Il
flaneur
e il detective.
Di
Franco Insalaco
Il
fenomeno un po’ strano del
vedere così o altrimenti
fa
la sua comparsa solo quando uno riconosce che c’è un
senso
in
cui l’immagine resta
identica mentre qualcos’altro, che si vorrebbe
chiamare
concezione può
modificarsi. Finché io prendo l’immagine
per
questa o quella cosa […] non si affronta ancora il problema dello
scindersi dell’impressione in immagine visiva e concezione»
Wittgenstein:
Osservazioni sulla filosofia della psicologia.
Già
subito
mentre inizio
a scrivere
questi appunti provo a immaginare cosa abbia da dire la filosofia
agli scrittori sulla scrittura
noir.
Il noir ha una grammatica differente dagli altri generi? Differente
da quella del linguaggio in genere? Anzi della Lingua?
Cosa sia la Lingua
per Saussurre è presto detto, cioè lo sfondo culturale che dà
significato al significante, questi uniti formano un segno
linguistico che
è
necessario sia condiviso e comunicabile. Per C. S. Peirce il segno è
invece
contraddistinto
dal ground, cioè dal
terreno su cui la cultura si basa, potremmo dire dall'Umwelt,
che significa ambiente, cioè il mondo in cui viviamo e che
condividiamo fatto soprattutto di natura, anche se per lo più
antropizzata. Il segno per il filosofo americano è quindi
extralinguistico. Può essere che il noir abbia una sua grammatica,
ma allora quali sono specificatamente le regole a cui deve
rispondere? Un testo di filosofia uscito negli anni '30 indica alcune
questioni relative al giallo che possiamo considerare all'origine del
noir attuale. Racconta quali siano del giallo i caratteri salienti
che lo contraddistinguono. Siegfred Kracauer è il filosofo e
saggista in questione. L'autore scrive anche un testo sul cinema dove
parla della passione insaziabile di Eisenstein per le storie gialle,
in queste il grande regista vedeva, secondo la sua biografa Marie
Seton, l'agire di una coscienza super normale attraverso la quale il
mistico raccoglie, da elementi sparsi, prove in favore delle proprie
esperienze. Kracauer commentando questa osservazione dice: ‘Può
esserci qualcosa di vero. Poe non era forse un mistico? L'indagine
poliziesca corrisponde, nel campo secolare, alla speculazione
teologica.' Cerchiamo di capire cosa si intende per campo secolare, è
evidentemente il mondo in cui viviamo, poiché nel frattempo Dio se
non è morto non sta tanto bene. Con il declino del sacro la cultura
inclina più verso l'immanenza che la trascendenza. Il giallo si
occupa quindi secondo Kracauer in forma teologica della realtà
terrena. Teologica nel senso della sua più potente effettuazione,
cioè la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Nel giallo si dimostra
qualcosa invece che ci riguarda più da vicino, che
accade cioè nella
nostra vita quotidiana.
L’illuminismo
Si
tratta di investigare, di illuminare, di chiarire eventi concernenti
le vicende umane. Illuminare è un termine non casuale. Voltaire con
il Candido mostra già come l'investigatore sia in grado di intuire
da pochi segni ciò che è accaduto. La ragione è pertanto il luogo
della investigazione. Cioè
quella
ragione illuminante che Kant aveva definita così: 'L'illuminismo
è l'uscita dell'essere umano
dallo
stato di minorità di cui egli stesso è colpevole.
Minorità
è
l'incapacità di servirsi della propria intelligenza
senza
la guida di un altro. Colpevole
è
questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di
intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di
servirsi di essa senza essere guidati da un altro.' Questa è la
definizione che il filosofo tedesco dà dell'illuminismo. L'orizzonte
dell'uomo singolo, di ciascuno, può così ampliarsi tramite l'uso
della propria intelligenza, poiché essa è in grado di uscire dalla
minorità in cui siamo posti e farci diventare maggiorenni. Il giallo
così se rappresenta in qualche misura la società del tempo in cui è
scritto, la rappresenta a partire da questa indicazione kantiana,
cioè come
la
società dei maggiorenni. Ma se da un lato l'orizzonte si apre verso
l'autonomia del singolo, ora in grado di rispondere autonomamente ai
quesiti del vivere, secondo Kracauer, contemporaneamente li chiude in
uno spazio più limitato. Perché....
certo nel giallo siamo in contatto con il mistero ma questo sparisce quando viene razionalmente spiegato.
certo nel giallo siamo in contatto con il mistero ma questo sparisce quando viene razionalmente spiegato.
La
hall
dell’albergo
Per
questo Kracauer dice che siamo passati dalle navate della chiesa alla
hall
dell'albergo. In questo slittamento gli uomini sono stati trascinati
da più rivoluzioni, sopratutto in Francia, che hanno determinato
l'avvento della borghesia e del regime liberale, difatti scrive
ancora Kracauer: 'Ciò è spiegabile ove si consideri il detective
classico come prodotto della democrazia liberale. Infatti lo scaltro
segugio che, da solo, fa sì che la ragione distrugga le ragnatele
delle forze irrazionali e la virtù trionfi sugli istinti oscuri, è
il tipico eroe di un mondo civile che crede nel toccasana della
ragione e della libertà individuale.' Da cosa si denota l'indagine
poliziesca? Dalla ricerca dei dettagli. Un grande investigatore della
psicologia storica della mente umana attraverso l'arte è il critico
tedesco Aby Warburg, un suo leit
motiv
era che Dio è nei particolari. È proprio quelli che Warburg
indagherà rivoluzionando il modo di vedere l'arte nel Novecento.
Palazzo
Schifanoia
Nell'analisi
che Warburg fa degli affreschi di palazzo Schifanoia di Ferrara, ad
esempio, la sua indagine si snoda attraverso un arco di tempo che va
dall'Egitto e dalla Grecia antica fino agli affreschi di Cosmé Tura
nel salone delle feste dipinto dalla sua scuola. Il palazzo venne
modificato nel 1485 da Borso d'Este alla sua nomina di Duca di Modena
e Reggio. Borso
voleva creare uno spazio adatto appunto a schifare la noia. Ora
Warburg pensava in termini psicologici, cioè riteneva che la mente
dell'uomo avesse sempre cercato attraverso l'arte prima e la scienza
poi di controllare la paura. Sono l'arte e la scienza gli strumenti
per mettere a distanza il reale e la morte superando le forze paniche
che nell'antichità dominavano gli uomini, cercare di spiegarle
trovando le cause per mitigarle, questo era l'obiettivo. Perciò
arte e scienza ricoprivano quelle forze di spiegazioni dandogli un
senso per
così controllarle,
proprio perché non avessero più lo sguardo pietrificante della
Medusa. Gli uomini attraverso la conoscenza trovano le ragioni che
spiegano quelle forze pietrificanti mettendole a distanza. Per
Warburg tuttavia quelle forze, seppure poste tra parentesi nella
spiegazione, continuavano ad emergere sotto forma di particolari, di
dettagli. Il Dio appunto abita i particolari come diceva il critico
tedesco. Chi è il Dio che lì si manifesta? Se la spiegazione
apollinea, spirituale, con l'arte mette a distanza la paura, in
particolare della morte, Dioniso fa riemergere nelle forme corporee
quelle forze rimosse. Warburg con l'atlante di Mnemosyne
cerca di fotografare le forme che tale forza dionisiaca prende
nell'espressione artistica dei vari periodi storici sotto forma di
engramma, che è poi l'impronta che assume nei vari periodi storici
l’immagine.
Se la bellezza attraverso l'arte mette a distanza ciò che è
spaventoso, questo è quanto fanno le forze spirituali apollinee, le
forze istintive e corporee continuano a manifestarsi e Dioniso
ricompare nei dettagli, seppure ricoperto dalla bellezza non è
ridotto al silenzio. Quanto come forme continua a venire fuori
ripetendosi, Nachleben,
sopravvivendo cioè nei particolari, mostra
la sua presenza. Le forme stratigraficamente sedimentandosi
simbolicamente sopravvivono piene di energia nell'engramma.
L'engramma è una parola inventata dal biologo tedesco Semon che
indica la proprietà della materia organica di essere plasmata
dall'esperienza come immagine ricordo. Sono tracce mnestiche che si
rilanciano storicamente di epoca in epoca come forze pur sottoposte a
cambiamenti di senso o di polarità, da positive possono
anche diventare
negative. L'immagine
che per un periodo storico è sacra per un altro è blasfema. Sono
queste le Pathosformeln,
forme del pathos,
cioè
fossili
viventi delle antiche paure. Simboli di forze che sono state
ammaestrate. Così il serpente che agli indiani serviva per dominare
il fulmine, di cui era il simbolo per somiglianza, il serpente come
una saetta, sarà poi archiviato dalla tecnica con la sua spiegazione
dell'elettricità. Però è una finta vittoria, pensa Warburg, perché
la scienza distrugge ciò che spiega reificandolo, oggettivandolo,
rimpicciolendo il mondo con la sua spiegazione. Kracauer condivide
questo rimpicciolimento facendo l'esempio dell'uomo passato dalla
Chiesa alla hall
d'albergo. Costituisce quindi l'oggetto della techne
e le sue promesse una sottrazione d'anima. Anima che ha al suo fondo
secondo Warburg un groviglio di serpenti, ognuno con la propria
energia e direzione, ognuno acciambellato nell'altro che lo
contraddice, che non si schematizza, che non si sintetizza, rimanendo
un organismo misterioso. Insomma, la mente degli uomini e delle donne
non è oggettivabile, quadrettabile, inquadrabile, il suo mistero
permane nonostante l'illuminismo. Ciò non significa che non si debba
indagare, infatti per palazzo Schifanoia Warburg troverà chi aveva
progettato la complessa rappresentazione zodiacale, era il
bibliotecario della famiglia d'Este, Pellegrino Prisciani, che voleva
creare una sorta di Talismano naturale. La migrazione delle figure
rappresentate a Ferrara erano così arrivate attraverso la Grecia,
l'Egitto, la Mesopotamia, l'Arabia, la Spagna. Gli affreschi sono
dipinti in tre linee sovrapposte, in alto la vita degli Dei, in mezzo
i decani, i decani erano stelle che erano usate in Egitto per
misurare le ore notturne, in basso scene di vita degli Este. A noi
interessa uno dei simboli che inframezzano la rappresentazione, il
primo decano, cioè il Vir
Niger.
Questo simbolo ricompare nell'affresco dipinto da Francesco Del
Cossa da
epoche arcaiche.
Possiamo
indicare il circolo ermeneutico warburghiano come una spirale su più
piani: quello dell'iconografia
e della storia dell'arte, poi la storia della cultura, infine della
sua scienza senza nome, quest’ultima volta a una diagnosi dell'uomo
occidentale attraverso i suoi fantasmi, le Pathosformeln,
alla cui configurazione Warburg dedicò la vita senza completarne
l'atlante.
Il
Vir
Niger
Perché
ci interessa il Vir
Niger? Perché
secondo il Warburg è Perseo, cioè l'eroe che uccide Medusa i cui
capelli sono serpenti che si muovono in tutte le direzioni. Perseo
taglia la testa di Medusa e la fa finita con il terrore che
pietrifica. Nell'idea di Warburg c'è abbiamo visti un percorso
progressivo nella cultura e nell'arte che attraverso la ragione vince
la paura. Difatti il critico da bambino vedeva
come la sua manina entrando nelle calze prese dall'armadio desse loro
forma e come questa regolarmente si sgonfiava quando la ritraeva.
Capisce che la forma è il contenuto,
cioè il significato. Stanno insieme forma e contenuto anche se
questo è, come dice Adorno, stratigrafico, cioè si somma nel tempo,
perciò la forma continua ad alimentarlo. Tanto produce la forma
contenuti che permette nel tempo, ad esempio, di leggere l'Iliade
dandogli nuovi significati, vedi Simone Weil e il suo saggio
intitolato 'L'Iliade o il poema della forza'. Ciò porta a concludere
che la forma o significante produce significato e che questo per lo
più è stratigrafico e quindi invisibile. Quando si scrive pertanto
è in gioco un atto di finzione che ha nella forma e nello stile una
invisibile produttività. Forse siamo ad un punto nodale del rapporto
tra giallo e noir. Il giallo opta per una forma chiusa in cui la
verità è svelata e la ragione si è fatta una ragione
dell'accaduto, per quanto violento e irrazionale esso sia. Nel noir
invece questa redenzione è più problematica. Nel noir l'aspetto
irrazionale e violento rimane all'orizzonte e continua a
interrogarci, a produrre senso e pertanto ciò che dice Kracauer del
giallo non è valido per il noir. Ora
vedremo se
lo è veramente per
il giallo. Kracauer scrive sui prodotti della letteratura di genere:
'L'idea
di una società civilizzata e completamente razionalizzata, che essi
concepiscono in maniera radicalmente unilaterale e di cui sono la
stilizzata rifrazione estetica. L'immagine che ci viene offerta è
abbastanza spaventosa: presenta infatti una situazione sociale in cui
l'intelletto privo di qualsiasi vincolo, ha riportato la vittoria
finale; una reciprocità caotica e ormai puramente superficiale di
cose e figure dall'apparenza scialba e sconcertante. Tutto ciò
perché la realtà, eliminata in maniera artificiosa, viene deformata
fino alla smorfia. La vuota realtà del mondo civilizzato è il
prodotto della ragione formale... L'autentica comunità morale
costituisce la sfera superiore della realtà, mentre il mondo della
società ne è invece la sfera inferiore'.
Il
flaneur
Per
Kracauer scrive Marco Bertozzi nel suo Detective malinconico: 'il
flaneur,
indolente osservatore della realtà sociale che lo circonda, diventa
il moderno detective, cioè il rappresentate della razionalità
scientifica del mondo industrializzato incarnando la ratio
che governa l'impianto formale di tutta la tradizione classica del
romanzo poliziesco. Perciò questo
genere letterario, considerato minore, è invece in grado di
rivelarci il volto più profondo (proprio perché ne deforma
l'immagine fino alla smorfia) di una società de-realizzata'. A me
pare Bertozzi dica il giusto, ciò
che Kracauer vede descritto dal giallo è
proprio la
società dissociata dall'ambiente circostante, limitata
nel
suo orizzonte alla hall
d'albergo dove ciascuno si trova senza sapere perché, contro la
dimensione trascendentale della Chiesa frequentata da uomini che
condividono insieme una ricerca e un mistero superiore,
trascendentale, che supera finanche le possibilità
razionali di spiegazione. Fatto è che accade anche altro nell'epoca
in cui nasce il giallo che ne
mostra i limiti appena
evidenziati.
Capita che la realtà è riprodotta dalla finzione via via in modo
sempre più diffuso, dalla fotografia, dal cinema, dalla radio, dalla
televisione fino agli esiti attuali dei media trasmessi nel WEB.
Ancora prima dell'epoca in cui il flaneur
di Benjamin passeggia a Parigi un racconto di Poe intitolato 'L'uomo
della folla' delinea proprio
quella
figura. Siamo a Londra, già allora così affollata, nel racconto
pubblicato da Poe nel 1840, il protagonista della storia seduto al
Bar vede i passanti e ne deduce professione, interessi, cultura
finché è colpito da un vecchio molto bizzarro e strano che sembra
terrorizzato, così decide di seguirlo. Scoprirà dopo averlo seguito
tutto il giorno e la notte che è l'uomo della folla, egli non vuole
né può stare solo. Quanto questa figura preannuncia da lì a poco
meno di un secolo l'uomo massa del totalitarismo, è evidente. L'uomo
massa è l'uomo privato della realtà personale che desidera unirsi
sempre di più agli altri omologandosi infine nei sistemi totalitari
che lo piegheranno alla loro volontà
anche con i media.
Dopo, l'uomo non potrà più essere solo, neanche nel suo privato,
neppure nella sua testa, i processi del
regime staliniano
giudicheranno
addirittura se il pensiero degli accusati è o meno borghese, non si
era condannati per agire ma per pensare, come per le streghe gli
accusati confessavano che era vero, avevano avuto pensieri borghesi,
perciò meritavano di essere condannati. La comunità totalitaria è
chiusa in modo tale che si è dentro o si è fuori. In questo senso
la comunità letteraria è l'unica aperta, come scrive il filosofo
francese Jan Luc Nancy, perché ogni scrittore è libero di inventare
il suo mondo senza
essere ostracizzato dai colleghi.
Il quesito allora è se quanto dice Kracauer del giallo su tutti i
suoi limiti è vero o no. Se Edgar Allan Poe sia o no il primo a
inventare questo genere diventa secondario, ci interessa che ne
faccia parte. In questo senso mi pare una risposta interessante la
dia il testo di Jaques Derrida intitolato Il fattore della verità.
Guarda un po' proprio quella che il giallo cerca. Cosa disamina il
testo di Derrida? Un altro testo di Jaques Lacan che parla di un
altro racconto di Poe: 'La lettera rubata'. Siamo dentro a una
vertiginosa serie di rimandi di cui il mio è in questo caso
l'ultimo. Già possiamo vedere l'abisso che si apre con la citazione
di una citazione di una citazione. Io cito Derrida che cita Lacan che
cita Poe. Ma ciò che qui interessa è Derrida che analizza
l'analista che a sua volta analizza Poe. Cito l'inizio del testo di
Derrida: 'La
psicoanalisi, supponendo, si trova. Quando
si crede di trovarla, è la psicoanalisi, supponendo, a trovarsi.
Quando trova, supponendo, essa si trova - qualcosa. Accontentarsi di
deformare qui la grammatica, come si dice, generativa, di questi tre
o quattro enunciati. Ma dove? Dove si ritrova, già, da sempre, la
psicoanalisi? Il luogo dove si trova ["ga
se trouve"],
se si trova, chiamiamolo testo... Per esempio: che cosa succede nella
decifrazione psicoanalitica di un testo quando quest'ultimo, il
decifrato, si spiega già da sé? Quando dice di più del decifrante
(debito, questo, più volte ammesso da Freud)? E soprattutto quando
"per di più" esso inscrive in sé la scena della
decifrazione? Quando dà prova di una maggior forza nel mettere in
scena e deriva il processo analitico, fino alla sua ultima parola,
per esempio la verità? ... La verità vi eseguirebbe un pezzo: che
il filosofo o l'analista preleva all'interno di un funzionamento più
potente.'
Il
punto mi pare sia ciò che Derrida già da subito e poi nel resto del
saggio mette in rilievo, cioè come il testo di Poe non sia
facilmente riducibile alla logica di Lacan e quindi di Freud e della
psicoanalisi. Cioè la finzione di Poe è più potente della verità
di Lacan e di Freud. Derrida sostiene che la finzione, ha in sé
maggiore produzione di senso ed è anche più veritiera del saggio
che l'analizza. Tant’é
che secondo Derrida il testo di Poe ha già previsto quello di Lacan.
'La lettera rubata' è lo scippo che tenta Lacan, ma
non è
il solo,
riducendone però la portata. Dico
non
è
il solo
perché Derrida mostra come l’analisi
di
Lacan si
rifaccia al
saggio Edgar Allan Poe uno studio psicoanalitico scritto da
Marie Bonaparte che però non
cita
mai.
Il testo sulla
lettera rubata di
Lacan si
trova in Scritti
volume primo. La
lettera è il significante che gira tra più mani e più volte assume
significati differenti. Inizialmente la regina l'aveva nel suo
scrittoio rovesciata perché non se ne vedesse l'autore, il re non ci
fa caso ma invece la vede il suo primo ministro, il quale se ne
appropria visto dalla regina, che però non può fare niente, sennò
poi anche il re, che finora non ci ha fatto caso, la vede. La polizia
avvertita dalla regina la cerca in casa del ministro senza trovarla.
Per questo il commissario si rivolge a Dupin. La lettera, il
significante, non aveva alcun potere di per sé, a meno che il re non
la scopra, cioè la veda, ma la regina finora l'ha nascosta, è solo
quando è in mano al ministro che il gioco si fa più duro e la
regina è sotto scacco. Il significante così cambia di significato a
seconda della situazione in cui è mostrato, anzi nascosto. Dupin
naturalmente si muove meglio del poliziotto e riesce a trovarla in
casa del ministro
sottraendogliela in modo da restituirla alla regina. Ora sotto scacco
è il ministro, al quale in sostituzione dell'originale Dupin lascia
una lettera simile ma che rende
riconoscibile l'autore dello scacco. Il significante cambia
significato a seconda di chi lo detiene. Il circolo ermeneutico in
fondo è proprio questo. Lacan cerca di appropriarsi di questo testo,
la lettera rubata, per mostrare come lavora l'inconscio. L'inconscio
funziona come il linguaggio, questa la sua ipotesi prossima quindi
allo strutturalismo. Ma che la lettera rubata sia il significante che
tanto più è in evidenza tanto più è nascosto mostra come
l'invisibile sia anche questa volta in gioco tra la finzione, il
senso, il significato e la verità. Infatti,
cambiando
racconto, Edipo
non sa che è figlio di Laio e solo l'indagine che svolge, a causa
dalla peste che ha colpito Tebe, rende noto all'investigatore che è
proprio lui l'assassino, che non solo ha
ucciso
il
padre ma poi ha
sposato
addirittura sua
madre. Il significante era conosciuto sempre in modo parziale, gli
unici a saperlo per intero erano gli dei e forse l'indovino Tiresia.
Lo sapeva in parte il pastore, in parte il guardiano del bosco, ma
la lettera circolando non compare mai per intero, finché Edipo ne
riunisce tutti i frammenti e ne comprende la tragica verità. Allora
possiamo dire che nelle tragedie greche il simbolo era frammentato in
almeno due metà, queste una volta ricongiunte rendevano il
significato visibile. Ma le cose stanno anche diversamente.
Soprattutto per il fatto che il pensiero non dovrebbe essere limitato
al significante sotto forma solo linguistica. Un animale che vede il
volto del padrone se ne fa un concetto e lo riconosce tra altri, vedi
Semir Zeki, senza
che ciò implichi il linguaggio. Ecco che il significante è ora non
solo linguistico ma segno visibile, udibile, odorabile, toccabile. Il
pensiero è anche fuori dalla Lingua
concepita
da Saussure,
cioè da quello sfondo culturale che condividiamo come esseri umani.
L’autismo
Una
abilità questa linguistica da cui gli autistici, ad esempio, sono
esclusi. Questi difatti hanno grande difficoltà con il linguaggio,
nonostante
ciò
una scienziata come Temple Grandin ha grandi
capacità di pensiero. Le ha attraverso le immagini. Può gestire le
immagini in modo tale da sfogliare un libro per ricordarne ciascuna
pagina e ripeterla a memoria. Un
altro esempio è
Einstein quando
scrive
ad un amico: 'Le parole o la lingua come sono scritte o parlate, non
sembrano avere alcun ruolo nel meccanismo del mio pensiero. Le entità
fisiche che sembrano servire come elementi nel pensiero sono certi
segni e immagini più o meno chiare che possono essere
volontariamente riprodotti e combinati. Gli
elementi sopra menzionati sono, nel mio caso, alcuni di tipo visuale
e altri muscolari. Le parole convenzionali o altri segni devono
essere ricercati laboriosamente solo in un secondo momento, quando il
menzionato gioco associativo è stabilito sufficientemente e può
essere riprodotto a volontà'. Per
questo è limitante dire che l'inconscio funziona come un linguaggio.
Anche se la più grande intuizione di Freud è confermata dalle
neuroscienze secondo
cui i processi che il cervello compie per vedere, sentire, toccare,
odorare sono prima di tutto percepiti in
modo astratto, i neuroni sono specializzati su minime unità,
e poi ricostruiti in modo da percepire il mondo come lo conosciamo,
proprio con processi avvenuti senza che ne siamo minimamente
consapevoli, certo
poi
per l'uomo è fondamentale tradurli linguisticamente, cioè mediarli.
Ma
solo
ora interviene il linguaggio, quando
tutto è ormai accaduto. La
coscienza
poi ha possibilità di scelta e
per questo possiamo ritenerci più liberi degli altri animali.
Scrivere significa anche usare questa potente capacità
accedendo ai
processi inconsci
(preconsci) in
modo creativo dato che, come abbiamo visto, la coscienza è l'ultima
a sapere cosa succede. Molte delle nostre possibilità creative sono
precedenti al gioco linguistico tra significante, significato e
oggetto di saussuriana memoria. Sono nascoste proprio in quelle
attività inconsce che precedono la consapevolezza. Le cui regole non
sono linguistiche ma semiotiche. La potenza dei processi inconsci è
tale che essi avvengono in parallelo mentre, ad esempio, il
linguaggio è seriale, per questo sono molto più veloci ed efficaci.
Arnheim già a metà del Novecento metteva in evidenza come la nostra
cultura sia ancora metafisica e limitata credendo il linguaggio
l'unico processo cognitivo, cioè il solo modo di pensare. Ma se noi
percepiamo la figura vasi/volti o papera/coniglio in modo alternato è
perché in quel disegno percepiamo uno alla volta il
significato legato all'immagine che prevale. Il significato è nella
forma e questa non è linguistica perché è una percezione che, come
dice Arnheim, è anche pensiero. Ciò indica come la visone non sia
una registrazione meccanica ma è volta a cogliere le strutture
significanti interne a quelle figure bistabili vasi/volto o
papera/coniglio. Ogni percezione è anche pensiero. Ricordiamoci che
il linguaggio arriva per ultimo dopo una serie di processi percettivi
che poi traduce spesso in cliché omologanti. In questo senso il
racconto giallo di Poe mostra come il significante, la lettera
rubata, proceda stratigraficamente nei suoi significati legati a
situazioni differenti, evidenziando quanto la percezione del
contenuto sia determinata dal contesto che ne indirizza il
significato. Il significato è nell'immagine che si dà in un modo o
nell'altro come se di volta in volta fosse visi o vaso, papera o
coniglio. Rimane la Lingua
come scoglio se pensiamo ad essa come cultura condivisa dagli uomini,
ma se guardiamo
alla Lingua
nei termini definiti
da
Peirce
e Pasolini
lo scoglio si appiana, perché essa non è più legata alla cultura
ma alla natura, al mondo, alla realtà. Era la Lingua
con cui Pasolini faceva cinema, Lingua
delle immagini e
della realtà
quindi
extralinguistica.
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