si ripresenta un
rifiuto di fatto sessuale, avesse ragione Freud? Narciso ignora Eco
che perdutamente innamorata lo segue fino a morire. Narciso non se ne
cura. Non la guarda nemmeno, è solo una ninfa. L'amore della giovane
da Narciso ripudiato lo porterà alla nemesi. Gli dei che lo avevano
mantenuto giovane alla condizione che non potesse vedere la sua
bellezza, tolgono l'incantesimo. Narciso morirà affogato perdendo
l'equilibrio mentre bellissimo si guarda riflesso nell'acqua cercando
di afferrare la sua immagine. Insomma, è in effetti potenzialmente
di natura sessuale e amorosa la relazione con Eco. Ciò che
sottolinerei però è soprattutto il problema della mancata
relazione, questa è la sua hybris. Avrebbe potuto parlarle.
Stessa cosa poteva fare Orfeo, invece di guardare Euridice sapendo
che l'avrebbe persa. Eccesso del vedere sul sentire, del concetto sul
percetto. Della filosofia sulla poesia. Irrelazione della vista e
della voce. Da un lato Narciso guarda solo il suo riflesso,
dall'altro Eco rimanda solo le ultime parole, ma tutto parte da
Narciso che la ignora.
Nella patologia narcisistica legata
alla mancata relazione cosa significa pensare è, a mio parere, la
cartina tornasole. Mi avvarrei, come nell'articolo sul dolore, delle
neuroscienze, della filosofia e della poesia per approfondire in modo
complessivo la natura della questione. Pensare è una attività che è
sempre in pericolo. Come la lumachina di Adorno che se tocchiamo le
antennine le ritrae sempre più a lungo, anche il narcisista sempre
meno riesce ad estrofletterle. In questo modo si atrofizza il
pensiero. In questo senso mi pare interessante la sottolineatura che
compie una freudiana convinta ma anche rivoluzionaria come la Klein,
per lei curare significa proprio riaprire la possibilità al soggetto
di pensare. Cosa è il pensiero? Non è semplicemente una attività
interiore che si realizza in solitudine. Pensare significa costruire
relazioni. Relazioni che hanno origine fuori di noi, nel mondo in cui
siamo situati. Senza relazioni non c'è pensiero. Quando Kant scrive
le stelle sopra di me e la legge morale in me, evidenzia un intreccio
indispensabile tra trascendenza e immanenza senza il quale non si
pensa.
Pensare comporta un effetto preciso
sotto il profilo biologico. Gli engrammi per il biologo svizzero
Semon sono costellazioni di neuroni che tengono traccia delle nostre
esperienze. Neuroni che attivano sinapsi e assoni se le esperienze
sono significative, oppure le sfrondano se ritenute insignificanti.
Connessioni tra neuroni si stabiliscono quindi a partire dalle
relazioni con cui siamo intrecciati con il mondo. Intrecci che si
traducono in significato tramite l'accesso all'infinito che consente
il linguaggio. Una duplice posizione marca il pensiero, da un lato la
creazione di connessioni, relazioni costruite con mattoni plasmati
dalle esperienze che facciamo nel mondo attraverso la costruzione di
architetture neuronali; dall'altra poi la loro traduzione linguistica
che accede alle infinite possibilità del senso. Il pensiero si
realizza con questo duplice movimento. E' relazionale perché ha
bisogno di partire da altro, altrimenti rischia di essere
tautologico. La chimica che fisiologicamente ne è alla base è già
simbolica, cioè subito traducibile in linguaggio, come aveva intuito
Gregory Bateson, vedi: 'Verso un'ecologia della mente', Adelphi. Il
punto è che se fossi solo nell'universo non potrei pensare, senza
relazioni niente pensieri. Socrate diceva che non era mai così solo
come quando era con gli altri, mai meno quando era solo con se stesso
sdoppiandosi in un dialogo interiore tra sé e sé. Indicava in
questo modo il filosofo ateniese che è sempre dialogico ciò che dà
a pensare, apertura verso l'altro da me, anche tra me e me, per
evitare il rischio di diventare dogmatici. Il pensiero è quindi
continuamente a rischio di essere non solo dogmatico ma anche
tautologico. Tali sono le condizioni del narcisismo imperante.
Narciso ammira se stesso e non vede altro. Cioè, è precluso al
pensiero. Privatosi delle relazioni il narcisista ha solo un sistema di dogmi,
stereotipi, modi di dire, in cui crede fanaticamente. Non avendo
accesso all'infinito del linguaggio e privo delle relazioni
necessarie per pensare ricade in engrammi sclerotizzati,
cristallizzati e definitivamente fissati. Rigidità di pensiero e
indisponibilità alla diversità contraddistinguono la condizione
narcisista. Ne segue la convinzione che il proprio modo di pensare
sia il più valido, poco disposto ad ascoltare altri punti di vista,
il narcisista è sempre alla ricerca di nuove conferme e ha la
soluzione per tutto. Interviene in ogni occasione e afferma sempre le
stesse cose, convinto di essere dalla parte della ragione. Essendo
preclusa la sfera del possibile e dell'infinito, come le antennine
della lumachina, il pensiero al narcisista non è più disponibile.
Pensare, nell'accezione che stiamo proponendo, vuol dire cercare il
senso in un intreccio tra dentro e fuori la nostra mente. Il
cervello, che è compreso nel corpo, chi l'avrebbe mai detto, è il
materiale su cui i sensi tracciano una impronta esterna, i percetti,
che registrati e poi elaborati dalle aree linguistiche di Broca e
Wernicke creano il senso, cioè il pensiero. Per questo il pensiero è
dentro e fuori di noi. Sotto questo profilo non aveva torto Platone
quando colloca le idee nell'iperuranio. Ma anche quanto Platone
scrive nel Timeo è
significativo: 'Conviene paragonare alla madre quello che riceve, al
padre quello da cui riceve, al figlio la natura intermedia, e
considerare che, dovendo l'impronta essere assai varia e di tutte le
varietà, ciò in cui si forma l'impronta sarà ben preparato a
ricevere, a condizione che non sia fornito di tutte quelle forme
quante si appresta a ricevere da fuori. Se infatti ciò che riceve
fosse simile ad una di quelle cose che entrano, e se dovesse
accogliere quelle cose che fossero sopraggiunte e che avessero natura
contraria e del tutto estranea ad esso, le rappresenterebbe male,
perché accanto a quelle rappresenterebbe la propria forma. Perciò
bisogna che ciò che deve accogliere in sé tutte le specie sia
estraneo ad ogni forma, come per gli unguenti odorosi ad arte si
escogita prima di tutto il modo per cui siano assolutamente inodori i
liquidi che devono accogliere gli odori, mentre quelli che cominciano
a plasmare delle figure in qualcosa di molle, non permettono che si
manifesti affatto alcuna figura, ma spianano prima la materia per
renderla quanto più è possibile liscia. Allo stesso modo, anche ciò
che spesso deve ricevere bene in ogni sua parte le immagini di tutte
quelle cose che sempre sono, conviene che per natura sia estraneo a
tutte le forme. Perciò la madre e il ricettacolo di tutto ciò che è
generato visibile e assolutamente sensibile non dobbiamo chiamarla né
terra, né aria, né fuoco, né acqua, né quante da queste sono
nate, né quelle da cui queste sono nate: ma se diciamo che è una
specie invisibile e priva di forma, che tutto accoglie, che prende
parte dell'intellegibile in modo assai oscuro e difficile a
comprendersi, non diremo nulla di falso.' Mi pare sia descritta
perfettamente la natura della attività che compiono i neuroni. Dopo
l'intreccio tra il mondo e il cervello spinto a costruire relazioni,
cioè creare i dendriti e gli assoni necessari connettendo i
neuroni/mattoni in nuovi engrammi a formare percetti, questi possono
essere tradotti in concetti o espressi poeticamente. L'origine del
pensiero per questo motivo è prima di tutto poetica. Il percetto
viene prima, dopo si forma il concetto. Il percetto sta alla poesia
come il concetto alla filosofia. Il problema è come avviene questa
operazione. Argomento da approfondire in un eventuale prossimo numero
di Anemos sulla poesia. Come già abbiamo visto complessivamente i
neuroscienziati non sanno come si forma la coscienza di cui il
pensiero è la massima espressione. Tuttavia se l'attività
dell'immaginazione attiva è impedita sul narcisista incombe in
caduta libera tautologia, dogmatismo e a volte, dal Novecento sempre
più spesso, bieca-mente letale il fanatismo.
1 Poesia
citata da Freud nel saggio: 'Introduzione al narcisismo', Opere
complete, Bompiani.
2
La scienza più dura d'altronde avanza per
confutazioni, quindi se fossero disponibili esperimenti in tal senso
avrebbero già dimostrato gli errori dell'inventore della
psicoanalisi, cosa che ancora non è avvenuta. Perciò dire che non
è dimostrato scientificamente non significa confutarlo. D'altronde
la scienza cerca di dimostrare proprio per potersi rifondare. Quando
finisce questo processo? Qualsiasi pensiero per essere scientifico
deve essere sperimentabile in modo da poterlo contestare. Se è
sorpassato non lo è perché semplicemente falso, ma perché il
grado di conoscenza resa possibile dai mezzi e dalle scoperte di un
certo periodo sono superate in un altro. Per questo il pensiero
scientifico progredisce e si perfeziona non linearmente. Come
l'acqua ghiaccia all'improvviso con cambiamento repentino del suo
stato, altrettanto si modificano i paradigmi della conoscenza. Gli
scienziati cercano così di andare oltre i limiti della propria
epoca.
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