Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 28 ottobre 2013

In viaggio verso l'India. Da Simone Weil a Sri Aurobindo

LIV incontro.

Concluso il primo ciclo sul femminismo con Simone de Beauvoir iniziamo un nuovo percorso con un altra Simone, la Weil, nel quale ci occuperemo della filosofia indiana. Filosofa, poetessa e scrittrice francese di origini ebraiche, nasce nel 1909 a Parigi, si lascia morire a Londra nel 1943. Simone soffriva di non partecipare direttamente alla battaglia contro il nazismo, sentiva di disertare. Questo scriveva alcuni mesi prima di andare in Inghilterra, dove credeva di poter agire in modo più forte e incisivo di quanto le fosse riuscito in Francia. 
La delusione quando capì che non era possibile la portò alla prostrazione. Malata di tbc si lasciò andare dolcemente. La morte, aveva scritto tempo prima, è il momento in cui l'anima si illumina di una comprensione più ampia. La sua filosofia è particolare proprio per l'apertura religiosa che, detto semplicemente, è determinata dal fatto che ogni divinità esprime in modi differenti e da diverse prospettive la stessa cosa, lo stesso dogma. Insomma, la rivelazione è sempre la stessa, qualsiasi sia la latitudine, la cultura e la popolazione che la elabora. Questa è la concezione che Simone Weil sviluppa analizzando in termini assolutamente originali per l'occidente il divino e le sue manifestazioni. Studia dal '40 al '43 le religioni orientali, siamo in piena guerra mondiale. Già si era avvicinata al cattolicesimo, ma senza aderire alla Chiesa. A padre Perrin scrive che non vuole il battesimo perché il cattolicesimo è tale, cioè universale, 'di diritto ma non di fatto'. Ciò determina una chiusura che impedisce alla Chiesa di accogliere la molteplicità di espressioni parziali della verità testimoniate in ogni tempo e in ogni luogo. Decide pertanto di non aderire al cattolicesimo, di rimanere nel punto di intersezione tra cristianesimo e tutto ciò che esso non è. Questo atteggiamento non è dettato da una riserva mentale ma dalla necessità di manifestare la parzialità della Chiesa, che non è più in grado di realizzare la sua vocazione di ricettacolo universale, si riduce così a un corpo sociale separato, impotente a realizzare una effettiva penetrazione nelle varie culture di una umanità in grande difficoltà. Il suo abuso è costituito dal fatto che essa vuole costringere l'amore e l'intelligenza ad assumere come norma il suo solo linguaggio. Entra quindi in primo piano il rapporto tra linguaggio e verità. La Chiesa ha il dovere di mettere in guardia contro speculazioni intorno al dogma false, ma non può costringere gli individui ad esprimersi allo stesso suo modo. Né può punire alcuno, anche se permane nella falsa opinione. Non può, insomma, negare i sacramenti a chi non si è piegato alla sua normatività. L'amore e l'intelligenza sono fattori esclusivamente personali che vengono amputati se invece di esprimersi singolarmente sono espressi in modo normativo, cioè collettivo e cristallizzato. Il linguaggio collettivo, non essendo effettivamente linguaggio di nessuno, se non diventa immediatamente oggetto di contemplazione personale così traducendosi in linguaggio singolare, non è per sé in grado di comunicare alcuna verità. Crea anzi l'illusione che la verità sia accessibile dal linguaggio, sia a portata di mano, mentre ad essa si può accedere solo oltre il linguaggio, fuori dalla prigione del linguaggio, sia collettivo che personale. Il linguaggio collettivo pertanto è l'espressione della bestia sociale, così dice in uno degli ultimi saggi intitolato 'La persona e il sacro'. Riprende da Platone l'immagine della caverna e scrive: 'Il linguaggio è impotente a indicare chiaramente la nostra condizione di esseri immersi nelle ombre della caverna. La sua funzione è infatti quella di presentare contemporaneamente allo spirito una certa quantità di relazioni, ma per quanto questa sia grande, esso continuerà ad ignorare pensieri che implicano combinazioni di un numero di relazioni più grande, questi pensieri sono al di fuori del linguaggio, non formulabili, sebbene siano perfettamente rigorosi e chiari e sebbene ciascuna delle relazioni che li compone sia esprimibile in parole perfettamente precise. Così, lo spirito si muove in uno spazio chiuso di verità parziale, che può essere più o meno grande, senza mai neppure gettare uno sguardo su ciò che è al di fuori'. Dunque la verità parziale in cui ciascuno di noi è posto è la prospettiva da cui può guardare il mondo. E' perciò necessario, come nella caverna, sentire questa costrizione e desiderare di uscirne con tutte le proprie forze. Dice Simone che come il pulcino occorre bucare il guscio per essere trasportati in un punto fuori dallo spazio che non è più un punto di vista, dal quale non c'è più angolazione e dal quale questo mondo visibile è visto come è realmente, cioè senza prospettiva, in modo assoluto. Al di là dell'opinione, al di là di ciò che gli uomini chiamano intelligenza, là inizia la saggezza. Il movimento iniziato con la consapevolezza della propria condizione di schiavo, di cui il linguaggio è marchio inconfondibile, si conclude con un passaggio ad una condizione del tutto nuova in cui lo spirito è diventato capace di cogliere pensieri inesprimibili a causa della molteplicità dei rapporti che si congiungono. Questa condizione per la Weil non è fine a se stessa. Non è una visione semplicemente estatica. Il regno delle opinioni fondato dalle sensazioni è superato dalla consapevolezza che la realtà è una relazione tra molteplici piani di lettura, relazione inesprimibile ma resa sensibile dal piano più elevato dell'essere, ad esempio nella grande arte. Dove cioè ogni parte è solo per sé e non per costruire relazioni tra le parti. E' cioè un rapporto che va oltre la parola, consente di leggerne la non lettura. E' un rapporto che è oltre la parola, l'immagine o il suono, non è rappresentabile, ha un vuoto perché rinuncia a qualsiasi fine. Così una molteplicità di piani di lettura trovano il loro coordinamento, la loro piena unità di significato, in un punto che è ulteriore a quello della sensibilità, e quindi dello sviluppo stesso del pensiero che dalla sensibilità non può prescindere. Per questo la prospettiva in pittura o la dimostrazione in filosofia sono ingannevoli, perché tendono ad un punto di vista all'interno dello spazio, all'interno del pensiero, impedendo un vero contatto con la realtà, perché il reale è al di là della rappresentazione. In particolare il pensiero logico deduttivo pretende continuità, cioè non vuole contraddizione, rifiuta perciò l'arresto che questa impone. Per la Weil il pensiero è nell'arresto. Il pensiero è nella capacità che ha un individuo di sospendere il superamento della contraddizione rimanendo dentro quel limite. Si può pensare solo per arresti successivi, nell'immobilità. La sospensione in cui tutto il resto prende valore, come nella musica, nella danza ecc. Le regole sottopongono la creazione artistica a ritmo, pause, sospensioni, grammatica, senso. Cioè le stesse leggi strutturali a cui il tempo sottopone la vita. La grande arte per Weil supera la forma, anzi la nega, poiché la molteplicità delle forme non è una forma. L'oggetto della pura arte supera la forma e la molteplicità delle sue relazioni diventando pura presenza. 

Lettura e non lettura, questa è la contraddizione in cui versa l'uomo, così come restiamo divisi tra bene e necessità. Noi non sappiamo non leggere continuamente significati, come continuamente aspiriamo al bene. Ma per raggiungere la lettura e il bene autentici occorre aver rinunciato a leggere, aver sentito fino a che punto non esiste alcun significato, ovvero occorre aver amato la necessità che ci schiaccia. Si tratta perciò di perdere la prospettiva dell'io che legge. Solo allora la concordanza si dà da sé, allora il senso è libero di manifestarsi, Dio può venire a contatto con il mondo perché l'io non fa più da schermo. D'altronde rendersi conto del problema che pone leggere il mondo significa affrontare il problema della verità, del senso, della bellezza, del bene, cioè avvertire che le possibili letture sono graduabili secondo una scala di valori. A noi non è dato situarci al di là della lettura, ma proprio questa impossibilità ci pone il problema del valore. Tra i molteplici testi che l'esperienza mi presenta quale ha maggior valore, quale aderisce meglio alla verità? La risposta non potrà essere di ordine dottrinale, occorre invece un percorso, un apprendistato, un esercizio dell'attenzione, una 'tecnica' che permetta di passare da una lettura all'altra. Passare oltre ogni singola lettura. Passare ad un piano superiore, quello che Aurobindo definisce super mente. Per questa lunga serie di ragioni possiamo dire che Simone non ha idee politiche di tipo materialista. Conosce bene Marx e seppure condivide alcuni aspetti della sua teoria ne contesta altri, gli preferisce l'analisi di Bakunin in 'Stato e anarchia'. Da Bakunin Simone trarrà il concetto di forza, che poi svilupperà in 'L'Iliade o il poema della forza'. Il potere esercitato dagli individui ha la stessa origine delle forze presenti in natura. Tanto più una società è tecnicamente avanzata maggiore è la pressione subita dagli individui, schiacciati da una forza simile a un cataclisma naturale. La storia è quindi un lungo esercizio di forze. La guerra è in particolare l'espressione devastante di queste forze che pietrificano sia il carnefice che la vittima. L'atteggiamento che ha verso la Rivelazione è, come abbiamo visto, comprensivo di ogni religione e credo. Ognuna svela una parte del dogma. Per conoscere la parte concreta e reale di tale dogma Simone si rivolge a tre punti su cui possiamo far leva per procedere verso il divino. Il mondo è creato da Dio che è presente in terra come amore disinteressato verso il prossimo, anche come filia, al secondo punto è presente come bellezza, infine come amore delle cerimonie religiose. Tutti questi tipi di amore si fondano su se stessi, non hanno alcun fine, sono puri, testimoniano pertanto della presenza di Dio nel mondo. Tali atteggiamenti disinteressati sono una imitazione dell'amore divino che ha creato il mondo. Inoltre amore del prossimo e amore della bellezza, secondo Simone, corrispondono alla stessa radice, cioè la rinuncia a comandare dovunque se ne abbia il potere. La rinuncia al potere è per Simone la rinuncia 'all'immagine immaginaria' di questo potere. Dio pur essendo esterno all'Universo ne è anche realmente il centro, così l'uomo ritiene anche lui di esserne il centro. L'illusione della prospettiva lo colloca al centro dello spazio mentre un'altra illusione falsa il senso del tempo, infine un'ultima illusione dispone attorno a lui la gerarchia dei valori. Vuotarsi da questa falsa divinità negando se stessi significa acconsentire al regno della meccanica nella materia e alla libera scelta nel centro di ogni anima. Questo consenso è amore. Una faccia rivolta alla carità per il prossimo e l'altra all'ordine della materia nel mondo, che è poi amore per la sua bellezza. Questa rinuncia, questo svuotamento di sé, questa perdita del centro consente l'espressione dell'essenza della giustizia. Se non mentiamo sappiamo che qui il bene è finito, limitato, si esaurisce subito mettendo a nudo la necessità. Ad esempio, ho due bimbi in difficoltà, stanno affogando, come scegliere chi salvare? E' necessaria una scelta. Da questo sentimento del limite scaturisce lo spirito religioso. Religioso significa leggere ma anche legare. Yoga significa unire, legare, mettere insieme. Il fatto che un uomo riesca a non comandare là dove avrebbe il potere di farlo è la prova indiretta della realtà di Dio, della sua verità, poiché pur concepito come onnipotente non comanda ovunque ne abbia il potere. La controprova è l'esistenza del male, per cui o Dio non è onnipotente, o non è buono, o non comanda ovunque ne abbia il potere. Dunque, poiché non è possibile non attribuire a Dio il primo attributo, occorre pensare che la creazione da parte di Dio non è un atto di espansione, ma di contrazione, di rinuncia. Questo il nucleo essenziale della Grande Rivelazione da cui si sono generate le religioni autentiche. Rivelazione non tanto di Dio all'uomo in generale quanto esperienza interiore di una contraddizione tra necessità e bene, attraverso questa via la decisione che il bene per noi è possibile solo negando il nostro io e assumendo fino in fondo la nostra condizione di creature. Solo nella piena coscienza di essere creati ci è rivelato che Dio ha negato se stesso per darci la possibilità di negarci per lui. In altri termini, la rivelazione non è un contenuto formalizzato che noi dobbiamo osservare, ma è una esperienza interiore della realtà di Dio, chiunque esso sia e anche se non gli si dà questo nome. Scrive la Weil: 'Poiché è Dio che deve venire a cercare l'uomo, a prendergli l'anima sorprendendo i sensi, ci sono a tal fine solo due mezzi: le bellezze naturali (il cielo, il mare, le stagioni, le pianure, montagne, fiumi, alberi, fiori, gli spazi - e i bei corpi e bei visi degli uomini, delle donne e dei bambini) - e i segni sensibili (linguaggio, opere d'arte, azioni...) provenienti dalle anime in cui egli è entrato. Questo in particolare funziona per i testi ispirati alle grandi tradizioni spirituali dell'antichità precristiana. Ogni tradizione ha messo in primo pano un aspetto della verità soprannaturale. Per Israele fu l'unità di Dio, ossessiva fino all'idea fissa. Per la Mesopotamia non ci è più dato saperlo. Per la Persia fu l'opposizione e la lotta del bene e del male. Per l'India, l'identificazione, grazie all'unione mistica, di Dio e dell'anima pervenuta allo stato di perfezione. Per la Cina, l'operazione specifica di Dio, la non azione divina che è pienezza dell'azione, l'assenza divina che è pienezza della presenza. Per l'Egitto fu la carità per il prossimo, espressa con una purezza mai più superata, fu soprattutto la felicità delle anime salvate dopo una vita giusta, e la salvezza mediante l'assimilazione a un Dio che era vissuto, aveva sofferto, era morto di morte violenta, era diventato nell'altro mondo il giudice e il salvatore delle anime. La Grecia accolse il messaggio dell'Egitto, ed ebbe anche la propria rivelazione: fu la rivelazione della miseria umana, della trascendenza di Dio, della distanza infinita tra Dio e l'uomo'. 

Certo tali dottrine vennero a contatto e si contaminarono, in particolare l'Egitto influì sulla Grecia, e in seguito, proprio grazie a questa, sul cristianesimo. Per Simone il cristianesimo rappresenta un punto di convergenza fondamentale, almeno nel mediterraneo, della rivelazione di Dio, seppure la rivelazione non ha mai permeato la nostra civiltà che è rimasta secondo lei sostanzialmente precristiana. Per questo la rivelazione cristiana è inoperativa, perché la sfera spirituale è separata da quella profana. Vita profana e vita spirituale sono così destinate a rimanere impermeabili l'una all'altra. Se invece si vuole che l'ispirazione cristiana impregni la vita occorre riconoscere che la nostra civiltà profana procede da una ispirazione religiosa essenzialmente cristiana. Cristo allora rivelerebbe e renderebbe tangibile rispetto a tutto il passato e al futuro la redenzione presente in terra sin dall'origine. Se ora dal cristianesimo passiamo all'induismo, un ponte che per Simone non va vissuto in modo traumatico perché si tratta sempre della stessa ricerca, troveremo una religione che vede molteplici divinità, forse numerose quanti sono i suoi abitanti. Lo Yoga è la pratica attraverso cui si giunge alla conoscenza spirituale, cioè allo stesso piano che Simone indica quando parla della realtà che è inaccessibile al linguaggio. Le tecniche Yoga sono tante e tendono tutte alla condizione di superamento della illusione maya che ci rende ciechi. La sospensione del linguaggio e del pensiero, la sospensione dell'io sono altri elementi comuni al pensiero della Weil, di Aurobindo e di altri Sadhu. Sri Aurobindo nasce a Calcutta nel 1872, muore a Pondicherry nel 1950. Studia in Inghilterra a Manchester in condizione di povertà assoluta. Riesce a mantenersi solo grazie alle borse di studio. A Cambridge è ammesso alla scuola di formazione dei funzionari indiani. Nel frattempo aderisce a una società segreta per la liberazione dell'India. I suoi discorsi rivoluzionari e nazionalisti lo faranno cadere nelle liste nere della polizia. Torna in India come funzionario del Maharajà di Baroda, vicino a Bombay. Aurobindo conosce profondamente la storia e la filosofia occidentale, sa l'italiano, il francese, il tedesco e lo spagnolo. Legge Dante, Ghoete e Cervantes in lingua originale. Scrive poesie, commedie, elabora un programma rivoluzionario per la liberazione dell'India. Viene arrestato più volte. Fugge alla fine ritirandosi a Pondcherry dove lavora insieme alla sua compagna spiriturale, Mirra Alfassa, che verrà chiamata semplicemente mére, madre. Si ritira nella sua stanza da dove non uscirà più per meglio concentrarsi sul suo vero compito, la riunione di materia e spirito. Aurobindo pone al centro del suo insegnamento lo Yoga. Essendo il più occidentale dei filosofi indiani è anche quello che ha cercato di creare un ponte tra due prospettive così diverse. Lo Yoga per Aurobindo è la via per superare le condizioni di un mondo che non è né ideale né soddisfacente perché fortemente segnato dal dolore, dalla sofferenza, dal male. Questa percezione è la prima spinta per Aurbindo verso la ricerca spirituale. Pochi hanno spontaneamente la grazia della ricerca, per gli altri è questa ombra che incombe sull'esperienza a indurli verso la stessa strada. Rimane il problema se questa Ombra sia il carattere essenziale della manifestazione dell'essere divino. Oppure se, almeno finché esisterà il mondo fisico, la nascita e la volontà di manifestarsi siano da considerare il peccato originale. Se è così il ritirarsi dalla nascita e dalla manifestazione sono l'unica via possibile per la salvezza. Per chi concepisce così il mondo non esistono vie di salvezza verso la liberazione spirituale. Ma potrebbe essere che il mondo non sia così come lo percepiamo, sembri così per la nostra ignoranza, per la conoscenza parziale che ne abbiamo. Allora l'imperfezione, il male, la sofferenza possono essere non la condizione della manifestazione, non l'essenza della nascita nella natura. Se è così la saggezza non è nella fuga ma nella vittoria qui in terra. Per questo è importante una totale collaborazione con la volontà che è dietro al mondo, questa è la scoperta spirituale che porta verso la perfezione, l'apertura per la totale discesa della Luce, della Conoscenza e della Beatitudine divini. Tutta l'esperienza spirituale inclina a favore della presenza di un Permanente che esiste al di sopra della transitorietà di questo mondo manifesto in cui viviamo, in questa limitata coscienza in cui brancoliamo e ci dibattiamo, e le sue caratteristiche sono l'infinità, l'esistenza in sé, la libertà, la Luce assoluta e la Beatitudine. Vi è allora un abisso tra ciò che è al di là e ciò che è qui o si tratta di due perpetui opposti, e solo lasciando dietro questa avventura nel tempo, solo saltando di là dall'abisso, gli uomini possono raggiungere l'Eterno? Questo è il punto di arrivo seguito da una rigorosa conclusione dal Buddhismo. Un poco meno rigidamente un certo tipo di spiritualità monistica ammette qualche connessione del mondo con il divino, ma alla fine li oppone come verità e illusione. Ma anche un'altra prospettiva accompagna queste esperienze, cioè che il Divino è in ogni cosa, tutto è Quello ed è in Quello quando passiamo dalla sua apparenza alla sua Realtà, colui che conosce il Brahman allora può vivere in mezzo agli urti del mondo in condizione di pace assoluta. Pertanto c'è qualcos'altro che va oltre a quella semplice opposizione, un mistero, un problema che ammette una soluzione meno disperata. Una possibilità spirituale che porta un raggio di speranza nella nostra esistenza decaduta. Per Aurobindo qui va posta la domanda se il mondo è una successione invariabile di fenomeni sempre uguali o c'è una spinta evolutiva. C'è una incoscienza che diviene sempre più cosciente? Una coscienza che si eleva a sempre più elevate altezze? Qual è, se è così, il risultato logico di tale evoluzione? Il fatto è che l'Incosciente da cui tutto ha principio è solo apparente, in esso c'è già una coscienza involuta con infinite possibilità, una Coscienza non limitata ma cosmica e infinita. Un Divino imprigionato in se stesso, nascosto nella Materia e che nelle sue segrete profondità contiene ogni potenzialità. Fuori da questa Incoscienza una alla volta si rivelano queste potenzialità. Dapprima la Materia organizzata che nasconde lo Spirito immanente, poi la vita che emerge nella pianta e si associa nell'animale a una mente in crescita, infine la mente stessa che si sviluppa nell'uomo. Questa evoluzione si arresta nell'essere imperfetto che chiamiamo uomo. 

Il suo segreto è semplicemente una successione di rinascite che lo fa avanzare fino a riconoscere la propria futilità, rinunciare a sé e saltare in qualche primigenia Esistenza senza nascita, in qualche Non-Esistenza? Oppure c'è anche la possibilità, che poi diventa certezza, che esiste una Mente più grande? Salendo nella scala dell'evoluzione, più in alto, troviamo un punto in cui cessa il dominio della Incoscienza materiale e dell'Ignoranza vitale e mentale, si presenta una coscienza che libera non in modo imparziale o imperfetto ma radicale e totale il divino imprigionato. In questa visione sembra ciascuno stadio evolutivo la discesa di un potere sempre maggiore della coscienza che solleva dal livello terrestre e crea un nuovo strato. Ma ancora i Poteri supremi devono discendere e solo allora si libererà non l'anima ma l'intera natura. Questa è la Verità che i veggenti, i ricercatori eroici del Tantra (vuol dire tecnica, ordito, ecc.) hanno visto balenare, e che ora è forse pronta per essere rivelata e sperimentata. Se allora l'Oscurità in cui siamo situati è il preludio della felicità che ci attende, tutto quanto accaduto prima non può essere considerato un prezzo troppo alto. Certo rimane da rispondere al motivo di questi inizi così sofferenti. Perché un prezzo così gravoso, perché il male e la sofferenza? Riguardo alla caduta nell'Ignoranza tutte le dottrine sono concordi, è stata provocata dalla divisione, dalla separazione, l'isolamento dal Permanente, dall'Uno. L'ego ha preso allora una posizione indipendente nel mondo, ha preferito affermare la propria importanza e il proprio desiderio invece della propria unità con il Divino e la propria identità con il tutto.

Non è avvenuto perché il Divino abbia lasciato cadere la creazione e si sia assentato nella sua Beatitudine, Luce e Perfezione. Egli è sempre quaggiù e la sua Luce, Pace, Beatitudine ci sostiene. In noi esiste uno spirito, una presenza centrale, più grande delle personalità di superficie, che come il divino stesso non subisce il fato che quelle subiscono. Se scopriamo l'apertura che porta verso questa presenza Divina in noi, che ha la stessa sostanza, allora abbiamo trovato la porta per la liberazione. Saremo liberi luminosi e beati anche in questo mondo nonostante le sue disarmonie. Questa è la testimonianza antica come il mondo dell'esperienza spirituale. Ma perché allora la divisione, la disarmonia, il male e il dolore si insinuano nel Bene, nella Beatitudine, nella Pace divini? Difficile rispondere all'intelligenza umana rimanendo al suo stesso livello. La coscienza cui appartiene l'origine di questo fenomeno è una intelligenza cosmica, non una intelligenza individualizzata. Il fatto è che all'Infinito le perturbazioni possono essere indifferenti, ma tra le infinite possibilità che la manifestazione universale ha la funzione di elaborare, una di queste è la negazione, l'apparente negazione effettiva del Potere, della Luce, della Pace, della Beatitudine. Perché una tale possibilità sia stata accettata si può rispondere che nel passaggio dal Divino nell'unità al Divino nel molteplice, quest'infausta possibilità è diventata inevitabile. Essa è inevitabile nell'Anima che scende verso il suo livello terrestre perché rappresenta il richiamo dell'ignoto, la gioia del pericolo, della difficoltà e dell'avventura, la volontà di tentare l'impossibile, la volontà di creare il nuovo e l'increato con il proprio essere e la propria vita come materiali. Il fascino degli opposti e la loro difficile armonizzazione, tutte cose che tradotte costituiscono tentazioni che hanno portano alla caduta.

Franco Insalaco

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