E del resto perché non dovrebbe essere "isterica"? L'isteria almeno conserva, nella sofferenza, qualcosa del mimo la cui messa in scena è inseparabile dal piacere sessuale. Il problema è che il ludismo mimetico, la finzione, il "fare come se", il "fare mostra" - di cui sappiamo l'incredulità, la repressione, gli scherni che hanno attirato addosso all'isterica - si trovano definiti e comandati da un significante capitale, il Fallo e dai suoi rappresentanti. Emblemi non tanto d'un gioco tra i sessi ma della
potenza di dominio e di appropriazione del rapporto con l'origine (del desiderio "per esempio"). Di conseguenza lo scenario dell'isterica, drammatizzazione preferenziale della sessualità femminile, viene condannato come proliferazione di "brutte" copie, di false caricature, rispetto un rapporto con l'origine che sarebbe quello buono, valido, di valore. L'isterica è stigmatizzata come luogo in cui proliferano fantasie, fantasmi, ombre da smascherare, interpretare, ricondurre alla realtà d'una ripetizione, riproduzione, rappresentazione adeguata e conforme all'originale. Naturalmente si ricorrerà a spiegazioni, come il "trauma iniziale", origine (supposta) della "malattia", ma tutto era giocato ben prima. Il problema è un altro, e cioè che - ripetiamo - la simbolizzazione del proprio inizio, la specificità del proprio rapporto con l'origine, per la donna sono da sempre annullate (rimosse?) da parte di una economia che l'uomo cerca di costituire per risolvere il problema del suo principio. Che si regola assumendo all'inizio e alla fine il Fallo. Il significante della potenza e della preminenza sessuali rispetto al quale non può esserci che "mancanza", "atrofia", "invidia", "fare come se ci fosse o si avesse il fallo", "fare mostra di esserlo o averlo", ecc.
(Luce Irigaray, Speculum. Dell'altro in quanto donna. Saggi Universale Economica Feltrinelli.)
(Luce Irigaray, Speculum. Dell'altro in quanto donna. Saggi Universale Economica Feltrinelli.)
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