La
relazione tra religione e filosofia come elemento di elaborazione
dell'identità e di incanalamento della violenza.
Intendo
affrontare il rapporto tra filosofia e religione a partire dal
conflitto che ha investito l'ex Jugoslavia e creato la guerra civile
tra tutti i paesi che ne facevano parte. Mi pare che il dialogo intrecciato
tra filosofia e religione, tra romanticismo e ortodossia, di fatto abbia alimentato gli
eventi che l'hanno fatta cadere.
Questo metterò in evidenza con una analisi di matrice girardiana. La storia è nota a tutti. L'Italia per la prima volta dal 1945 entra in guerra allineandosi alla rappresaglia contro la Serbia. Intervento apparentemente giustificato dalla posizione di Belgrado che intendeva imporre continuità ai confini stabiliti dal regime di Tito salvaguardando violentemente gli interessi serbi nei vari paesi della confederazione. La regione balcanica è da sempre in equilibrio funambolico tra popolazioni di diverse etnie, culture e religioni. Ogni Stato federato era costituito da etnie, religioni e culture multiple che fino ad allora avevano convissuto in apparente concordia. Ma senza consapevolezza del significato democratico che tale convivenza richiedeva, determinante il fatto che vi era un solo partito, quello comunista. Il Comunismo, pur non preparando la popolazione al dialogo, impose però, paradossalmente, la massima democrazia, attuando una buona convivenza tra diversi. La costituzione federativa del paese venne realizzata tenendo conto delle differenze e vi era sancita una relativa e paritaria libertà tra tutti i cittadini: quella di espatrio tramite il passaporto, quella economica e di lavoro consentendo anche la proprietà di più case. Roma nel 200 A.C. aveva conquistato le regioni popolate dagli Illiri, queste si estendevano dall'attuale Albania fino alla Slovenia, cioè lungo tutto il Mar Adriatico. Si intese così nei secoli più prossimi a noi con illirizzazione la ricostituzione di quel grande Stato. Naturalmente la Serbia pensava a una grande Illiria serba e gli altri lo stesso, ma in proprio. La Jugoslavia rappresentava, in un certo senso, il disegno di quell'insieme, senza egemonie dell'uno sull'altro. Peraltro, non era semplice ricucire le tensioni che durante la seconda guerra mondiale provenivano da nazionalità spesso contrapposte. A costituire un unico tessuto in grado di trovare accordo tra tutte quelle molteplicità fu il Comunismo di Tito che unificò quelle differenze. L'aspetto religioso venne meno, la cultura romantica si sciolse, le origini storiche di ciascuno furono amputate con un nuovo inizio. Chi è cresciuto in quei paesi dopo la seconda guerra mondiale ha visto la storia, quella insegnata a scuola, iniziare proprio dal 1945, cioè a partire dalla nuova Costituzione della Repubblica Jugoslava. E' lungo e complesso il processo che porterà alla federazione degli Stati jugoslavi. Vi furono quattro fasi successive. Peraltro, prima della seconda guerra, esisteva già il regno jugoslavo, composto da serbi, croati, sloveni a religione ortodossa, mussulmana e cristiana.
La
prima guerra mondiale
La
prima guerra mondiale nasce in seguito alla volontà dell'impero Austro-Ungarico
di appropriarsi di un piccolo regno slavo. Gli era stata concessa la
Bosnia dall'intermediazione Russa, ma dopo l'uccisione di Francesco
Ferdinando d'Austria da parte di uno studente serbo, l'Austria invia
alla Serbia un elenco di 15 punti che avrebbe dovuto accettare per
evitare il conflitto. La Serbia li accetta tutti meno uno, quello che
prevedeva indagini compiute dalla polizia austriaca in territorio
serbo. L'Impero Austro-Ungarico dichiara guerra. L'Impero Russo,
alleato della Serbia, interviene a quel punto militarmente. La
Germania impone alla Russia di ritirare le sue forze e al suo
rifiuto dichiara guerra alla Russia e alla Francia. La prima guerra
mondiale inizia così, scenderanno in campo i vari contendenti divisi
in due fazioni: gli Imperi Centrali e la Triplice Intesa. Senza
risalire più indietro nel tempo vediamo subito che i Balcani
costituiscono un territorio di conquista da parte di paesi esterni
all'area balcanica. L'interesse di alcuni paesi europei era
evidente, visto che allora si arrivò al più grande conflitto mai
registrato dalla storia degli uomini. Il primo conflitto su scala
mondiale. Era una scusa l'omicidio di Francesco d'Austria, ma non lo
era la conquista del territorio serbo. La Serbia un paese verde,
pieno di pianure fertili, forse ultimamente, dopo i bombardamenti
Nato, un poco velenose, ha sempre costituito un ricco bottino per gli
Stati imperialisti. Cosa accade dopo? Entra in guerra anche l'Italia.
Con un voltafaccia alla triplice alleanza, cioè agli imperi
centrali, l'Italia affianca l'Inghilterra. Questa aveva promesso un
ricco bottino in caso di vittoria, cioè, l'annessione di territori
che vanno da Trento fino al Brennero, da Gorizia a Trieste a parte
della Dalmazia, per questo si schiera con la Triplice Intesa. Il popolo
italiano con un colpo di mano vede delegittimato il parlamento, in
maggioranza neutrale, così gli interventisti la spuntarono anche se
erano in minoranza. La prima scissione del parlamento imposta per
motivi nazionali era stata compiuta. Gli interventisti erano
irredentisti che intendevano recuperare dall'Impero Austro Ungarico
le terre italiane considerate sotto dominio straniero, appunto Trento
fino al Brennero, Gorizia, Trieste e Gradisca d'Isonzo, L'Istria
senza Fiume e parte della Dalmazia.
La situazione economica
Ma
torniamo alla storia più recente. L'aspetto religioso nella
Jugoslavia comunista, rimanendo sullo sfondo, non costituì motivo di
contese. Questo fino agli anni '80. Dopo la morte di Tito però la
situazione precipitò in maniera drammatica lungo tutto il decennio,
cioè fino alla fine degli anni '90, poi seguì la catastrofe. Qual è
il punto essenziale per cui cadde il governo e venne stracciata la
costituzione Jugoslava? Intanto una situazione economica fortemente
compromessa. I singoli Stati non erano più in grado di garantire un
tenore di vita sufficiente ai propri cittadini. Inoltre, la crisi
generale del Comunismo in Unione Sovietica impedì di costituire un
obiettivo credibile sul quale muoversi in piena condivisione. Ogni
paese, dunque, inizia ad ignorare il governo comune e a pensare per
sé. Questo aspetto porta direttamente all'emergere di conflitti
economici, poi etnici e infine religiosi tra i diversi paesi. Non più
retti da un parlamento comune e senza alcun dialogo, i vari Stati si
frammentarono. Durante il dominio di Tito le frontiere dei paesi
erano aperte e si incoraggiava chi voleva trasferirsi, così si
erano create mescolanze che in ogni regione avevano formato delle
minoranze reciproche. Quando, morto Tito, i governi non presero più
sul serio né il parlamento né il nuovo presidente jugoslavo, la
crisi si acuì e scoprì i nervi delle maggioranze contro le
minoranze. Come accade che l'aggressività prenda il posto della
parola? Il punto è che spesso la parola è violenta, ma nasconde la
sua carica. Nella crisi si rielabora l'identità cercando una
origine comune, un principio che ristabilisca la comunità. Ma questa
ricostruzione identitaria passa attraverso meccanismi micidiali che
René Girard mette in evidenza in modo particolarmente efficace.
Il
desiderio triangolare
Questi
meccanismi sono necessari per incanalare la violenza e limitarne gli
effetti negativi. Tuttavia la loro brutalità è micidiale. Tali
congegni sono tanto semplici quanto nascosti. Anzi, secondo René
Girard spesso la cultura è il sistema di occultamento di questi
automatismi. Succede, ad esempio, che la Serbia e L'Albania, o meglio
i loro abitanti, abbiano le radici nella stessa terra kossovara, lì
sarebbe il cuore e l'origine di entrambe le etnie e delle loro
culture, cioè dei loro miti sull'origine. Dunque, un primo
meccanismo gemellare è il desiderio di avere per sé il territorio
marcato dal rivale. Il desiderio per Girard ha di caratteristico che
funziona triangolarmente. Non desidero qualcosa direttamente ma solo se lo desidera qualcun altro, il mediatore. Dunque tra serbi e albanesi si
instaura una reciprocità negativa gemellare sull'origine. I
fratelli, sopratutto se sono gemelli, si confondono, e se si deve
decidere l'erede al trono scatta, al momento della successione, la
violenza reciproca. Si pensi a Romolo e Remo ma anche a Caino e Abele. Per i
gemelli, quando il patrimonio familiare spetta in caso di maggiorasco
all'uno o all'altro, le cose diventano per forza conflittuali. Vedi anche i
tebani Eteocle e Polinice. La reciprocità è vista da Girard in modo
sia pacifico sia conflittuale, ed è simmetrica. La reciprocità è
solo simmetrica, quindi si apre al dono o al conflitto, perché
entrambi facciamo da specchio all'altro, il mediatore, e vogliamo la stessa cosa.
Dunque, per René Girard, i rapporti sono sempre identitari, non
sono mai improntati alla differenza, come invece crede la cultura di
sinistra. Tra serbi e albanesi scatta un rapporto gemellare in cui la
reciprocità diventerà simmetricamente distruttiva perché entrambi
desiderano e vogliono il Kossovo come patria elettiva, finché alla
fine scoppierà la guerra. Gli uni e gli altri sono dentro un
circuito vizioso in cui il desiderio è rilanciato dalla stessa
terra. Diceva Goethe che è meglio non presentare ad un amico la donna
che ci interessa, perché se troppo interessato o troppo poco ne
soffriremo comunque. Dunque il desiderio funziona con meccanismi di
rilancio che avvengono attraverso l'altro, gemellato.
La
violenza vittimaria
In
questa catena di rilanci ciò che si forma è fondamentalmente un
circuito violento. Il desiderio naturalmente è quello di avere per
noi ciò che già è dell'altro. La violenza normalmente è tenuta a
freno finché il circuito è bloccato, cioè non è fluido.
Quando le cose si complicano? Nel momento in cui l'indifferenziato si
presenta. Cioè nel momento in cui tutti annegano e cominciano a
chiedersi di chi sia la colpa. Colpa che sempre viene attribuita alla
minoranza, cioè al capro espiatorio. La maggioranza si compatta e
allinea in questa posizione originando spinte identitarie e
nazionaliste. Nel momento in cui la Jugoslavia va affondando il
presidente serbo Milosevich appoggerà i nazionalisti serbi, il
carattere nazionale fa intravedere il ghigno della logica spartitoria
che poi infiammerà i Balcani. Gli interessi in gioco naturalmente
sono più ampi, cioè non sono solo locali. Tutti i paesi europei
hanno degli interessi e anche gli Stati Uniti. In una situazione di
scontro in cui gli interessi nazionali prevalgono, la presenza delle
minoranze diviene risolutiva. La dissoluzione delle economie in crisi
sfoga la violenza crescente individuando singole minoranze
colpevoli. Il capro espiatorio è la minoranza di ciascun paese.
L'effetto sarà che i serbi della Serbia accusano gli albanesi allo
stesso modo in cui gli albanesi accusano i serbi nel Kossovo, e
reciprocamente accadrà tra sloveni, croati, bosniaci. I serbi sono i
più coinvolti perché il loro paese è il più grande della
coalizione, non a caso Belgrado era la capitale della Jugoslavia. Per
il Kossovo poi è paradigmatico che entrambi, albanesi e serbi,
abbiano le loro radici in una mitologia medioevale che coincide, in
cui gli eroi, cioè, sono considerati serbi dai serbi e schipetari dagli
albanesi.
La
cultura maggioritaria
Così
alla caduta del Comunismo la storia improvvisamente torna
all'Ottocento, cioè alla filosofia romantica. Riprende vigore,
sulle tracce di Johan Gottfried Herder, la ricerca delle radici e
della lingua madre, quella parlata da chi dalla nascita abita quei
territori e che indissolubilmente lo lega a quella terra e alla sua
storia con un vincolo di sangue. Solo per questo motivo il suo valore è ritenuto superiore a quello
di chi invece è appena arrivato, questa forma di razzismo si basa
sull'autoctonia. L'autoctono è più puro e ha più valore.
Una bella pretesa. Riaffiora contemporaneamente tutta la potenza
religiosa che fino ad allora era sopita, anzi proprio per questo
riprende con ancora più vigore dopo l'epoca materialistica del
Comunismo. Questi fattori non sono altro che elementi di copertura
e contenimento ma anche la causa della crisi che si profila all'orizzonte con lo scontro
interetnico. Così, anziché andare verso una situazione di follia
collettiva, in cui tutti sono nemici l'uno dell'altro rischiando uno
scontro totale, si individua nella minoranza l'obiettivo che è in
grado di ricompattare e allineare la maggioranza, si cerca così di
ricostituire l'identità in via di sparizione e di limitare la
violenza dell'uno contro l'altro evitando lo stato selvaggio
descritto da Hobbes. In questo movimento ciò che tende a sparire
sono anche le differenze individuali. Si è serbi, croati, sloveni,
albanesi e tutte le altre questioni non interessano. Gli
individui sono schiacciati sotto il condizionamento della nascita.
Chiunque prenda posizione critica diviene nemico, anche se fa parte
della stessa etnia. Si è solo numeri di una massa nazionale.
L'individuo non deve emergere in alcun modo, vale solo il bene
nazionale, guai a mettere in crisi l'identità in via di costruzione.
Alcuni intellettuali di quelle regioni lo sanno bene, costretti alla
fuga dai loro connazionali solo per averli criticati. Con il
Comunismo la simmetria positiva veniva attuata su un altro piano,
cioè con la condivisione dell'ideologia che, sorretta da un sistema
poliziesco e da un esercito imponente, non lasciava spazio ad alcuna
eteronomia. Se questa descrizione è veritiera allora possiamo
osservare nei Balcani la costituzione di una alleanza tra filosofia e
religione che, coalizzate, tentano di limitare, tramite elementi di
ricostruzione delle identità la dissolvenza sociale, limitando la
violenza e incanalandola. Ma lo scontro tra i diversi paesi della
costituzione federata jugoslava è all'ultimo sangue rispetto alle
minoranze, con la pulizia etnica. Molti sono uccisi e convinti dalla
violenza ad andarsene. Via via si allargherà il conflitto tra gli
Stati e verrà meno anche quella limitazione della violenza che il
meccanismo vittimario dovrebbe attuare. Inoltre, l'intreccio di
interessi esterni tendente a sfruttare se non ad alimentare i conflitti
locali per affermarsi, non fa altro che gettare benzina sul fuoco. Ho potuto osservare come nei Balcani i
racconti delle persone, incontrate nel dicembre 2007, fossero
completamente immersi in una atmosfera mitico-religiosa. Le radici
serbe erano individuate nel Kossovo a Metohija, significa 'bene
ecclesiastico', per la resistenza opposta ai turchi nella guerra del
1389 a Kossovo Polje, quando la Serbia si costituì baluardo
dell'Europa e della cristianità contro le orde islamiche. La
componente religiosa ortodossa presente nei tantissimi monasteri, un
centinaio di questi sono stati distrutti dagli albanesi negli ultimi
anni, è proprio la conferma della sacralità di questa terra per i
serbi. Gli albanesi, raccontano i serbi, hanno metodicamente messo in
minoranza con politiche demografiche facendo negli anni passati una
media di dieci figlia a famiglia, fino ad acquisire la maggioranza
nel Kossovo. Il complotto, pensano i serbi, era già deciso da Tito che voleva una Serbia debole. Per questo gli albanesi
potevano entrare in Kossovo liberamente. Il fatto è che ciascuno
Stato alla fine ha creduto di essere danneggiato dal regime di Tito,
così tutti hanno iniziato a rivendicare i danni subiti.
Gli
interessi internazionali
La
storia del Kossovo è anche un'altra. E' la storia di un paese, la Serbia, che
viene attaccato dagli Stati Uniti perché non vuole
entrare nella globalizzazione. In questo senso, come
hanno sempre agito in Oriente o nel sud America, i governi
statunitensi di destra e di sinistra una volta individuati gli
alleati locali, spesso terroristi, mafiosi, avventurieri, ma è
l'imperialismo che funziona così, hanno addestrato l' UCK albanese
per conquistare la regione. Gli interessi sono tanti, ma il
principale è costituito dalla sicurezza per i corridoi energetici
dall'oriente all'occidente. Il fatto che la mitologia albanese
costruisca sulle stesse storie kossovare narrate dai serbi la
dimostrazione delle proprie radici basandole sugli stessi avvenimenti
accade perché albanesi e serbi erano nel 1389 alleati contro lo
stesso nemico, l'impero Ottomano. Entrambi difendevano le terre che
avevano condiviso per centinaia di anni. Dall'inizio
del 1900 quelle terre erano ancora al centro della contesa. Nel '12 e
'13 le Guerre Balcaniche per l'indipendenza dalla Grande Porta videro
la caduta dell'egemonia turca, ne seguirono la ripopolazione serba e
la cacciata dei turchi e degli albanesi dal Kosovo. Successivamente,
allo scoppio della prima guerra mondiale, la Triplice Intesa
conquistò con l'appoggio della popolazione albanese quelle terre,
poi, alla sua sconfitta, serbi, croati e sloveni costituirono il
primo regno jugoslavo, riannettendosi di nuovo il Kossovo e attivando
campagne repressive contro albanesi e macedoni. All'inizio della
seconda guerra mondiale la maggioranza albanese si era ridotta e
serbi e montenegrini costituivano la metà della popolazione
kossovara. La seconda guerra mondiale vide la Germania e l'Italia
dividersi i territori, la Serbia e il Kossovo del nord annessi alla
prima, Albania e Kossovo del sud alla seconda. In questo periodo
centinaia di migliaia di serbi furono di nuovo cacciati verso la
Serbia. Quando il fascismo in Italia cadde Himmler costituì, con
personale albanese kossovaro di religione mussulmana, la divisone
Skanderberg con l'obiettivo di sterminare i serbi kossovari. Infine,
alla fine del '44 partigiani comunisti, serbi e albanesi, liberarono
la regione annettendola alla nuova Repubblica Jugoslava. Questi
passaggi indicano una regione violentemente e continuamente contesa.
L'aspetto politico fa perno su un processo vittimario ogni volta
contro la minoranza del momento. Allora, quale è il rapporto che
intercorre in questi casi tra filosofia e religione? E' il percorso
attuato dal processo maggioritario. Cioè le istanze culturali che vi
stanno dietro creano le condizioni per cui si crede che il mito della
madre lingua e dell'origine, cioè la sacralità della terra
elettiva, quella in cui si è nati, costituisca quella purezza che dà
valore all'autoctono. Queste conclusioni accreditate tramite
ricerche sul linguaggio, storiche, letterarie e mitologiche vanno a
costituire la nuova cultura nazionale maggioritara. L'industria
culturale è ben felice di appoggiare queste forze artistiche, ne ha
tutto da guadagnare. Vedi Adorno e Horkeimer quando, in 'Dialettica
dell'Illuminismo', parlano dell'industria culturale. Così le istituzioni di ciascuno
Stato creano l'immaginario necessario a ricompattare l'identità.
Questo fa sì che il vicino, se non è autoctono e magari
lavora, in caso di crisi sia guardato in modo sempre più diffidente. Perché tutto
nasce da una situazione di crisi. Non c'è più la normalità. Si sta
sprofondando lentamente verso l'indifferenziato. Le cause possono
essere molteplici: economiche, naturali, epidemiche. Nel caso
jugoslavo erano prevalentemente economiche. Una crisi legata
all'economia che non era più in grado di mantenere tutti e aumentava sempre di più gli esclusi. La povertà riaffiorava in
modo preoccupante e ciascuno credeva che l'altro, soprattutto se straniero, ne
fosse la causa. In questa ottica sempre più facili erano gli odi e
gli scontri. A Kossovo Polje, seicento anni dopo l'epica battaglia,
Milosevich tenne un discorso apparentemente equilibrato ma dalla
forte impronta nazionalista. Da quel discorso inizia la disfatta.
La
falsità del mito e della storia
Per
René Girard il mito, la storia e la religione vanno letti sullo
stesso piano, come se fossero narrazioni riferite alla stessa matrice
violenta. Nel mito verrà mascherato il capro espiatorio al punto che
diventerà l'eroe, il dio e il fondatore. Nella religione cristiana
invece il meccanismo viene rivelato, cioè per la prima volta i fatti
sono raccontati dal punto di vista delle vittime. Nella storia i
fatti sono di nuovo, per così dire, falsificati dall'ignoranza.
Come, ad esempio, è accaduto con gli ebrei ripetutamente e con le
streghe. Ecco, leggere sotto questo punto di vista le relazioni
svela il modo in cui in caso di crisi la violenza si incanala sempre
verso le vittime più deboli. Queste sono individuate per qualche carattere specifico, vengono considerate mostruose, malate,
pazze, deformi, zoppe, straniere e spesso lo sono davvero. Ogni
volta che si ha la sensazione che sia in pericolo la nostra sicurezza
e si individua nell'altro qualcuno di questi motivi siamo per strada
nel costruire un capro espiatorio. In
"Les animaux malades de la peste", La Fontaine lo
suggerisce mirabilmente. Il favolista ci fa assistere al processo
della malafede collettiva che consiste nell'identificare
nell'epidemia un castigo divino. Il dio della collera irritato da una
colpa, seppure non condivisa egualmente da tutti, diffonde l'epidemia. Per allontanare il
flagello bisogna scoprire il colpevole e trattarlo di conseguenza o
piuttosto, come scrive La Fontaine, "offrirlo in voto" alla
divinità. I primi interrogati sono le bestie carnivore che
descrivono bonariamente il loro comportamento di predatori, che è
immediatamente scusato. L'asino viene per ultimo ed è lui, il meno
sanguinario e, per questo, il più debole e il meno protetto, alla
fine ad essere designato. Franco Insalaco
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