Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 23 marzo 2020

Incontro di filosofia sulla letteratura Noir, Residence Cavazza, BO, 13/02/20
"Il flaneur e il detective"
Di Franco Insalaco
«Il fenomeno un po’ strano del vedere così o altrimenti
fa la sua comparsa solo quando uno riconosce che c’è un senso
in cui l’immagine resta identica mentre qualcos’altro, che si vorrebbe
chiamare concezione può modificarsi. Finché io prendo l’immagine
per questa o quella cosa […] non si affronta ancora il problema dello scindersi dell’impressione in immagine visiva e concezione» Wittgenstein: 'Osservazioni sulla filosofia della psicologia'.
Già subito mentre inizio a scrivere questi appunti provo a immaginare cosa abbia da dire la filosofia agli scrittori sulla scrittura noir. Il noir ha una grammatica differente dagli altri generi? Differente da quella del linguaggio in genere? Anzi della Lingua? Cosa sia la
Lingua per Saussurre è presto detto, cioè lo sfondo culturale che dà significato al significante, questi uniti formano un segno linguistico che è necessario sia condiviso e comunicabile. Per C. S. Peirce il segno è invece contraddistinto dal ground, cioè dal terreno su cui la cultura si basa, potremmo dire dall'Umwelt, che significa ambiente, cioè il mondo in cui viviamo e che condividiamo fatto soprattutto di natura, anche se per lo più antropizzata. Il segno per il filosofo americano è quindi extralinguistico. Può essere che il noir abbia una sua grammatica, ma allora quali sono specificatamente le regole a cui deve rispondere? Un testo di filosofia uscito negli anni '30 indica alcune questioni relative al giallo che possiamo considerare all'origine del noir attuale. Racconta quali siano del giallo i caratteri salienti che lo contraddistinguono. Siegfred Kracauer è il filosofo e saggista in questione. L'autore scrive anche un testo sul cinema dove parla della passione insaziabile di Eisenstein per le storie gialle, in queste il grande regista vedeva, secondo la sua biografa Marie Seton, l'agire di una coscienza super normale attraverso la quale il mistico raccoglie, da elementi sparsi, prove in favore delle proprie esperienze. Kracauer commentando questa osservazione dice: ‘Può esserci qualcosa di vero. Poe non era forse un mistico? L'indagine poliziesca corrisponde, nel campo secolare, alla speculazione teologica.' Cerchiamo di capire cosa si intende per campo secolare, è evidentemente il mondo in cui viviamo, poiché nel frattempo Dio se non è morto non sta tanto bene. Con il declino del sacro la cultura inclina più verso l'immanenza che la trascendenza. Il giallo si occupa quindi secondo Kracauer in forma teologica della realtà terrena. Teologica nel senso della sua più potente effettuazione, cioè la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Nel giallo si dimostra qualcosa invece che ci riguarda più da vicino, che accade cioè nella nostra vita quotidiana.
L’illuminismo
Si tratta di investigare, di illuminare, di chiarire eventi concernenti le vicende umane. Illuminare è un termine non casuale. Voltaire con il Candido mostra già come l'investigatore sia in grado di intuire da pochi segni ciò che è accaduto. La ragione è pertanto il luogo della investigazione. Cioè quella ragione illuminante che Kant aveva definita così: 'L'illuminismo è l'uscita dell'essere umano dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro.' Questa è la definizione che il filosofo tedesco dà dell'illuminismo. L'orizzonte dell'uomo singolo, di ciascuno, può così ampliarsi tramite l'uso della propria intelligenza, poiché essa è in grado di uscire dalla minorità in cui siamo posti e farci diventare maggiorenni. Il giallo così se rappresenta in qualche misura la società del tempo in cui è scritto, la rappresenta a partire da questa indicazione kantiana, cioè come la società dei maggiorenni. Ma se da un lato l'orizzonte si apre verso l'autonomia del singolo, ora in grado di rispondere autonomamente ai quesiti del vivere, secondo Kracauer, contemporaneamente li chiude in uno spazio più limitato. Perché certo nel giallo siamo in contatto con il mistero ma questo sparisce quando viene razionalmente spiegato.
La hall dell’albergo
Per questo Kracauer dice che siamo passati dalle navate della chiesa alla hall dell'albergo. In questo slittamento gli uomini sono stati trascinati da più rivoluzioni, sopratutto in Francia, che hanno determinato l'avvento della borghesia e del regime liberale, difatti scrive ancora Kracauer: 'Ciò è spiegabile ove si consideri il detective classico come prodotto della democrazia liberale. Infatti lo scaltro segugio che, da solo, fa sì che la ragione distrugga le ragnatele delle forze irrazionali e la virtù trionfi sugli istinti oscuri, è il tipico eroe di un mondo civile che crede nel toccasana della ragione e della libertà individuale.' Da cosa si denota l'indagine poliziesca? Dalla ricerca dei dettagli. Un grande investigatore della psicologia storica della mente umana attraverso l'arte è il critico tedesco Aby Warburg, un suo leit motiv era che Dio è nei particolari. È proprio quelli che Warburg indagherà rivoluzionando il modo di vedere l'arte nel Novecento.
Palazzo Schifanoia
Nell'analisi che Warburg fa degli affreschi di palazzo Schifanoia di Ferrara, ad esempio, la sua indagine si snoda attraverso un arco di tempo che va dall'Egitto e dalla Grecia antica fino agli affreschi di Cosmé Tura nel salone delle feste dipinto dalla sua scuola. Il palazzo venne modificato nel 1485 da Borso d'Este alla sua nomina di Duca di Modena e Reggio. Borso voleva creare uno spazio adatto appunto a schifare la noia. Ora Warburg pensava in termini psicologici, cioè riteneva che la mente dell'uomo avesse sempre cercato attraverso l'arte prima e la scienza poi di controllare la paura. Sono l'arte e la scienza gli strumenti per mettere a distanza il reale e la morte superando le forze paniche che nell'antichità dominavano gli uomini, cercare di spiegarle trovando le cause per mitigarle, questo era l'obiettivo. Perciò arte e scienza ricoprivano quelle forze di spiegazioni dandogli un senso per così controllarle, proprio perché non avessero più lo sguardo pietrificante della Medusa. Gli uomini attraverso la conoscenza trovano le ragioni che spiegano quelle forze pietrificanti mettendole a distanza. Per Warburg tuttavia quelle forze, seppure poste tra parentesi nella spiegazione, continuavano ad emergere sotto forma di particolari, di dettagli. Il Dio appunto abita i particolari come diceva il critico tedesco. Chi è il Dio che lì si manifesta? Se la spiegazione apollinea, spirituale, con l'arte mette a distanza la paura, in particolare della morte, Dioniso fa riemergere nelle forme corporee quelle forze rimosse. Warburg con l'atlante di Mnemosyne cerca di fotografare le forme che tale forza dionisiaca prende nell'espressione artistica dei vari periodi storici sotto forma di engramma, che è poi l'impronta che assume nei vari periodi storici l’immagine. Se la bellezza attraverso l'arte mette a distanza ciò che è spaventoso, questo è quanto fanno le forze spirituali apollinee, le forze istintive e corporee continuano a manifestarsi e Dioniso ricompare nei dettagli, seppure ricoperto dalla bellezza non è ridotto al silenzio. Quanto come forme continua a venire fuori ripetendosi, Nachleben, sopravvivendo cioè nei particolari, mostra la sua presenza. Le forme stratigraficamente sedimentandosi simbolicamente sopravvivono piene di energia nell'engramma. L'engramma è una parola inventata dal biologo tedesco Semon che indica la proprietà della materia organica di essere plasmata dall'esperienza come immagine ricordo. Sono tracce mnestiche che si rilanciano storicamente di epoca in epoca come forze pur sottoposte a cambiamenti di senso o di polarità, da positive possono anche diventare negative. L'immagine che per un periodo storico è sacra per un altro è blasfema. Sono queste le Pathosformeln, forme del pathos, cioè fossili viventi delle antiche paure. Simboli di forze che sono state ammaestrate. Così il serpente che agli indiani serviva per dominare il fulmine, di cui era il simbolo per somiglianza, il serpente come una saetta, sarà poi archiviato dalla tecnica con la sua spiegazione dell'elettricità. Però è una finta vittoria, pensa Warburg, perché la scienza distrugge ciò che spiega reificandolo, oggettivandolo, rimpicciolendo il mondo con la sua spiegazione. Kracauer condivide questo rimpicciolimento facendo l'esempio dell'uomo passato dalla Chiesa alla hall d'albergo. Costituisce quindi l'oggetto della techne e le sue promesse una sottrazione d'anima. Anima che ha al suo fondo secondo Warburg un groviglio di serpenti, ognuno con la propria energia e direzione, ognuno acciambellato nell'altro che lo contraddice, che non si schematizza, che non si sintetizza, rimanendo un organismo misterioso. Insomma, la mente degli uomini e delle donne non è oggettivabile, quadrettabile, inquadrabile, il suo mistero permane nonostante l'illuminismo. Ciò non significa che non si debba indagare, infatti per palazzo Schifanoia Warburg troverà chi aveva progettato la complessa rappresentazione zodiacale, era il bibliotecario della famiglia d'Este, Pellegrino Prisciani, che voleva creare una sorta di Talismano naturale. La migrazione delle figure rappresentate a Ferrara erano così arrivate attraverso la Grecia, l'Egitto, la Mesopotamia, l'Arabia, la Spagna. Gli affreschi sono dipinti in tre linee sovrapposte, in alto la vita degli Dei, in mezzo i decani, i decani erano stelle che erano usate in Egitto per misurare le ore notturne, in basso scene di vita degli Este. A noi interessa uno dei simboli che inframezzano la rappresentazione, il primo decano, cioè il Vir Niger. Questo simbolo ricompare nell'affresco dipinto da Francesco Del Cossa da epoche arcaiche. Possiamo indicare il circolo ermeneutico warburghiano come una spirale su più piani: quello dell'iconografia e della storia dell'arte, poi la storia della cultura, infine della sua scienza senza nome, quest’ultima volta a una diagnosi dell'uomo occidentale attraverso i suoi fantasmi, le Pathosformeln, alla cui configurazione Warburg dedicò la vita senza completarne l'atlante.
Il Vir Niger
Perché ci interessa il Vir Niger? Perché secondo il Warburg è Perseo, cioè l'eroe che uccide Medusa i cui capelli sono serpenti che si muovono in tutte le direzioni. Perseo taglia la testa di Medusa e la fa finita con il terrore che pietrifica. Nell'idea di Warburg c'è abbiamo visto un percorso progressivo nella cultura e nell'arte che attraverso la ragione vince la paura. Difatti il critico da bambino vedeva come la sua manina entrando nelle calze prese dall'armadio desse loro forma e come questa regolarmente si sgonfiava quando la ritraeva. Capisce che la forma è il contenuto, cioè il significato. Stanno insieme forma e contenuto anche se questo è, come dice Adorno, stratigrafico, cioè si somma nel tempo, perciò la forma continua ad alimentarlo. Tanto produce la forma contenuti che permette nel tempo, ad esempio, di leggere l'Iliade dandogli nuovi significati, vedi Simone Weil e il suo saggio intitolato 'L'Iliade o il poema della forza'. Ciò porta a concludere che la forma o significante produce significato e che questo per lo più è stratigrafico e quindi invisibile. Quando si scrive pertanto è in gioco un atto di finzione che ha nella forma e nello stile una invisibile produttività. Forse siamo ad un punto nodale del rapporto tra giallo e noir. Il giallo opta per una forma chiusa in cui la verità è svelata e la ragione si è fatta una ragione dell'accaduto, per quanto violento e irrazionale esso sia. Nel noir invece questa redenzione è più problematica. Nel noir l'aspetto irrazionale e violento rimane all'orizzonte e continua a interrogarci, a produrre senso e pertanto ciò che dice Kracauer del giallo non è valido per il noir. Ora vedremo se lo è veramente per il giallo. Kracauer scrive sui prodotti della letteratura di genere: 'L'idea di una società civilizzata e completamente razionalizzata, che essi concepiscono in maniera radicalmente unilaterale e di cui sono la stilizzata rifrazione estetica. L'immagine che ci viene offerta è abbastanza spaventosa: presenta infatti una situazione sociale in cui l'intelletto privo di qualsiasi vincolo, ha riportato la vittoria finale; una reciprocità caotica e ormai puramente superficiale di cose e figure dall'apparenza scialba e sconcertante. Tutto ciò perché la realtà, eliminata in maniera artificiosa, viene deformata fino alla smorfia. La vuota realtà del mondo civilizzato è il prodotto della ragione formale... L'autentica comunità morale costituisce la sfera superiore della realtà, mentre il mondo della società ne è invece la sfera inferiore'.
Il flaneur
Per Kracauer scrive Marco Bertozzi nel suo Detective malinconico: 'il flaneur, indolente osservatore della realtà sociale che lo circonda, diventa il moderno detective, cioè il rappresentate della razionalità scientifica del mondo industrializzato incarnando la ratio che governa l'impianto formale di tutta la tradizione classica del romanzo poliziesco. Perciò questo genere letterario, considerato minore, è invece in grado di rivelarci il volto più profondo (proprio perché ne deforma l'immagine fino alla smorfia) di una società de-realizzata'. A me pare Bertozzi dica il giusto, ciò che Kracauer vede descritto dal giallo è proprio la società dissociata dall'ambiente circostante, limitata nel suo orizzonte alla hall d'albergo dove ciascuno si trova senza sapere perché, contro la dimensione trascendentale della Chiesa frequentata da uomini che condividono insieme una ricerca e un mistero superiore, trascendentale, che supera finanche le possibilità razionali di spiegazione. Fatto è che accade anche altro nell'epoca in cui nasce il giallo che ne mostra i limiti appena evidenziati. Capita che la realtà è riprodotta dalla finzione via via in modo sempre più diffuso, dalla fotografia, dal cinema, dalla radio, dalla televisione fino agli esiti attuali dei media trasmessi nel WEB. Ancora prima dell'epoca in cui il flaneur di Benjamin passeggia a Parigi un racconto di Poe intitolato 'L'uomo della folla' delinea proprio quella figura. Siamo a Londra, già allora così affollata, nel racconto pubblicato da Poe nel 1840, il protagonista della storia seduto al Bar vede i passanti e ne deduce professione, interessi, cultura finché è colpito da un vecchio molto bizzarro e strano che sembra terrorizzato, così decide di seguirlo. Scoprirà dopo averlo seguito tutto il giorno e la notte che è l'uomo della folla, egli non vuole né può stare solo. Quanto questa figura preannuncia da lì a poco meno di un secolo l'uomo massa del totalitarismo, è evidente. L'uomo massa è l'uomo privato della realtà personale che desidera unirsi sempre di più agli altri omologandosi infine nei sistemi totalitari che lo piegheranno alla loro volontà anche con i media. Dopo, l'uomo non potrà più essere solo, neanche nel suo privato, neppure nella sua testa, i processi del regime staliniano giudicheranno addirittura se il pensiero degli accusati è o meno borghese, non si era condannati per agire ma per pensare, come per le streghe gli accusati confessavano che era vero, avevano avuto pensieri borghesi, perciò meritavano di essere condannati. La comunità totalitaria è chiusa in modo tale che si è dentro o si è fuori. In questo senso la comunità letteraria è l'unica aperta, come scrive il filosofo francese Jan Luc Nancy, perché ogni scrittore è libero di inventare il suo mondo senza essere ostracizzato dai colleghi. Il quesito allora è se quanto dice Kracauer del giallo su tutti i suoi limiti è vero o no. Se Edgar Allan Poe sia o no il primo a inventare questo genere diventa secondario, ci interessa che ne faccia parte. In questo senso mi pare una risposta interessante la dia il testo di Jaques Derrida intitolato Il fattore della verità. Guarda un po' proprio quella che il giallo cerca. Cosa disamina il testo di Derrida? Un altro testo di Jaques Lacan che parla di un altro racconto di Poe: 'La lettera rubata'. Siamo dentro a una vertiginosa serie di rimandi di cui il mio è in questo caso l'ultimo. Già possiamo vedere l'abisso che si apre con la citazione di una citazione di una citazione. Io cito Derrida che cita Lacan che cita Poe. Ma ciò che qui interessa è Derrida che analizza l'analista che a sua volta analizza Poe. Cito l'inizio del testo di Derrida: 'La psicoanalisi, supponendo, si trova. Quando si crede di trovarla, è la psicoanalisi, supponendo, a trovarsi. Quando trova, supponendo, essa si trova - qualcosa. Accontentarsi di deformare qui la grammatica, come si dice, generativa, di questi tre o quattro enunciati. Ma dove? Dove si ritrova, già, da sempre, la psicoanalisi? Il luogo dove si trova ["ga se trouve"], se si trova, chiamiamolo testo... Per esempio: che cosa succede nella decifrazione psicoanalitica di un testo quando quest'ultimo, il decifrato, si spiega già da sé? Quando dice di più del decifrante (debito, questo, più volte ammesso da Freud)? E soprattutto quando "per di più" esso inscrive in sé la scena della decifrazione? Quando dà prova di una maggior forza nel mettere in scena e deriva il processo analitico, fino alla sua ultima parola, per esempio la verità? ... La verità vi eseguirebbe un pezzo: che il filosofo o l'analista preleva all'interno di un funzionamento più potente.'
Il punto mi pare sia ciò che Derrida già da subito e poi nel resto del saggio mette in rilievo, cioè come il testo di Poe non sia facilmente riducibile alla logica di Lacan e quindi di Freud e della psicoanalisi. Cioè la finzione di Poe è più potente della verità di Lacan e di Freud. Derrida sostiene che la finzione, ha in sé maggiore produzione di senso ed è anche più veritiera del saggio che l'analizza. Tant’é che secondo Derrida il testo di Poe ha già previsto quello di Lacan. 'La lettera rubata' è lo scippo che tenta Lacan, ma non è il solo, riducendone però la portata. Dico non è il solo perché Derrida mostra come l’analisi di Lacan si rifaccia al saggio Edgar Allan Poe uno studio psicoanalitico scritto da Marie Bonaparte che però non cita mai. Il testo sulla lettera rubata di Lacan si trova in Scritti volume primo. La lettera è il significante che gira tra più mani e più volte assume significati differenti. Inizialmente la regina l'aveva nel suo scrittoio rovesciata perché non se ne vedesse l'autore, il re non ci fa caso ma invece la vede il suo primo ministro, il quale se ne appropria visto dalla regina, che però non può fare niente, sennò poi anche il re, che finora non ci ha fatto caso, la vede. La polizia avvertita dalla regina la cerca in casa del ministro senza trovarla. Per questo il commissario si rivolge a Dupin. La lettera, il significante, non aveva alcun potere di per sé, a meno che il re non la scopra, cioè la veda, ma la regina finora l'ha nascosta, è solo quando è in mano al ministro che il gioco si fa più duro e la regina è sotto scacco. Il significante così cambia di significato a seconda della situazione in cui è mostrato, anzi nascosto. Dupin naturalmente si muove meglio del poliziotto e riesce a trovarla in casa del ministro sottraendogliela in modo da restituirla alla regina. Ora sotto scacco è il ministro, al quale in sostituzione dell'originale Dupin lascia una lettera simile ma che rende riconoscibile l'autore dello scacco. Il significante cambia significato a seconda di chi lo detiene. Il circolo ermeneutico in fondo è proprio questo. Lacan cerca di appropriarsi di questo testo, la lettera rubata, per mostrare come lavora l'inconscio. L'inconscio funziona come il linguaggio, questa la sua ipotesi prossima quindi allo strutturalismo. Ma che la lettera rubata sia il significante che tanto più è in evidenza tanto più è nascosto mostra come l'invisibile sia anche questa volta in gioco tra la finzione, il senso, il significato e la verità. Infatti, cambiando racconto, Edipo non sa che è figlio di Laio e solo l'indagine che svolge, a causa dalla peste che ha colpito Tebe, rende noto all'investigatore che è proprio lui l'assassino, che non solo ha ucciso il padre ma poi ha sposato addirittura sua madre. Il significante era conosciuto sempre in modo parziale, gli unici a saperlo per intero erano gli dei e forse l'indovino Tiresia. Lo sapeva in parte il pastore, in parte il guardiano del bosco, ma la lettera circolando non compare mai per intero, finché Edipo ne riunisce tutti i frammenti e ne comprende la tragica verità. Allora possiamo dire che nelle tragedie greche il simbolo era frammentato in almeno due metà, queste una volta ricongiunte rendevano il significato visibile. Ma le cose stanno anche diversamente. Soprattutto per il fatto che il pensiero non dovrebbe essere limitato al significante sotto forma solo linguistica. Un animale che vede il volto del padrone se ne fa un concetto e lo riconosce tra altri, vedi Semir Zeki, senza che ciò implichi il linguaggio. Ecco che il significante è ora non solo linguistico ma segno visibile, udibile, odorabile, toccabile. Il pensiero è anche fuori dalla Lingua concepita da Saussure, cioè da quello sfondo culturale che condividiamo come esseri umani.
L’autismo
Una abilità questa linguistica da cui gli autistici, ad esempio, sono esclusi. Questi difatti hanno grande difficoltà con il linguaggio, nonostante ciò una scienziata come Temple Grandin ha grandi capacità di pensiero. Le ha attraverso le immagini. Può gestire le immagini in modo tale da sfogliare un libro per ricordarne ciascuna pagina e ripeterla a memoria. Un altro esempio è Einstein quando scrive ad un amico: 'Le parole o la lingua come sono scritte o parlate, non sembrano avere alcun ruolo nel meccanismo del mio pensiero. Le entità fisiche che sembrano servire come elementi nel pensiero sono certi segni e immagini più o meno chiare che possono essere volontariamente riprodotti e combinati. Gli elementi sopra menzionati sono, nel mio caso, alcuni di tipo visuale e altri muscolari. Le parole convenzionali o altri segni devono essere ricercati laboriosamente solo in un secondo momento, quando il menzionato gioco associativo è stabilito sufficientemente e può essere riprodotto a volontà'. Per questo è limitante dire che l'inconscio funziona come un linguaggio. Anche se la più grande intuizione di Freud è confermata dalle neuroscienze secondo cui i processi che il cervello compie per vedere, sentire, toccare, odorare sono prima di tutto percepiti in modo astratto, i neuroni sono specializzati su minime unità, e poi ricostruiti in modo da percepire il mondo come lo conosciamo, proprio con processi avvenuti senza che ne siamo minimamente consapevoli, certo poi per l'uomo è fondamentale tradurli linguisticamente, cioè mediarli. Ma solo ora interviene il linguaggio, quando tutto è ormai accaduto. La coscienza poi ha possibilità di scelta e per questo possiamo ritenerci più liberi degli altri animali. Scrivere significa anche usare questa potente capacità accedendo ai processi inconsci (preconsci) in modo creativo dato che, come abbiamo visto, la coscienza è l'ultima a sapere cosa succede. Molte delle nostre possibilità creative sono precedenti al gioco linguistico tra significante, significato e oggetto di saussuriana memoria. Sono nascoste proprio in quelle attività inconsce che precedono la consapevolezza le cui regole non sono linguistiche ma semiotiche. La potenza dei processi inconsci è tale che essi avvengono in parallelo mentre, ad esempio, il linguaggio è seriale, per questo sono molto più veloci ed efficaci. Arnheim già a metà del Novecento metteva in evidenza come la nostra cultura sia ancora metafisica e limitata credendo il linguaggio l'unico processo cognitivo, cioè il solo modo di pensare. Ma se noi percepiamo la figura vasi/volti o papera/coniglio in modo alternato è perché in quel disegno percepiamo uno alla volta il significato legato all'immagine che prevale. Il significato è nella forma e questa non è linguistica perché è una percezione che, come dice Arnheim, è anche pensiero. Ciò indica come la visone non sia una registrazione meccanica ma è volta a cogliere le strutture significanti interne a quelle figure bistabili vasi/volto o papera/coniglio. Ogni percezione è anche pensiero. Ricordiamoci che il linguaggio arriva per ultimo dopo una serie di processi percettivi che poi traduce spesso in cliché omologanti. In questo senso il racconto giallo di Poe mostra come il significante, la lettera rubata, proceda stratigraficamente nei suoi significati legati a situazioni differenti, evidenziando quanto la percezione del contenuto sia determinata dal contesto che ne indirizza il significato. Il significato è nell'immagine che si dà in un modo o nell'altro come se di volta in volta fosse visi o vaso, papera o coniglio. Rimane la Lingua come scoglio se pensiamo ad essa come cultura condivisa dagli uomini, ma se guardiamo alla Lingua nei termini definiti da Peirce e Pasolini lo scoglio si appiana, perché essa non è più legata alla cultura ma alla natura, al mondo, alla realtà. Era la Lingua con cui Pasolini faceva cinema, Lingua delle immagini e della realtà quindi extralinguistica.

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