Foucault, lo abbiamo visto,
pone al centro della sua analisi una serie di strumenti che operano
in modo anti dialettico, mutuando spesso da Nietzsche il metodo.
Ad esempio, l'archeologia del sapere non è forse in linea con la
genealogia che abbiamo visto in atto nel pensiero nicciano? Cosa è
l'archeologia se non l'origine che fa emergere ogni discorso e contemporaneamente archiviandoli conserva proprio traccia dei micropoteri? Ricerca
dell'origine dei discorsi e della loro archiviazione, cioè dei testi, delle opere, degli studi, al di fuori della soggettività degli
autori per vedere come intersecandosi formano micropoteri, dispositivi,
tecnologie che danno luogo alla governamentalità. Non spiegare
tramite concetti universali cosa significano, che senso hanno, ma
mostrare come funzionano. Ogni governamentalità non ha all'esterno
l'origine che
la decide, essa stessa è potere in atto. Come agisce
il potere? Con l'esclusione, la divisione, limitando le possibilità
dei corpi tramite la discorsività politica. Dove questi discorsi
mettono mano ai corpi è in atto un dispositivo biopolitico. Come
emerge questo modo in un certo senso nuovo di gestire la politica?
Foucault analizza manicomi, ospedali, carceri, scuole, e come la
Arendt vede nei lager la massima sperimentazione del biopotere.
Insomma, la griglia individuata da Foucault descrive il modo in cui
sono stati guidati i folli, i malati, i delinquenti, i bambini, gli
internati e ritiene sia funzionale anche qualora si affrontino
fenomeni più ampi come la politica economica e la gestione di un
intero corpo sociale. L'analisi dei micropoteri non riguarda una
specifica dimensione di scala, o settoriale, ma tutta la scala, è
una questione prospettica. Non è lo Stato l'origine del problema, lo
Stato è solo l'effetto. Non è che lo Stato ha in sé il germe
fascista, imperialista, che lo porta ad allargare e approfondire il
dominio prendendo in carico il bersaglio e l'oggetto altro da lui,
cioè, la società civile. Questa fobia dello Stato porta a vedere
una continuità tra lo Stato amministrativo, lo Stato assistenziale,
lo Stato fascista, lo Stato totalitario, come rami successivi di uno
stesso albero, ma queste prospettive che identificano nello Stato
l'organo di una crescita infinita il cui bersaglio è la società
civile, per Foucault, è un luogo comune critico di tipo
inflazionistico. Perché permette una intercambiabilità dell'analisi
facendone perdere la specificità, diluendo tutto in uno stesso
calderone. Insomma, non si possono analizzare i sistemi di sicurezza
dello Stato e il suo sistema amministrativo e poi con pochi slittamenti semantici passare ai campi di concentramento. La
specificità dell'analisi così viene diluita e persa. Non andare, insomma, dall'universale al particolare, ma rimanere nel particolare,
ecco cosa significa micropotere. Inoltre, con il metodo
inflazionistico si genera un orientamento al peggio che non aiuta la
comprensione, dall'amministrativo siamo già al lager. La critica
dello Stato è il bersaglio che via via i neoliberisti e gli
ordoliberali pongono sotto il loro mirino, criticano ogni politica
dirigista come il New Deal negli anni 30, il fronte popolare di Lèon
Blum e le politiche keynesiane, arrivando a concludere, nella loro analisi contro i
totalitarismi, che proprio quelle premesse provocarono alla fine il nazional-socialismo e il socialismo sovietico. Il
rischio che paventavano in tutti questi interventi sull'economia era
quello della socializzazione del lavoro, dell'economia diretta e
pianificata all'interno di un sistema di controllo e sicurezza
sociale. Insomma l'ascesa del fascismo e del nazismo non è una
reazione contro le politiche socialiste precedenti, ma un risultato
inevitabile delle stesse. Così sosteneva Von Hayek, esponente
insieme a Von Mises della scuola liberale austriaca, che poi nel 1974
viene premiato con il Nobel per l'economia. Ora, contro questa
diluizione dell'analisi operata dai liberali, Foucault dice che lo Stato assistenziale, o Stato di benessere, non ha la stessa forma né
la stessa matrice o origine dello Stato totalitario, nazista,
fascista o stalinista che sia. Cioè, segnala come lo Stato
totalitario sia una diminuizione, una limitazione, una subordinazione
dell'autonomia dello Stato. Rispetto a cosa? Rispetto al partito.
Dunque, non è confronto alla governamentalità dello Stato
amministrativo nato nel XVIII secolo e la sua polizia che dobbiamo
immaginare l'estensione del dominio totalitario, ma verso una
governamentalità non statale ma di partito. E', secondo Foucault, questa la nuova governamentalità che appare alla fine del XIX secolo
e che rappresenta l'origine storica dei sistemi totalitari. In realtà
quello che accade è che la governamentalità dello Stato sia sotto
scacco, limitata da un lato dalla governamentalità dei partiti e
dall'altro da quella liberale, cioè economica. Non si vuole dire che
non si debba detestare lo Stato, ma chi se la prende con lo stesso
accusandolo di tutti i fenomeni di fascismo e di instaurazione di
violenza sbaglia perché i giochi in atto sono altri. Il processo di
fascistizzazione è esterno allo Stato, anzi in gran parte dipende
proprio dalla limitazione della sua governamentalità, vedi la Lega
nord. In realtà ciò che si va sempre più diffondendo è la
governamentalità neoliberale. A partire dalla Germania questo
modello va sempre più diffondendosi in Europa e nel mondo. Quello
statunitense, della scuola di Chicago, e il tedesco, della scuola di
Friburgo, hanno certamente molte connessioni e anche differenze.
Comunque, il liberismo tedesco si diffonde anche negli Stati Uniti.
Insomma se andiamo a vedere il modo in cui il modello tedesco entra
in Francia e come incide nel neoliberismo degli Stati Uniti le cose
sono molto differenti. Ma in entrambi i casi è sempre un modello
della economia sociale di mercato. In Francia questo modello si
presenta a fronte di una crisi, quella del 1973, che però già dal
1969 vedeva un costante aumento della disoccupazione, della riduzione
del saldo della bilancia dei pagamenti e una inflazione crescente. Su
questa crisi si scatena quella petrolifera che vede allineare i
prezzi a favore dei produttori. La scelta liberale a questo punto
sembra l'unica possibile. Perché è necessario integrare l'economia
francese a quella europea e mondiale. Solo così le decisioni
sbagliate prese dai governi precedenti, maggiormente dirigisti in
senso economico, potevano essere corrette. La posta in gioco non è
se iniettare un poco più di liberismo o no. Oggi la posta in gioco è
quella di seguire globalmente una politica neoliberale. Con Giscard
come si orienta la politica sociale? Intanto nel dopoguerra la
politica prevedeva da un lato il pieno impiego poiché gli si
attribuiva la crisi economica del 29, e le conseguenze che si erano
poi rilanciate in Europa e in particolare in Germania. Inoltre si doveva
evitare la svalutazione che segue ai periodi di crescita. Rendere
stabile l'occupazione e il valore della moneta erano i due obiettivi.
Le tecniche per giungere a questi obiettivi sono le stesse di una
economia di guerra, cioè il modello della solidarietà nazionale.
Ciò che capita agli individui deve essere sotto la responsabilità
collettiva in nome della solidarietà nazionale. I rischi degli
individui e soprattutto della famiglia sono collettivizzati. Ora una
politica così intesa non trascina con sé una serie di effetti
economici? Infatti una politica sociale di questo tipo funziona solo
se inserisce a livello economico una serie di redistribuzioni e
livellamenti che la politica liberale e l'economia in sé non
sarebbero in grado di garantire. In effetti già il modo in cui si
concepiva la previdenza nel 1947, secondo il suo inventore, non doveva
incidere economicamente. Si tratta di garantire ai salariati con un
prelievo dal salario sicurezze a loro e ai familiari consentendo
minori rischi nella vecchiaia o in caso di eventi imprevisti. Essendo
in gioco il solo salario questa condizione non implica altri elementi
economici. Trent'anni dopo invece allievi dell'ENA studiano
trent'anni di previdenza sociale e constatano che essa ha incidenze
economiche rilevanti. Di fatto l'incidenza è sul costo del lavoro che è più caro, ciò induce una diminuzione dell'impiego e un
aumento della disoccupazione. I diversi regimi previdenziali
incideranno sulla concorrenza internazionale alterandola a danno dei
paesi con previdenza più completa. Inoltre, a causa del costo del
lavoro, risulteranno accelerati lo sviluppo monopolistico e quello
delle multinazionali. Dunque, per come ha funzionato in trenta anni
la previdenza francese induce modifiche all'economia. Invece la
previdenza sociale deve rimanere economicamente neutra. La domanda
allora è come rendere impermeabili le due sfere, quella economica e
quella sociale? Si inizia a ragionare in questi termini, il mondo
economico è uno spazio di gioco in cui devono partecipare più
operatori possibile, la società deve essere attraversata da questo
gioco. Lo Stato deve limitarsi a indicare le regole del gioco. Regole
che dovranno lasciare al gioco di svilupparsi il più possibile,
coinvolgendo cioè più giocatori possibile. La regola principale
deve garantire che nessun giocatore cada fuori gioco, questo unisce
il sociale con l'economico. Una sorta di contratto sociale alla
rovescia. Mentre il contratto sociale richiede un accordo da parte di
chi partecipa, il gioco economico è aperto a chiunque voglia
giocare. Questa idea Giscard la esprime dicendo che ciò che
caratterizza l'economia di mercato è il fatto che esistono regole
del gioco, queste permettono però di prendere decisioni in maniera
decentralizzata, queste regole sono le stesse per tutti. Tra la
regola della concorrenza della produzione e quella della protezione
dell'individuo si deve instaurare "un gioco particolare",
affinché nessun giocatore possa rischiare di perdere tutto. Ora che
esiste, una regola di non esclusione si trova in tutta una serie di
decisioni. Ad esempio, il progetto di una imposta negativa,
impostazione di derivazione statunitense, cosa dice? Che una
prestazione sociale per non impattare economicamente non si deve
presentare sotto forma di consumo collettivo. Altrimenti chi se ne
avvantaggia sono solo i più ricchi, che ne usufruiscono con modica
spesa sul loro reddito quando potevano affrontarla autonomamente. Le
forme di assistenza generali vanno abolite. L'imposta negativa allora
è un sussidio monetario che viene erogato a tutti coloro che non
raggiungono un livello ritenuto minimamente decente integrandone il
reddito. Solo a loro vanno i sussidi compensatori, disoccupati o
pensionati che siano. Al di sotto di un livello di reddito saranno
versati i contributi complementari a patto di dimenticare che la
società debba fornire nel suo insieme servizi come la sanità o
l'educazione. L'imposta negativa francese non è così drastica ma
gli somiglia molto. Il livello di questo sussidio deve convincere chi
lo riceve che è comunque meglio cercarsi da lavorare. Ora, lasciamo
da parte se questo livello di risarcimento nella difficoltà sia
effettivamente adeguato, guardiamo invece cosa cerca di realizzare.
Cerca di attenuare gli effetti della povertà. Non sulle cause ma
solo sugli effetti è orientata l'imposta negativa. I bisogni
fondamentali è necessario che siano raggiunti da tutti, chi non è
in grado deve essere aiutato. Non ci si deve neanche preoccupare
perché uno cada sotto il livello minimo della soglia sociale. Non ci
si chiede come mai, se perché è un pessimo lavoratore o un buon
lavoratore sfortunato. Tutto questo è indifferente. L'imposta
negativa così evita una serie di implicazioni che non fanno che
redistribuire il reddito. Cioè, tutto ciò che è posto sotto il
segno della politica socialista. Se politica socialista è quella che
cerca di limitare lo scarto tra i ricchi e i poveri, l'imposta
negativa è esattamente il contrario. La povertà relativa non
rientra nell'ambito della imposta negativa. L'unica soglia che
interessa è quella della povertà assoluta, bisogna evitare solo
questa caduta. Naturalmente questa soglia è relativa tra un paese e
l'altro, assoluta per il singolo paese. Così l'ingerenza della
imposta negativa tocca solo chi sta sotto la soglia di povertà, ma
non incide sul gioco economico degli altri strati sociali. Questa è
la ragione semplice per cui i paesi con maggiore peso sociale non
sono competitivi. Dedicano maggiore risorse al sociale anziché ai
giochi del mercato (confronto al tempo in cui scrive Foucault, oggi
sempre più questi giochi si fanno finanziari diventando infine semplici scommesse). Gli
altri strati sociali saranno quindi indipendenti e concepiti come se
la propria famiglia fosse una sorta di impresa. Quindi, sopra la
soglia sarà possibile avere una società formalizzata secondo il
modello dell'impresa concorrenziale. Ci sarà così una sorta di
popolazione fluttuante che passa al di sotto e al di sopra della
soglia. Scrive Foucault: 'In questo modo, con un sistema simile
- che, lo ripeto, ancora una volta, per determinate ragioni non è
stato applicato, ma di cui potete vedere molto bene i lineamenti di politica congiunturale che Giscard e Barre attualmente stanno
conducendo - assistiamo alla costituzione di una politica economica
che non è più incentrata sul pieno impiego, che non si può
integrare all'economia generale di mercato se non rinunciando
all'obbiettivo del pieno impiego e al suo strumento essenziale che è
una crescita deliberatamente perseguita. Si rinuncia dunque a tutto
questo per integrarsi a una economia di mercato. Ma ciò implica un
fondo di popolazione fluttuante, al limite, al di sotto, o appena al
di sopra di questo limite, i cui meccanismi di assicurazione
consentiranno a ciascuno di sussistere, e sussistere in maniera tale
da poter essere sempre candidato a un possibile impiego, se le
condizioni di mercato lo esigono. Si tratta di un sistema
completamente diverso di quello attraverso cui si è costituito e si
è sviluppato il capitalismo del XVIII e XIX secolo, quando questo
aveva a che fare con una popolazione contadina che poteva costituire
una perpetua riserva di manodopera. Da quando l'economia funziona
come funziona oggi, da quando la popolazione contadina non può più
fornire questa sorta di serbatoio perenne di manodopera, bisogna
costituirlo in qualche altro modo. E quest'altro modo è quello della
popolazione assistita secondo un modello in effetti molto liberale,
molto meno burocratico, molto meno disciplinare rispetto a un sistema
incentrato sul pieno impiego, che mette in atto meccanismi come
quelli della sicurezza sociale. Alla fine si lascia alle persone la
possibilità di lavorare se lo vogliono o di non farlo, se non
vogliono. Ma sopratutto si offre la possibilità di non farle
lavorare, se non si ha interesse a farlo. Si garantisce loro
semplicemente la possibilità di sopravvivenza minimale a una certa
soglia, ed è così che questa politica neo liberale potrà
funzionare. Un progetto come questo non è che la radicalizzazione
dei temi generali di cui vi ho parlato a proposito
dell'ordoliberismo. Gli ordoliberali tedeschi avevano infatti
spiegato che l'obiettivo principale di una politica sociale non
consisteva nel farsi carico di tutti i rischi che potevano capitare
alla massa globale della popolazione; una vera politica sociale,
invece, dovrebbe lasciare intatto il gioco economico, dovrebbe
pertanto lasciare che la società si sviluppi come una società di
impresa, mentre dovrebbe predisporre contemporaneamente un certo
numero di meccanismi di intervento per assistere coloro che ne hanno
bisogno nel momento, e soltanto nel momento, in cui ne hanno
bisogno'. Il liberalismo americano è invece molto più di quello
tedesco un modo di essere. Hayec prima di tornare in Germania scrive
che il liberalismo deve essere un pensiero vivente. Per questo non
deve lasciare le utopie al socialismo ma deve farsi utopico esso
stesso. A noi, nel senso di studiosi, spetta di costruire utopie
liberali, dice. In questo senso i due aspetti più rilevanti
riguardano la teoria del capitale umano e quello della criminalità.
Per ciò che riguarda il primo, ai neo liberali è parso strano che i
liberali classici indicassero la produzione dei beni dipendere da tre
fattori: terra, capitale e lavoro. In realtà accusano l'economia
classica di non avere mai analizzato il lavoro in modo adeguato. Adam
Smith si limita a indicare il lavoro come una delle variabili in
gioco, poi Ricardo cerca di approfondire, ma lo fa sempre e solo in
modo quantitativo, basandosi su variabili temporali, aumentando i
lavoratori e le ore disponibili alla produzione e al capitale. Anche
Keynes non va molto più avanti. Ora c'è invece Marx che ha fatto
una analisi attenta, ma i neo liberali non si confrontano con lui.
Foucault azzarda che se si confrontassero direbbero così. Certo, per
Marx l'operaio vende il suo lavoro, la sua forza lavoro, che viene
remunerata da un salario di mercato che corrisponde alla domanda e
all'offerta di forza lavoro. Ma il lavoro che l'operaio compie ha un
valore maggiore della sua retribuzione che così viene sottratta.
Questa è la quota che remunera il capitale. Allora per queste ragion
Marx dice che il lavoro diviene astratto, cioè separato da tutta la
sua realtà umana, di tutte le sue variabili qualitative. Marx così
mostra come il capitale riduce il lavoro alla forza e al tempo, cioè
a quantità, a merce. Ora, direbbero i neo liberali, chi è
responsabile di questa astrazione? Non il capitalismo, come pensava
Marx, ma la teoria economica che gli è stata costruita intorno.
L'astrazione non deriva dai processi economici in sé ma dal modo in
cui sono stati oggetto di riflessione nella economia classica. Il
fatto è che i liberali vedevano il capitalismo solo in termini di
processo: capitale, investimento, macchina, prodotto. Ora, la pretesa
dei neo liberali è quella di cambiare l'oggetto dell'analisi
economica. Per i neo liberali non si deve seguire la traccia lasciata
dai classici, ma si devono studiare la natura e le conseguenze delle
scelte sostituibili. In altri termini di fronte a risorse limitate si
deve studiare come possano essere impiegate sulla base di fini
differenti. Così, secondo Foucault, accettano la seguente definizione:
'L'economia è la scienza del comportamento umano, inteso come una
relazione tra fini e mezzi rari i quali hanno utilizzazioni che si
escludono reciprocamente.' Dice ancora Foucault: 'Come vedete,
questa definizione dell'economia non le propone come compito l'analisi
di un meccanismo relazionale tra cose o processi, come il capitale,
l'investimento, la produzione, e così via, in cui il lavoro a quel
punto, si trova inserito solo a titolo di ingranaggio; le assegna,
piuttosto, il compito di analizzare un comportamento umano e la
razionalità interna a tale comportamento. L'analisi deve cercare di
mettere in evidenza quale sia stato il calcolo - il quale, a sua
volta, potrà essere anche irragionevole, cieco, insufficiente -
attraverso cui, date delle risorse rare, un individuo o più
individui hanno deciso di destinarle a un fine piuttosto che a un
altro. L'economia non è più, dunque, l'analisi dei processi, ma è
diventata l'analisi di un'attività; non è più l'analisi della
logica storica dei processi, bensì l'analisi della razionalità
interna, della programmazione strategica dell'attività degli
individui. Ma allora a questo punto che cosa vorrà dire fare
l'analisi economica del lavoro, cosa significherà reintrodurre il
lavoro all'interno dell'analisi economica? Non certo sapere dove il
lavoro si collochi, diciamo, tra il capitale e la produzione. Il
problema della reintroduzione del lavoro nel campo della analisi
economica non consiste nel chiedersi a quanto si compri il lavoro, o
che cosa produca tecnicamente, o quale sia il valore che il lavoro
aggiunge, il problema fondamentale, essenziale, e in ogni caso il
primo che si pone nel momento in cui si vorrà fare l'analisi del
lavoro in termini economici, sarà di sapere in che modo chi lavora
utilizza le risorse di cui dispone. Vale a dire che, per introdurre
il lavoro nel campo dell'analisi economica, ci si dovrà mettere
nella prospettiva di chi lavora; si dovrà studiare il lavoro come
comportamento economico, e come comportamento pratico, messo in atto,
razionalizzato, calcolato, dallo stesso individuo che lavora. Che
cosa significa lavorare per colui che lavora? E a quale sistema di
scelte e razionalità obbedisce questa attività di lavoro? Ecco
allora che improvvisamente, a partire da questa griglia che proietta
sull'attività di lavoro un principio di razionalità strategica,
diventa possibile vedere in che cosa e come le differenze qualitative
del lavoro possono avere un effetto di tipo economico. Porsi, dunque,
dal punto di vista del lavoratore e far sì che per la prima volta il
lavoratore sia, nell'analisi economica, non un oggetto - l'oggetto di
una domanda e di una offerta in forma di forza lavoro -, ma un
soggetto economico attivo. E una volta stabilito questo compito, in
che modo viene svolto? Schultz o Becker, si chiedono: perché, in
fondo, le persone lavorano? Naturalmente per avere un salario. Ma che
cosa è un salario? Un salario, molto semplicemente, è un reddito.
Dal punto di vista del lavoratore, il salario non è il prezzo di
vendita della sua forza lavoro, ma è un reddito. E allora, ecco che
i neo liberali americani si rifanno alla vecchia definizione di
Irving Fisher, che diceva: che cos'è un reddito? Come lo si può
definire? Un reddito è semplicemente il prodotto è il rendimento di
un capitale. E inversamente, si chiamerà "capitale" tutto
ciò che può essere, in un modo o nell'altro, fonte di redditi
futuri. Di conseguenza, se si ammette che il salario è un reddito,
sarà dunque il reddito di un capitale. Ora, in cosa consiste il
capitale di cui il salario rappresenta il reddito? Ebbene, consiste
nell'insieme di tutti i fattori fisici e psicologici, che rendono
qualcuno capace di guadagnare un certo salario piuttosto che un
altro, di modo che, visto dalla prospettiva del lavoratore, il
lavoro non è una merce ridotta per astrazione alla forza lavoro e al
tempo impiegato per utilizzarla. Scomposto in termini economici, dal
punto di vista del lavoratore il lavoro comporta un capitale, vale a
dire un'attitudine, una competenza; come dicono gli autori che stiamo
considerando, si tratta di una "macchina". Ma da un altro
punto di vista è un reddito, cioè un salario, o piuttosto un
insieme di salari: un flusso di salari, come lo definiscono'.
Allora il lavoratore è
diventato una macchina in grado di produrre flussi finanziari,
reddito, che all'inizio, meno competente, riceverà redditi minori
che aumenteranno fino al suo pensionamento. Siamo agli antipodi
dell'analisi classica. Non è più la prospettiva di forza lavoro che
vende se stessa, ora è capitale umano che riceve reddito in base
alle sue competenze. Insomma, l'individuo è visto sempre più come
impresa. L'economia è fatta di unità imprese. L'homo economicus
classico era il partner dello scambio, il nuovo modello è invece
l'imprenditore di se stesso, che è il proprio capitale. Anche quando
consuma egli produce, e cosa produce? La soddisfazione per se stesso.
Il salario è la remunerazione di un certo capitale, il capitale
umano. Da cosa è costituito il capitale? Da elementi che vengono da
sé e che possiamo immaginare anche avendo una vaga infarinatura di
biologia. Il capitale umano si eredita, poi è necessario formarlo,
perché, sempre per i neo liberali, la sua costituzione è
interessante dove si forma grazie all'utilizzazione di risorse rare.
Per ora non costa nulla ma si tratta di vedere gli sviluppi che avrà
la genetica. Con i suoi inevitabili risvolti razzisti. Perché
implica scelte da fare sul corredo genetico delle persone, far
nascere individui con migliore capitale innato vuol dire essere
obbligati a scelte che partono da un giudizio di valore. Poi, oltre
l'innato, si tratta di formare il capitale umano, questa la ragione
per cui le famiglie ricche hanno meno figli secondo i neo liberali,
esse si occupano molto di più dell'educazione e questo richiede uno
sforzo unitario maggiore, perché è necessario dedicare molto più
tempo a loro. Ma tutta questa analisi dove porta? Se vogliamo vederne
le connotazioni politiche esse sono di per sé evidenti e non ci
sarebbe altro che da denunciarle. Invece, il centro di questa analisi
è che è in gioco il concetto di innovazione. Ecco, ciò che si è
trascurato nell'analisi classica e anche in quella marxiana, il fatto
che è dal capitale umano che ha origine l'innovazione. Questo è un
salto quantico. La caduta del saggio di profitto è in questo modo
continuamente corretta secondo Schumpeter. Non è solo per
l'imperialismo che il saggio di profitto non cade, come pensava Rosa Luxemburg, insisterà
Schumpeter, ma è grazie all'innovazione che il profitto non
viene meno. Si scoprono nuove tecniche, nuove fonti, nuove forme di
produttività, nuovi mercati e nuove riserve di manodopera, questi
sono i prodotti del capitale umano, cioè gli investimenti fatti in
relazione all'uomo in quanto tale. Altro aspetto che Foucault mette a
fuoco è il rovesciamento dei rapporti tra economico e sociale. Si
era sempre concepito l'ambito sociale e economico come complementare,
al più, il secondo interno al primo. Ma nell'analisi neo liberale
avviene una inversione dei rapporti. Cosa deve fare ora un governo?
Facilitare nella politica sociale la formazione di un mercato.
Inserire nella politica gli obiettivi che portano il tessuto sociale
alla formazione non di individui che lavorano in azienda ma di
individui impresa che come artigiani, coltivatori, piccole imprese
trasformano il tessuto sociale non secondo la grana degli individui,
bensì secondo quella delle imprese. Imprese a misura degli
individui. Imprese in relazione tra di loro in cui la grana degli
individui possa influire nelle decisioni e in cui ognuno possa
concatenarsi e non dipendere soltanto da una. Poi, la vita
individuale, la vita familiare, il rapporto con la proprietà
privata, con la conduzione della vita, con le assicurazione, banche,
pensione farà di ognuno una sorta di impresa permanente e multipla.
Questo nuovo modo di fare società secondo il modello dell'impresa
costituisce la politica sociale anche degli ordoliberali tedeschi.
Così il modello economico si moltiplica fin nelle cellule del
singolo essere vivente. Gli ordoliberali tedeschi e i neo liberisti
americani da un lato demoltiplicano i valori economici all'interno
del corpo sociale ora cooptato dal modello capitalista della domanda offerta,
investimento, costo, profitto, trasformando tutti i rapporti
sociali e l'esistenza stessa. Inoltre iniettano nel modello economico
tutti i valori caldi dell'ambito sociale rispetto al meccanismo
freddo della concorrenza. Tutta una trasformazione della soggettività
che incide nella trama sociale che la costituisce. Così l'individuo
non sarà più alienato nel suo tempo lavorativo, secondo i neo
liberali, rispetto all'ambiente di lavoro e alla casa, alla famiglia,
al suo ambiente naturale. Questi sono punti di ancoraggio concreti
che costituiscono la vitalpolitik, come dice Rustow. Il ritorno,
cioè, dell'impresa in ogni spazio allarga l'ambito economico a ogni
aspetto della vita sociale. Rustow dice "L'economia del corpo
sociale organizzato secondo le regole dell'economia di mercato, è
questo che bisogna fare, ma ciò non toglie che si debbano ancora
soddisfare nuovi e accresciuti bisogni di integrazione".
Ecco la vitalpolitik. La concorrenza come principio d'ordine
economico su cui edificare l'intera società però, dirà Ropke, non
può funzionare, perché è disgregante. E' per questo
necessario un quadro politico e morale. Cosa deve fare allora la
politica? Assicurare una società non disgregata ma cooperativa tra
gli uomini, naturalmente radicati e socialmente integrati. Nel
neo liberismo americano le cose sono leggermente diverse. Sostengono
che anche la soddisfazione di un bisogno può rientrare nel calcolo
economico, se l'educazione dei figli è necessaria a valorizzare il
capitale umano, cosa ne ricava la madre? Soddisfazione personale. Ma
anche all'interno del matrimonio i neoliberisti americani applicano
le loro griglie di intellegibilità mostrando tutta una serie di
transazioni di tipo economico. Io vengo a letto con te se tu mi zappi
il campo, dicevano i genitori di Pierre Riviere, prima di essere
uccisi dal figlio. Alla griglia familiare i neo liberali americani
aggiungono una griglia di valutazione politica. Tutta questa attività
viene filtrata attraverso il gioco della domanda offerta. Istituendo
una critica che non è semplicemente giuridica o politica, ma
valutando in termini di costi benefici tutte le attività pubbliche.
Iniziano così le agenzie di rating etici, che non sono da confondere con quelle finanziarie, queste ultime valutano lo stesso
la sostenibilità sociale ed ambientale ma di emittenti di titoli,
come aziende, banche, Stati. Aree diverse e contigue. Ma
sempre si tratta di valutare secondo un calcolo economico le
politiche o le imprese. Tutta una serie di commissioni saranno create
a questo fine. In questo modo il lassaize faire si capovolge,
non è più la politica che non deve ingerire nell'economia, è
l'economia che non lascia più fare la politica. Ha luogo il nuovo
tribunale economico che vaglia le governance. Lo stesso
slittamento accadrà per la definizione del criminale. Il criminale
non sarà più oggetto ma soggetto. Prima era criminale ogni atto che
portava a una condanna. Ora il crimine è ciò che fa correre il
rischio all'individuo di essere condannato a una pena. La stessa
soggettivazione del capitale umano è messa qui in atto. Si adotta il
punto di vista del soggetto senza psicologismi o analisi
antropologiche. Si tratta anche qui di una valutazione di tipo
economico che viene attuata. Cioè, è sempre l'homo economicus a
essere tirato per la giacchetta. Egli dovrà saper valutare il
rischio che gli atti comportano nella sua vita, dovrà mettere in
conto una sorta di rischio nelle sue intraprese. Dovrà saper
valutare questo rischio che può estendersi anche in ambito penale.
Egli, dunque, può accettare questo rischio. Criminale è allora l'atto
di un individuo che accetta il rischio di essere punito dalla legge,
questo non comporterà più differenza tra un infrazione al codice
della strada e un omicidio premeditato. Il criminale non è più da
interrogare sotto profili psicologici o antropologici. Il criminale è
una persona qualunque che agisce per un profitto correndo dei rischi.
Ora il sistema penale dovrà reagire ad un offerta di crimine. La
punizione sarà allora il mezzo utilizzato per limitare le
esternalità negative di determinati atti. Non è possibile
sopprimere i crimini, però si può ridurre l'offerta del crimine. Se
liberalizzo la droga ho un diminuzione dei reati, ma anche altri
effetti che considero più costosi, quindi non lo farò, in questo
caso conviene, secondo i neo liberali, mantenere alta l'offerta del
crimine. La domanda è quanti crimini si devono tollerare, quanti
criminali devono rimanere liberi? Ma se andiamo a vedere anche in
altri ambiti l'homo economicus influisce, ad esempio, anche sulla
psicologia dove il comportamentismo alla Skinner risponde
perfettamente ad una analisi di tipo economico. I comportamenti sono
cioè prevedibili o spiegabili tramite analisi e griglie orientate
dall'interesse. Quando compare l'homo economicus? Foucault lo fa
risalire alla posizione di Locke, che individua per la prima volta un
soggetto portatore di interessi irriducibili. Hume ne farà un
esempio semplice: quando un individuo fa delle scelte bisogna
chiedersi qual è l'elemento irriducibile. Se chiediamo a una persona
perché fa esercizi, risponderà per rimanere sano, se chiediamo come
mai preferisci rimanere sano? Dirà che preferisce la salute alla
malattia, se insistiamo sul perché la preferisce, dirà perché non
voglio star male, se infine chiediamo come mai la malattia sia
dolorosa, probabilmente non risponderà trovando la domanda
insensata. Il carattere doloroso o non doloroso costituisce un
carattere in sé della scelta oltre la quale non si può andare. Non
c'è possibilità ulteriore di calcolo, questo punto è irriducibile
a qualsiasi ragionamento, giudizio, calcolo, rappresenta un punto di
fermo regressivo dell'analisi. Inoltre, se devo scegliere di farmi
tagliare un dito per salvare la vita di un altro, anche se fossi
obbligato a farlo, nulla mi convincerebbe che sia preferibile
tagliarmi un dito alla sua morte. Insomma, questo punto oltre il
quale non si può andare, che indica una scelta irriducibile,
individuale e non trasferibile, principio di una scelta atomistica e
incondizionatamente riferita al soggetto stesso è quanto viene
chiamato interesse. Questa analisi degli empiristi inglesi fa
comparire per la prima volta un concetto fino ad allora inesistente,
cioè l'idea di un soggetto di interesse. Interesse come volontà
immediata e assolutamente soggettiva. Il problema allora per Foucault
è se questo interesse che dà la nascita all'Homo economicus sia
sovrapponibile alla volontà giuridica o sia ad essa articolabile. Se
queste due volontà sono, insomma, conciliabili. Sembra di sì se
pensiamo che due individui firmano un contratto poiché hanno
interesse a farlo. Per rispondere al rischio gli individui cedono una
parte della loro possibilità, la limitano accordandosi tra di loro.
Chi si accorda è un soggetto che calcola il proprio interesse come
cessione di una parte di ciò che è nelle sue prerogative. Posso
vivere libero ma senza una casa, se mi accordo con altri costruiamo
le case, facciamo una comunità e ci diamo delle regole, le regole
limitano la mia possibilità. Calcolo se mi conviene. Hume però
contesta che le cose siano così semplici. E' vero che il soggetto di
diritto calcoli la convenienza a rispettare il contratto che ha
stabilito i limiti della sua libertà. Ma per Hume non lo fa in
quanto rispetta il contratto diventando soggetto di diritto. Se
rispettiamo un impegno è solo perché abbiamo interesse che
sussista. Vale a dire che l'homo economicus sopravanza sempre quello
del diritto. Dunque, interesse e volontà giuridica non si
sostituiscono l'uno all'altra. Il soggetto di dritto non è
installato dentro il soggetto di interesse. Per tutto il tempo che
c'è una legge sussiste il soggetto di interesse, sussiste finché
c'è una legge e sopravanza continuamente il soggetto di diritto, è
irriducibile al soggetto di diritto, non viene assorbito da questo.
Rispetto alla volontà giuridica l'interesse è irriducibile. Inoltre
non risponde della stessa logica. Infatti il soggetto di diritto è
disponibile a cedere qualcosa, è un soggetto negativo, accetta di
rinunciare, trasferisce delle prerogative, rinuncia a se stesso. La
dialettica del soggetto di diritto è la sua divisione, la sua
negazione, all'interno di questi limiti si presenta la legge e
l'interdetto. Il soggetto di interesse non risponde alla stessa
meccanica. La meccanica che gli economisti pongono in essere è
egoista. Se ognuno fa il suo interesse egoisticamente la ricaduta
sarà per tutti positiva massimizzando l'interesse di ciascuno. Non
solo ciascuno deve seguire il proprio interesse, ma è necessario che
lo faccia. Sono, insomma, due strutture opposte, eterogenee. Il
mercato e il contratto funzionano in modo contrario. Quindi ciò che
nell'analisi del contratto apparentemente è costituito
dall'interesse appaiandoli, in realtà nasconde dinamiche opposte.
Così scrive Foucault: 'Al
sovrano giuridico, al sovrano detentore di diritti e fondatore del
diritto positivo a partire dal diritto naturale degli individui,
l'homo economicus è qualcuno che può dire: tu non devi, ma non
perché io abbia dei diritti e tu non abba il diritto di intaccarli.
Questo è piuttosto ciò che dice l'uomo di diritto. L'homo
juridicus, infatti dice al sovrano: io ho dei diritti, te ne ho
affidati alcuni, e non devi toccare gli altri, oppure: ti ho affidato
i miei diritti per questo o quel fine. L'homo economicus non dice
questo. Certo, anche lui dice al sovrano: non devi. Ma glielo dice in
questa forma: non devi, perché non puoi. E non puoi nel senso che
"sei impotente". E perché sei impotente, perché non puoi?
Non puoi, perché non sai e non sai perché non puoi sapere.'
L'homo economicus e l'homo
legalis sono in contraddizione. Tuttavia l'emergere dell'homo
economicus nel XVIII secolo è diretto a fare l'interesse di tutti senza saperlo, se è vero che il suo egoismo porta a generare una
ricchezza comune agli altri. Cioè, "la mano invisibile" di
Adam Smith. L'analsi di Foucault ne metterà in evidenza un aspetto
ulteriore. Oltre alla mano, che possiamo immaginare un poco come la
provvidenza che si mette in atto distribuendo doni a tutti tramite
l'egoismo di pochi, è soprattutto l'invisibile che interessa Foucault.
Cosa significa invisibile? Che non si può vedere. Che non deve
essere visto. Il fatto è che l'economia funziona solo se non si vede
il moto complessivo del suo funzionamento, la sua totalità. Funziona
solo se ignoriamo come funziona. Funziona solo se la lasciamo alla
sua spontaneità. Se invece la vogliamo controllare e regolare ne
viene l'opposto di quanto desideriamo. Perché la mano invisibile
distribuisca i suoi doni a partire dall'egoismo dei singoli individui
è necessario che questi siano ciechi rispetto alla totalità dei
loro giochi. L'invisibilità non solo è necessaria ma fa sì che
nessun agente economico possa andare a cercare il bene collettivo.
Non solo nessun agente economico ma anche politico. Il mondo
dell'economia deve restare oscuro al sovrano. Il potere politico non
deve intervenire. Ogni volta che dai propri interessi si distoglie lo
sguardo per fare l'interesse del paese arrivano le chimere. Di
conseguenza per l'economia è necessario che la politica abbia la
vista corta. Insomma, il risultato è che l'unico soggetto che può
decidere qualcosa è il detentore di interesse, l'uomo dell'economia
è l'unico detentore della ragione. Il suo mondo è e deve essere
opaco, non tollera alcun tipo di governo. Il sovrano giuridico è
sempre sopravanzato dal soggetto economico. L'economia dunque si
presenta come critica del pensiero politico. Anche Kant dirà
all'uomo che non può conoscere la totalità del mondo. Però gli
economisti avevano anticipato i filosofi, avevano detto per primi al
sovrano che non poteva conoscere la totalità del processo economico.
Ecco ciò che viene sollevato contro tutte le forme di piano e
controllo che ritengono sia meglio orientare le dinamiche del mercato. La
mano invisibile ha il ruolo di screditare qualsiasi sovranità
politica. Squalifica qualsiasi ragione politica ancorata allo Stato e alla sua sovranità. Cancella Adam Smith in un solo colpo il
mercantilismo, lo Stato di polizia, ma anche i fisiocrati. In fondo
il quadro economico secondo i fisiocrati dava al sovrano una idea
precisa di ciò che avveniva nel proprio territorio. Dunque, si deve
concludere che l'economia non può essere la ragione del governo, si
possono ascoltare i consigli degli economisti ma non si possono dare
loro deleghe, perché essi per principio non possono riceverle, sono
ciechi rispetto ai loro propri fini.
Franco Insalaco
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