Il cinema, l'arte della menzogna, l'ambiente e il coronavirus.
Franco Insalaco
Franco Insalaco
'Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo, lo dirò; e tu dammi il dono ospitale come hai promesso. Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano madre e padre e tutti quanti i compagni.'
(Omero, Odissea).
(Omero, Odissea).
C'è un'arte della menzogna che supera tutte le altre. Supera quella narrata agli altri, ed è quella di raccontarla a se stessi. Cioè, quando ce le raccontiamo senza volercene accorgere. Il coronavirus mi dà l'esca per parlarne. Eppure la menzogna è una questione attiva, cioè se racconto una balla so che la sto raccontando, perciò implica una dimensione etica e politica, la devo raccontare ad altri. Dire una menzogna passivamente, senza rendersene conto, è possibile? Si può dire che è una
menzogna lo stesso o si deve qualificare come un errore? Dire la verità nell'ultimo testo di Foucault indica la capacità di dire ciò che si pensa in ogni caso, cioè di essere sinceri. Ecco, non è che dico la verità, cioè, ciò che dico potrebbe non essere vero, però lo dico perché ci credo, credo che lo sia. Se dialogo e so che dire una certa cosa può dispiacere o far arrabbiare il mio interlocutore non falsifico le mie idee ma le esprimo liberamente, ciò non toglie che posso sbagliarmi e credere a ciò che dico pensandolo vero mentre invece non lo è. Quindi la parresia è una questione soggettiva e personale non ha a che vedere con l'oggettività della verità, ammesso che ci sia e che si trovi. In tal caso sono sincero e dico ciò in cui credo, magari sbagliando senza saperlo. Adeguo a me stesso ciò che dico. Ma questo adeguare a se stessi si scontra con la phronesis, cioè la saggezza che tende al bene, al vero e alla sophia, cioè alla conoscenza. Se sono saggio, direbbero Platone e Socrate, è possibile che ciò che credo sia anche vero. Perciò la menzogna si situa a livello di adeguatezza a se stesso. Chi dice menzogne non è adeguato. Ma chi crede a menzogne come fossero vere e si adegua alle stesse raccontando ciò che pensa si pone all'interno della sincerità del suo dire, quindi è dentro la parresia, ma non alla phronesis poiché crede al falso. Importante fare queste distinzioni perché la veridicità ricade sempre entro la soggettività che la esprime credendoci. La scienza infatti ha inventato il sistema in cui dire la verità significa dimostrarla oggettivamente, cioè tutti i soggetti possono riprodurre l'esperimento ottenendo lo stesso risultato. Ciò vale anche per la verità matematica, difatti razionalmente non possiamo dire a chi mostra che due e due fanno quattro io non credo, per poi esprimere una verità aritmetica differente. La scienza e la filosofia si sono via via orientate verso una maggiore capacità di esprimere la verità oggettiva e adeguata al soggetto che sempre più può verificarne oggettivamente la consistenza, almeno in alcune questioni, in modo empirico. Oggi la filosofia analitica è più orientata sul versante linguistico e logico mentre la filosofia continentale, pur condividendo questo ateggiamento, inclina verso l'aspetto storico e culturale di ciò che viene analizzato. Non si parte solo dalla logica ma anche dalla cultura storica del tempo per capire cosa abbia da dire una certa discorsività, cercando così di analizzare il suo dispositivo che è sempre connesso a forme di potere che alla fine di solito producono la verità del loro tempo storico. Per questo sarebbe interessante interrogare come agisce la biopolitica a causa del coronavirus e lo stato di eccezione cui siamo sottoposti oggi.
menzogna lo stesso o si deve qualificare come un errore? Dire la verità nell'ultimo testo di Foucault indica la capacità di dire ciò che si pensa in ogni caso, cioè di essere sinceri. Ecco, non è che dico la verità, cioè, ciò che dico potrebbe non essere vero, però lo dico perché ci credo, credo che lo sia. Se dialogo e so che dire una certa cosa può dispiacere o far arrabbiare il mio interlocutore non falsifico le mie idee ma le esprimo liberamente, ciò non toglie che posso sbagliarmi e credere a ciò che dico pensandolo vero mentre invece non lo è. Quindi la parresia è una questione soggettiva e personale non ha a che vedere con l'oggettività della verità, ammesso che ci sia e che si trovi. In tal caso sono sincero e dico ciò in cui credo, magari sbagliando senza saperlo. Adeguo a me stesso ciò che dico. Ma questo adeguare a se stessi si scontra con la phronesis, cioè la saggezza che tende al bene, al vero e alla sophia, cioè alla conoscenza. Se sono saggio, direbbero Platone e Socrate, è possibile che ciò che credo sia anche vero. Perciò la menzogna si situa a livello di adeguatezza a se stesso. Chi dice menzogne non è adeguato. Ma chi crede a menzogne come fossero vere e si adegua alle stesse raccontando ciò che pensa si pone all'interno della sincerità del suo dire, quindi è dentro la parresia, ma non alla phronesis poiché crede al falso. Importante fare queste distinzioni perché la veridicità ricade sempre entro la soggettività che la esprime credendoci. La scienza infatti ha inventato il sistema in cui dire la verità significa dimostrarla oggettivamente, cioè tutti i soggetti possono riprodurre l'esperimento ottenendo lo stesso risultato. Ciò vale anche per la verità matematica, difatti razionalmente non possiamo dire a chi mostra che due e due fanno quattro io non credo, per poi esprimere una verità aritmetica differente. La scienza e la filosofia si sono via via orientate verso una maggiore capacità di esprimere la verità oggettiva e adeguata al soggetto che sempre più può verificarne oggettivamente la consistenza, almeno in alcune questioni, in modo empirico. Oggi la filosofia analitica è più orientata sul versante linguistico e logico mentre la filosofia continentale, pur condividendo questo ateggiamento, inclina verso l'aspetto storico e culturale di ciò che viene analizzato. Non si parte solo dalla logica ma anche dalla cultura storica del tempo per capire cosa abbia da dire una certa discorsività, cercando così di analizzare il suo dispositivo che è sempre connesso a forme di potere che alla fine di solito producono la verità del loro tempo storico. Per questo sarebbe interessante interrogare come agisce la biopolitica a causa del coronavirus e lo stato di eccezione cui siamo sottoposti oggi.
Il cinema
Mi piacerebbe fare una divagazione cinematografica. Cercherò di essere breve. Il discorso sul cinema come declinato da Deleuze nei due testi più importanti Immagine movimento e Immagine tempo costruisce alcuni concetti fondamentali per capire ciò di cui sto scrivendo. Il cinema con l'immagine movimento è orientato a coinvolgere lo spettatore in modo totalmente empatico facendolo identificare e stimolando al massimo i suoi centri motori con le azioni proiettate. Siamo nella condizione in cui il nostro corpo è in presa diretta con l'azione del film, se è convincente. In questo caso i neuroni specchio sono allertati insieme a quelli motori. Un cinema in temini neuroscientifici più Bottom Up che Top Down. La nostra mente ricostruisce la realtà con processi astratti e inconsci, Bottom Up, di cui siamo inconsapevoli, e solo dopo vengono innescati, Top Down, memoria e linguaggio di cui siamo un poco più consapevoli. Il cinema d'azione classico quindi è più versato a coinvolgere i processi di base dello spettatore lasciando poco spazio a quelli superiori, cioè al pensiero. Questo detto proprio in soldoni. Via via il cinema avanzando verso la modernità sviluppa altre concezioni e rompe con l'azione e il movimento inclinando, secondo l'analisi di Deleuze, di più verso l'immagine tempo. Cosa è l'immagine tempo? Sempre semplificando, è un tempo non solo oggettivo e sistemico ma anche interiore e soggettivo, un tempo bergsoniano e prustiano, un tempo che richiede l'innesco della memoria e del linguaggio, cioè del pensiero. Questo avviene particolarmente in Italia con il Neorealismo e poi in Francia con la Nouvelle Vague. Siamo al punto. Con i francesi il cinema spinge di proposito proprio sulla menzogna come soggetto principale intorno cui far ruotare il film. Facile dire per falsificare le cose, in realtà per mostrare che spesso la verità è menzogna. Pensate all'Inquisizione e alle Streghe. La Chiesa dalla fine del 1300 con il processo a Guglielma e Maifreda, vedi Luisa Murarto, fino almeno al 1700 ha processato credendo, quindi con parresia, non so fino a che punto, ma sbagliando, perciò senza phronesis, alla colpevolezza delle donne, pochi gli uomini, accusate di stregheria. Pertanto mettere in gioco la menzogna significa per i cineasti francesi aiutare lo spettatore a pensare intorno alle questioni proposte, cioè menzogna e verità, per prendere posizione giudicando. Dal cinema classico d'azione in cui i neuroni motori sono in presa diretta e il messaggio passa senza alcuna difesa critica si giunge così al cinema moderno in cui l'azione è subordianta alla temporalità lasciando così meno spazio ai processi Bottom Up e maggiore a quelli Top Down, cioè al pensiero. Finita la breve lezione riepilogativa sul cinema ora parliamo della menzogna.
Mi piacerebbe fare una divagazione cinematografica. Cercherò di essere breve. Il discorso sul cinema come declinato da Deleuze nei due testi più importanti Immagine movimento e Immagine tempo costruisce alcuni concetti fondamentali per capire ciò di cui sto scrivendo. Il cinema con l'immagine movimento è orientato a coinvolgere lo spettatore in modo totalmente empatico facendolo identificare e stimolando al massimo i suoi centri motori con le azioni proiettate. Siamo nella condizione in cui il nostro corpo è in presa diretta con l'azione del film, se è convincente. In questo caso i neuroni specchio sono allertati insieme a quelli motori. Un cinema in temini neuroscientifici più Bottom Up che Top Down. La nostra mente ricostruisce la realtà con processi astratti e inconsci, Bottom Up, di cui siamo inconsapevoli, e solo dopo vengono innescati, Top Down, memoria e linguaggio di cui siamo un poco più consapevoli. Il cinema d'azione classico quindi è più versato a coinvolgere i processi di base dello spettatore lasciando poco spazio a quelli superiori, cioè al pensiero. Questo detto proprio in soldoni. Via via il cinema avanzando verso la modernità sviluppa altre concezioni e rompe con l'azione e il movimento inclinando, secondo l'analisi di Deleuze, di più verso l'immagine tempo. Cosa è l'immagine tempo? Sempre semplificando, è un tempo non solo oggettivo e sistemico ma anche interiore e soggettivo, un tempo bergsoniano e prustiano, un tempo che richiede l'innesco della memoria e del linguaggio, cioè del pensiero. Questo avviene particolarmente in Italia con il Neorealismo e poi in Francia con la Nouvelle Vague. Siamo al punto. Con i francesi il cinema spinge di proposito proprio sulla menzogna come soggetto principale intorno cui far ruotare il film. Facile dire per falsificare le cose, in realtà per mostrare che spesso la verità è menzogna. Pensate all'Inquisizione e alle Streghe. La Chiesa dalla fine del 1300 con il processo a Guglielma e Maifreda, vedi Luisa Murarto, fino almeno al 1700 ha processato credendo, quindi con parresia, non so fino a che punto, ma sbagliando, perciò senza phronesis, alla colpevolezza delle donne, pochi gli uomini, accusate di stregheria. Pertanto mettere in gioco la menzogna significa per i cineasti francesi aiutare lo spettatore a pensare intorno alle questioni proposte, cioè menzogna e verità, per prendere posizione giudicando. Dal cinema classico d'azione in cui i neuroni motori sono in presa diretta e il messaggio passa senza alcuna difesa critica si giunge così al cinema moderno in cui l'azione è subordianta alla temporalità lasciando così meno spazio ai processi Bottom Up e maggiore a quelli Top Down, cioè al pensiero. Finita la breve lezione riepilogativa sul cinema ora parliamo della menzogna.
Verità e menzogna
La menzogna è da distinguere a seconda di come viene esercitata. Se in una finzione artistica come un romanzo si mente è menzogna anche sapendo che tutta la storia narrata è finta? Quando si dice che si narra una storia vera cosa si intende? Una storia è sempre vera anche se è finta? Inoltre a complicare le cose c'è Il fatto che, come mostra Derrida in 'Il fattore della verità', è impossibile dire se una persona ha volutamente mentito. Se dice che: è vero ho sbagliato, ma l'ho fatto credendo di essere veritiero, cosa gli possiamo opporre? Se dice che si è sbagliato, ma non voleva ingannare, come dimostrare il contrario? In fondo può sempre affermare che c'è stato un malinteso. Nulla che sia comprovabile può essere dimostrato per rifiutare tali affermazioni. Questo comporta, dice Derrida, conseguenze temibili e senza limiti. Ciò porta il filosofo a dire che la menzogna non è un fatto, non è uno stato, esiste solo l'atto intenzionale, mentire. Non c'è la menzogna ma solo un dire che corrisponde a mentire. Non si tratta di chiedersi cosa sia la menzogna ma cosa fa e cosa vuole chi fa l'atto di mentire. In questo caso il mentire è sempre rivolto all'altro e non a se stessi, a meno di considerarsi altro da sé. L'atto di mentire si basa sulla coscienza di dire il falso. Mentire significa quindi tradire, essere inadempienti, fare un torto. Però non si potrà dimostrare che qualcuno ha detto una menzogna, anche se si dimostra che non dice la verità. Proprio perché non è dato saperlo a meno che non lo confessi. Il mentitore, per essere tale, deve sapere cosa fa e che intende mentire, altrimenti non mente. La menzogna si riferisce all'intenzione e alla volontà di dire, non al detto. Veracità e menzogna appartengono all'atto del dire, indipendentemente dalla verità o falsità del detto. È quindi un atto performativo promettendo una verità che non esiste, promessa fatta spesso per un fine, un vantaggio. Se la menzogna fosse così riconoscibile e quadrata cioè senza rotondità che la rendono sfuggente, dice Derrida, nessuna etica, nessun diritto, nessuna politica resisterebbero a lungo. Difatti mentire nella politica è spesso la regola. Con gradualità differenti ma sempre con obiettivi precisi. Nell'ultimo secolo pensate al totalitarismo nazista o sovietico come i gradi più avanzati di questo comportamento. Se la menzogna è la regola non lo è senza che ci sia all'orizzone ciò che è più sacro, cioè la verità, sempre esiste relazione perché se non altro la menzogna si spaccia per vera, ossia vuole essere considerata autentica, pura e quindi divina. Ma la verità è ciò che appartiene all'orizzonte dell'accaduto poiché chissà che verità possiamo dire di ciò che ancora non è accaduto. Pertanto alla verità pertiene il passato alla menzogna soprattutto il futuro. Per questo la menzogna è performativa, promettendo ciò che la verità non può fare, cioè che in futuro le cose staranno così come dice. La menzogna è difficile dire dove si posizioni di per sé. Il mentitore sa di farlo ma chi la subisce no, la menzogna per questo è difficile da situare. Kant preferisce sempre la verità, ma sinceramente mi pare che non sia preferibile dire ai nazisti dove fossero nascosti i partigiani sapendolo, era preferibile mentire. L'orizzonte della verità che esclude la menzogna sembra molto limitato e inclina verso un dispositivo che rischia di essere dispotico. Daltronde come non ricordare l'Ippia minore di Platone. Dove Socrate mostra a Ippia come sia migliore chi mente sapendo di mentire che chi lo fa per ignoranza. Sempre in soldoni Socrate chiede preferisci essere zoppo o fingere di zoppicare? Essere cieco o fingere di non vedere? E così via. Insomma, meglio sapere e fingere di non sapere che il contrario.
La menzogna è da distinguere a seconda di come viene esercitata. Se in una finzione artistica come un romanzo si mente è menzogna anche sapendo che tutta la storia narrata è finta? Quando si dice che si narra una storia vera cosa si intende? Una storia è sempre vera anche se è finta? Inoltre a complicare le cose c'è Il fatto che, come mostra Derrida in 'Il fattore della verità', è impossibile dire se una persona ha volutamente mentito. Se dice che: è vero ho sbagliato, ma l'ho fatto credendo di essere veritiero, cosa gli possiamo opporre? Se dice che si è sbagliato, ma non voleva ingannare, come dimostrare il contrario? In fondo può sempre affermare che c'è stato un malinteso. Nulla che sia comprovabile può essere dimostrato per rifiutare tali affermazioni. Questo comporta, dice Derrida, conseguenze temibili e senza limiti. Ciò porta il filosofo a dire che la menzogna non è un fatto, non è uno stato, esiste solo l'atto intenzionale, mentire. Non c'è la menzogna ma solo un dire che corrisponde a mentire. Non si tratta di chiedersi cosa sia la menzogna ma cosa fa e cosa vuole chi fa l'atto di mentire. In questo caso il mentire è sempre rivolto all'altro e non a se stessi, a meno di considerarsi altro da sé. L'atto di mentire si basa sulla coscienza di dire il falso. Mentire significa quindi tradire, essere inadempienti, fare un torto. Però non si potrà dimostrare che qualcuno ha detto una menzogna, anche se si dimostra che non dice la verità. Proprio perché non è dato saperlo a meno che non lo confessi. Il mentitore, per essere tale, deve sapere cosa fa e che intende mentire, altrimenti non mente. La menzogna si riferisce all'intenzione e alla volontà di dire, non al detto. Veracità e menzogna appartengono all'atto del dire, indipendentemente dalla verità o falsità del detto. È quindi un atto performativo promettendo una verità che non esiste, promessa fatta spesso per un fine, un vantaggio. Se la menzogna fosse così riconoscibile e quadrata cioè senza rotondità che la rendono sfuggente, dice Derrida, nessuna etica, nessun diritto, nessuna politica resisterebbero a lungo. Difatti mentire nella politica è spesso la regola. Con gradualità differenti ma sempre con obiettivi precisi. Nell'ultimo secolo pensate al totalitarismo nazista o sovietico come i gradi più avanzati di questo comportamento. Se la menzogna è la regola non lo è senza che ci sia all'orizzone ciò che è più sacro, cioè la verità, sempre esiste relazione perché se non altro la menzogna si spaccia per vera, ossia vuole essere considerata autentica, pura e quindi divina. Ma la verità è ciò che appartiene all'orizzonte dell'accaduto poiché chissà che verità possiamo dire di ciò che ancora non è accaduto. Pertanto alla verità pertiene il passato alla menzogna soprattutto il futuro. Per questo la menzogna è performativa, promettendo ciò che la verità non può fare, cioè che in futuro le cose staranno così come dice. La menzogna è difficile dire dove si posizioni di per sé. Il mentitore sa di farlo ma chi la subisce no, la menzogna per questo è difficile da situare. Kant preferisce sempre la verità, ma sinceramente mi pare che non sia preferibile dire ai nazisti dove fossero nascosti i partigiani sapendolo, era preferibile mentire. L'orizzonte della verità che esclude la menzogna sembra molto limitato e inclina verso un dispositivo che rischia di essere dispotico. Daltronde come non ricordare l'Ippia minore di Platone. Dove Socrate mostra a Ippia come sia migliore chi mente sapendo di mentire che chi lo fa per ignoranza. Sempre in soldoni Socrate chiede preferisci essere zoppo o fingere di zoppicare? Essere cieco o fingere di non vedere? E così via. Insomma, meglio sapere e fingere di non sapere che il contrario.
La letteratura
Difatti entra in gioco nella menzogna la possibilità di immaginare anche un mondo migliore di quello in cui viviamo. La letteratura in questo senso cosa fa se non narrare cose non vere, poiché inventa la realtà proprio per non sottomettersi. Un libro particolare in questo senso, un testo vendicativo fino alla morte, è 'Destinatario sconosciuto' di Kressmann Taylor, scrittrice americana che ottenne con questo racconto lungo un grande successo. Narra in forma epistolare la storia di due amici e soci in affari, un tedesco e un ebreo, che commerciano quadri. Quando il tedesco torna in Germania dagli Stati Uniti i due proseguono il rapporto amichevole per lettera. Siamo nel 1938 e di lì a poco i rapporti cambieranno essendo Martin via via adescato dal partito nazista e sedotto dalla figura di Hitler. L'amico Max, ebreo, continua a chiedere cosa accade in Germania preoccupato per la sorella. Essa non verrà salvata da Martin nonostante fosse diventato un gerarca. Da lì in poi Max scrive a Martin missive dove sottili insinuazioni porteranno alla nemesi finale. Così nella finzione del racconto la menzogna costituisce una forma di giustizia. Daltronde come si fa a pensare che la realtà potrebbe essere anche diversa da come è? Si finge, si fa la mossa, si fa credere una cosa per farne un'altra, pensate ai calciatori. L'inganno è la base dei giochi con cui i bambini imparano. Chi mente deve sapere entrare in rapporto con l'altro e immaginare la sua scena mentale per poterla eludere. Chi dice la verità no. Ingannare è fondamentale per la logica vivente. Un animale debole cercherà di nascondersi proprio per togliere all'altro le sue prerogative e batterlo. Le femmine di gorilla mostrano le loro grazie al maschio per distrarlo e rubargli la banana. Anche gli animali agiscono fingendo. Al contrario molti cani lupo furono soppressi dai nazist perché si rifiutavano di mordere per terrorizzare i prigionieri nei lager, molti di più del numero di soldati che chiesero di essere destinati ad altri incarichi. Creare una finzione mentendo richiede uno sdopiamento della coscienza che non solo si rapporta al reale ma anche al possibile e a volte all'impossibile. Il possibile è ciò che si sovrappone al reale quando fingiamo che qualcosa possa avvenire, richiede quindi un raddoppio nelle facoltà mentali. Il cinema francese con la Nouvelle Vague ha giocato proprio con la menzogna per giungere a mostrare che in fondo la verità è spesso una forma di menzogna, cioè quella particolare a cui credono tutti. Come già aveva anticipato Nietzsche nel suo testo giovanile 'Verità e menzogna in senso extramorale'. Titolo che indica come non sia confinato questo rapporto al senso morale ma all'ambito allargato di ciò che torna utile e vantaggioso per la vita. Eppure, sapere la verità a volte salva. Cioè non fingere di credere che tutto va bene ma comprendere ciò che accade, ad esempio l'apocalisse ambientale dovrebbe far cambiare il comportamento e la vita degli uomini altrettanto che il pericolo costituito dal coronavirus. In gioco con il Cronavirus è la verità, questione fondamentale dato che la scienza dice cosa è bene fare, così la politica chiede agli esperti, i medici in questo caso, che indicano i comportamenti da seguire. Per un'attimo all'economia si sostituisce la medicina come referente principale e Re della politica. Il punto però è questo: non è la biopolitica lo strumento con cui si mettono le mani sui corpi? I corpi vengono plasmati attraverso tecnologie cui attribuiamo empiricamente e sperimentalmente la verità sulla salute, sul modo in cui comportarsi e su come limitare le passioni a favore di una conduzione morale che salvaguardi l'efficenza produttiva ed economica. Oggi per la prima volta nella mia esistenza accade invece che l'economia retroceda di un passo. Ora mi chiedo se questo francamente sia possibile. Cioè, se l'apparato produttivo mondiale si ritiri di fronte alla tragica condizione in cui le relazioni rischiano di provocare la contaminazione del virus. Forse non è questo in gioco, perché come dice Baudrillard la produzione non è più da tempo ciò che interessa il capitale. Il capitale finge, simula, che sia la produzione ciò che lo interessa, ma esso si alimenta di tutto. Quindi anche della contaminazione da coronavirus e della apocalisse ecologica. Allora mi chiedo se la rivoluzione imposta che viviamo sia solo apparente. Perché diventi reale è necessaria una divisione differente delle risorse. Con l'automazione potremmo sopravvivere sostenendo i bisogni di ciascuno. Siamo adesso di fronte alla possibilità di vivere una stagione simile a quella greca che duemilacinquecento anni fa ha permesso di creare il pensiero e la filosofia con una grande fioritura delle arti e della creatività. Certo, allora c'erano gli schiavi e gli uomini liberi avevano tutto il tempo per pensare, oggi li potremmo sostituire con i robot. In questo momento ciascuno deve cambiare radicalmente le proprie abitudini. Inventare qualcosa da fare nel tempo libero. Può studiare, leggere, scrivere, pensare, suonare, dipingere. Tutte attività di solito marginali nella vita della maggioranza delle persone. Perciò siamo di fronte alla possibilità di una rivoluzione che passando attraverso la salute e il corpo salvaguarda il mondo, approfittiamone, perché è poi così che dovremmo vivere anche dopo il coronavirus. Gli incidenti in Italia provocano 250.000 feriti l'anno, duemilacinquecento i morti a un mese di distanza. Le polveri sottili, ozono, e biossido d’azoto nove milioni di morti all’anno nel mondo, in Italia 81.000, seppure più lentamente degli incidenti. Eppure nessuno salta dalla sedia come per il coronavirus. Li abbiamo metabolizzati, sacrificati per il Capitale e lo sviluppo. Ma la natura può riservare sorprese di gran lunga peggiori se si continua al ritmo precedente. Ecco allora la menzogna in atto, perché con arte mistifichiamo e illudiamo noi stessi che non ci sia il problema, per me di dimensioni maggiori del coronavirus. Forse è solo l'illusione a farci fare finta di niente sul fronte ambientale. Ma non sarà che partiamo da una posizione ideologica per difendere lo status quo? In questo caso ce la raccontiamo e l'illusione vira rapidamente verso la menzogna.
Difatti entra in gioco nella menzogna la possibilità di immaginare anche un mondo migliore di quello in cui viviamo. La letteratura in questo senso cosa fa se non narrare cose non vere, poiché inventa la realtà proprio per non sottomettersi. Un libro particolare in questo senso, un testo vendicativo fino alla morte, è 'Destinatario sconosciuto' di Kressmann Taylor, scrittrice americana che ottenne con questo racconto lungo un grande successo. Narra in forma epistolare la storia di due amici e soci in affari, un tedesco e un ebreo, che commerciano quadri. Quando il tedesco torna in Germania dagli Stati Uniti i due proseguono il rapporto amichevole per lettera. Siamo nel 1938 e di lì a poco i rapporti cambieranno essendo Martin via via adescato dal partito nazista e sedotto dalla figura di Hitler. L'amico Max, ebreo, continua a chiedere cosa accade in Germania preoccupato per la sorella. Essa non verrà salvata da Martin nonostante fosse diventato un gerarca. Da lì in poi Max scrive a Martin missive dove sottili insinuazioni porteranno alla nemesi finale. Così nella finzione del racconto la menzogna costituisce una forma di giustizia. Daltronde come si fa a pensare che la realtà potrebbe essere anche diversa da come è? Si finge, si fa la mossa, si fa credere una cosa per farne un'altra, pensate ai calciatori. L'inganno è la base dei giochi con cui i bambini imparano. Chi mente deve sapere entrare in rapporto con l'altro e immaginare la sua scena mentale per poterla eludere. Chi dice la verità no. Ingannare è fondamentale per la logica vivente. Un animale debole cercherà di nascondersi proprio per togliere all'altro le sue prerogative e batterlo. Le femmine di gorilla mostrano le loro grazie al maschio per distrarlo e rubargli la banana. Anche gli animali agiscono fingendo. Al contrario molti cani lupo furono soppressi dai nazist perché si rifiutavano di mordere per terrorizzare i prigionieri nei lager, molti di più del numero di soldati che chiesero di essere destinati ad altri incarichi. Creare una finzione mentendo richiede uno sdopiamento della coscienza che non solo si rapporta al reale ma anche al possibile e a volte all'impossibile. Il possibile è ciò che si sovrappone al reale quando fingiamo che qualcosa possa avvenire, richiede quindi un raddoppio nelle facoltà mentali. Il cinema francese con la Nouvelle Vague ha giocato proprio con la menzogna per giungere a mostrare che in fondo la verità è spesso una forma di menzogna, cioè quella particolare a cui credono tutti. Come già aveva anticipato Nietzsche nel suo testo giovanile 'Verità e menzogna in senso extramorale'. Titolo che indica come non sia confinato questo rapporto al senso morale ma all'ambito allargato di ciò che torna utile e vantaggioso per la vita. Eppure, sapere la verità a volte salva. Cioè non fingere di credere che tutto va bene ma comprendere ciò che accade, ad esempio l'apocalisse ambientale dovrebbe far cambiare il comportamento e la vita degli uomini altrettanto che il pericolo costituito dal coronavirus. In gioco con il Cronavirus è la verità, questione fondamentale dato che la scienza dice cosa è bene fare, così la politica chiede agli esperti, i medici in questo caso, che indicano i comportamenti da seguire. Per un'attimo all'economia si sostituisce la medicina come referente principale e Re della politica. Il punto però è questo: non è la biopolitica lo strumento con cui si mettono le mani sui corpi? I corpi vengono plasmati attraverso tecnologie cui attribuiamo empiricamente e sperimentalmente la verità sulla salute, sul modo in cui comportarsi e su come limitare le passioni a favore di una conduzione morale che salvaguardi l'efficenza produttiva ed economica. Oggi per la prima volta nella mia esistenza accade invece che l'economia retroceda di un passo. Ora mi chiedo se questo francamente sia possibile. Cioè, se l'apparato produttivo mondiale si ritiri di fronte alla tragica condizione in cui le relazioni rischiano di provocare la contaminazione del virus. Forse non è questo in gioco, perché come dice Baudrillard la produzione non è più da tempo ciò che interessa il capitale. Il capitale finge, simula, che sia la produzione ciò che lo interessa, ma esso si alimenta di tutto. Quindi anche della contaminazione da coronavirus e della apocalisse ecologica. Allora mi chiedo se la rivoluzione imposta che viviamo sia solo apparente. Perché diventi reale è necessaria una divisione differente delle risorse. Con l'automazione potremmo sopravvivere sostenendo i bisogni di ciascuno. Siamo adesso di fronte alla possibilità di vivere una stagione simile a quella greca che duemilacinquecento anni fa ha permesso di creare il pensiero e la filosofia con una grande fioritura delle arti e della creatività. Certo, allora c'erano gli schiavi e gli uomini liberi avevano tutto il tempo per pensare, oggi li potremmo sostituire con i robot. In questo momento ciascuno deve cambiare radicalmente le proprie abitudini. Inventare qualcosa da fare nel tempo libero. Può studiare, leggere, scrivere, pensare, suonare, dipingere. Tutte attività di solito marginali nella vita della maggioranza delle persone. Perciò siamo di fronte alla possibilità di una rivoluzione che passando attraverso la salute e il corpo salvaguarda il mondo, approfittiamone, perché è poi così che dovremmo vivere anche dopo il coronavirus. Gli incidenti in Italia provocano 250.000 feriti l'anno, duemilacinquecento i morti a un mese di distanza. Le polveri sottili, ozono, e biossido d’azoto nove milioni di morti all’anno nel mondo, in Italia 81.000, seppure più lentamente degli incidenti. Eppure nessuno salta dalla sedia come per il coronavirus. Li abbiamo metabolizzati, sacrificati per il Capitale e lo sviluppo. Ma la natura può riservare sorprese di gran lunga peggiori se si continua al ritmo precedente. Ecco allora la menzogna in atto, perché con arte mistifichiamo e illudiamo noi stessi che non ci sia il problema, per me di dimensioni maggiori del coronavirus. Forse è solo l'illusione a farci fare finta di niente sul fronte ambientale. Ma non sarà che partiamo da una posizione ideologica per difendere lo status quo? In questo caso ce la raccontiamo e l'illusione vira rapidamente verso la menzogna.
La foto è di Meteo.it
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