Sono stata invitata giovedì prossimo a
festeggiare il nuovo appartamento di un'amica.
Non parliamo qui del piacere indiscusso
di stare con le amiche.
Parliamo dell'apparato ideologico che
costituisce e sostanzia per noi le priorità della vita.
Ricevendo l'invito mi è tornato in
mente quando sono venuta ad abitare nella nuova casa di (mia)
proprietà, sei o sette anni fa. Una casa 'importante', grande, con
belle rifiniture, giardino e porzione di castagneto, un luogo dolce e
sereno nel primo appennino modenese - un ottimo affare in termini di
qualità-prezzo. L'ondata di consenso sociale mi ha travolto. Era un
successo nella mia vita, un punto di arrivo; qualcuno ha scherzato
dicendo che ero proprietaria terriera e avrei avuto molti
corteggiatori; mi hanno interrogato telefonato festeggiato
complimentato celebrato quando ci incontravamo; hanno lodato la bella
dimora e apprezzato la mia fortuna. Ho sentito che avevo ottenuto una
grande cosa.
Ero (come giustamente aveva osservato
il mio amico) diventata 'proprietaria' di terra e immobile. Ero
un'adepta del dispositivo di privatizzazione che governa il sistema,
e prima ancora il pensiero, occidentale.
In realtà era successa un'altra cosa,
molto più banale e molto meno gratificante. Avevo venduto un
appartamento (che a sua volta era stato acquistato coi soldi dei miei
genitori più mutuo decennale), trovato casa e terreno con un'agenzia
immobiliare, integrato il pagamento con altri soldi di famiglia e
finalmente traslocato. Io, di per me, non avevo fatto nulla, ma
proprio nulla, nulla voglio dire di ciò che si raggiunge con
capacità, studio, desiderio, intelligenza personale e legami
affettivi – le uniche cose per cui vale la pena stare al mondo.
Solo che queste cose per cui vale la
pena stare al mondo transitano per lo più inavvertite nel tessuto
delle nostre quotidianità, con un piccolo entusiasmo di tipo
marcatamente interfamiliare. Non dico le riuscite istituzionali, come
la laurea o il lavoro, che, essendo appunto ufficialmente promossi
dall'ideologia egemone, valgono di per se come successi. Saranno
sempre sacrosanti e lodati, anche se io rimango un imbecille e un
incapace. Dico invece le bellezze dello stare al mondo: mi sono
innamorata (innamorata, dico, non accompagnata, convissuta o
sposata), ho scritto una poesia (scritto, dico, non pubblicato), sono
competente, anzi geniale, in una materia, ho adottato un gatto...
Facciamo nella vita cose che valgono incommensurabilmente di più
dell'acquisto di una casa, sono più belle e più degne che se ne
parli. Il consenso accoglie, tangibilmente e pervasivamente, solo
l'evento 'eccezionale' che conferma la validità dell'apparato
politico-sociale fondato su famiglia e proprietà. Il resto (quel
resto che ci permette di esistere ogni giorno) fa tutto parte
della normalità.
Quando mi sono laureata ho chiesto ai
miei genitori di non venire in università, e credo me ne vogliano
per questo. Allora agivo per impulso: ero arrivata ad odiare talmente
l'istituzione che non volevo dare ufficialità ad alcuna cerimonia.
Adesso capisco che avevo intuito quello che poi con gli anni ha
costruito la base del mio pensiero.
“-
È una cravatta, cara, una bella cravatta, come hai detto tu. È un
regalo, del Re e della Regina Bianchi. Ecco! -
-
Davvero? - Fece Alice, assai contenta di aver scelto l'argomento
giusto, dopo tutto.
- Me
la diedero - continuò Humpty Dumpty cogitabondo mentre accavallava
una gamba sull'altra e con le dita intrecciate stringeva il ginocchio
fra le mani, - me la diedero come regalo di non- compleanno -
- Le
chiedo scusa? - fece Alice con un'aria perplessa.
- Non
sono offeso - replicò Humpty Dumpty.
-
Voglio dire, che cos'è un regalo di non compleanno? -
- Un
regalo che non viene dato il giorno del compleanno, evidentemente -.
Alice
ci pensò sopra. - Preferisco i regali di compleanno - disse infine.
- Non
sai di cosa stai parlando! - Esclamò Humpty Dumpty.”
(L.
Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò)
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