LIV incontro.
Concluso il primo ciclo sul
femminismo con Simone de Beauvoir iniziamo un nuovo percorso con un altra Simone, la Weil, nel quale ci occuperemo della filosofia indiana. Filosofa, poetessa e
scrittrice francese di origini ebraiche, nasce nel 1909 a Parigi, si
lascia morire a Londra nel 1943. Simone soffriva di non partecipare direttamente alla battaglia contro il nazismo, sentiva di disertare. Questo scriveva alcuni mesi prima di andare in Inghilterra, dove credeva di poter agire in modo più forte e incisivo di quanto le fosse riuscito in Francia.
Lettura e non lettura, questa
è la contraddizione in cui versa l'uomo, così come restiamo divisi
tra bene e necessità. Noi non sappiamo non leggere continuamente
significati, come continuamente aspiriamo al bene. Ma per raggiungere
la lettura e il bene autentici occorre aver rinunciato a leggere,
aver sentito fino a che punto non esiste alcun significato, ovvero
occorre aver amato la necessità che ci schiaccia. Si tratta perciò
di perdere la prospettiva dell'io che legge. Solo allora la
concordanza si dà da sé, allora il senso è libero di manifestarsi,
Dio può venire a contatto con il mondo perché l'io non fa più da
schermo. D'altronde rendersi conto del problema che pone leggere il
mondo significa affrontare il problema della verità, del senso, della
bellezza, del bene, cioè avvertire che le possibili letture sono
graduabili secondo una scala di valori. A noi non è dato situarci al di
là della lettura, ma proprio questa impossibilità ci pone il
problema del valore. Tra i molteplici testi che l'esperienza mi
presenta quale ha maggior valore, quale aderisce meglio alla verità? La
risposta non potrà essere di ordine dottrinale, occorre invece un
percorso, un apprendistato, un esercizio dell'attenzione, una
'tecnica' che permetta di passare da una lettura all'altra. Passare
oltre ogni singola lettura. Passare ad un piano superiore, quello
che Aurobindo definisce super mente. Per questa lunga serie di
ragioni possiamo dire che Simone non ha idee politiche di tipo
materialista. Conosce bene Marx e seppure condivide alcuni aspetti
della sua teoria ne contesta altri, gli preferisce l'analisi di Bakunin in 'Stato e anarchia'. Da Bakunin Simone trarrà il concetto
di forza, che poi svilupperà in 'L'Iliade
o il poema della forza'. Il
potere esercitato dagli individui ha la stessa origine delle forze
presenti in natura. Tanto più una società è tecnicamente avanzata
maggiore è la pressione subita dagli individui, schiacciati da una
forza simile a un cataclisma naturale. La storia è quindi un lungo
esercizio di forze. La guerra è in particolare l'espressione
devastante di queste forze che pietrificano sia il carnefice che la
vittima. L'atteggiamento che ha verso la Rivelazione è, come abbiamo
visto, comprensivo di ogni religione e credo. Ognuna svela una parte
del dogma. Per conoscere la parte concreta e reale di tale dogma
Simone si rivolge a tre punti su cui possiamo far leva per procedere
verso il divino. Il mondo è creato da Dio che è presente in terra
come amore disinteressato verso il prossimo, anche come filia, al
secondo punto è presente come bellezza, infine come amore delle
cerimonie religiose. Tutti questi tipi di amore si fondano su se
stessi, non hanno alcun fine, sono puri, testimoniano pertanto della
presenza di Dio nel mondo. Tali atteggiamenti disinteressati sono una
imitazione dell'amore divino che ha creato il mondo. Inoltre amore
del prossimo e amore della bellezza, secondo Simone, corrispondono
alla stessa radice, cioè la rinuncia a comandare dovunque se ne
abbia il potere. La rinuncia al potere è per Simone la rinuncia
'all'immagine immaginaria' di questo potere. Dio pur essendo esterno
all'Universo ne è anche realmente il centro, così l'uomo ritiene
anche lui di esserne il centro. L'illusione della prospettiva lo
colloca al centro dello spazio mentre un'altra illusione falsa il
senso del tempo, infine un'ultima illusione dispone attorno a lui la
gerarchia dei valori. Vuotarsi da questa falsa divinità negando se
stessi significa acconsentire al regno della meccanica nella materia
e alla libera scelta nel centro di ogni anima. Questo consenso è
amore. Una faccia rivolta alla carità per il prossimo e l'altra
all'ordine della materia nel mondo, che è poi amore per la sua
bellezza. Questa rinuncia, questo svuotamento di sé, questa perdita
del centro consente l'espressione dell'essenza della giustizia. Se
non mentiamo sappiamo che qui il bene è finito, limitato, si
esaurisce subito mettendo a nudo la necessità. Ad esempio, ho due
bimbi in difficoltà, stanno affogando, come scegliere chi salvare?
E' necessaria una scelta. Da questo sentimento del limite scaturisce
lo spirito religioso. Religioso significa leggere ma anche legare.
Yoga significa unire, legare, mettere insieme. Il fatto che un uomo
riesca a non comandare là dove avrebbe il potere di farlo è la
prova indiretta della realtà di Dio, della sua verità, poiché pur
concepito come onnipotente non comanda ovunque ne abbia il potere. La
controprova è l'esistenza del male, per cui o Dio non è
onnipotente, o non è buono, o non comanda ovunque ne abbia il
potere. Dunque, poiché non è possibile non attribuire a Dio il primo attributo, occorre pensare che la creazione da parte di Dio non è
un atto di espansione, ma di contrazione, di rinuncia. Questo il
nucleo essenziale della Grande Rivelazione da cui si sono generate le
religioni autentiche. Rivelazione non tanto di Dio all'uomo in
generale quanto esperienza interiore di una contraddizione tra
necessità e bene, attraverso questa via la decisione che il bene per
noi è possibile solo negando il nostro io e assumendo fino in fondo
la nostra condizione di creature. Solo nella piena coscienza di
essere creati ci è rivelato che Dio ha negato se stesso per darci la
possibilità di negarci per lui. In altri termini, la rivelazione non
è un contenuto formalizzato che noi dobbiamo osservare, ma è una
esperienza interiore della realtà di Dio, chiunque esso sia e anche
se non gli si dà questo nome. Scrive la Weil: 'Poiché è Dio che
deve venire a cercare l'uomo, a prendergli l'anima sorprendendo i
sensi, ci sono a tal fine solo due mezzi: le bellezze naturali (il
cielo, il mare, le stagioni, le pianure, montagne, fiumi, alberi,
fiori, gli spazi - e i bei corpi e bei visi degli uomini, delle donne
e dei bambini) - e i segni sensibili (linguaggio, opere d'arte,
azioni...) provenienti dalle anime in cui egli è entrato. Questo in
particolare funziona per i testi ispirati alle grandi tradizioni
spirituali dell'antichità precristiana. Ogni tradizione ha messo in
primo pano un aspetto della verità soprannaturale. Per Israele
fu l'unità di Dio, ossessiva fino all'idea fissa. Per la Mesopotamia
non ci è più dato saperlo. Per la Persia fu l'opposizione e la
lotta del bene e del male. Per l'India, l'identificazione, grazie
all'unione mistica, di Dio e dell'anima pervenuta allo stato di
perfezione. Per la Cina, l'operazione specifica di Dio, la non azione
divina che è pienezza dell'azione, l'assenza divina che è pienezza
della presenza. Per l'Egitto fu la carità per il prossimo, espressa
con una purezza mai più superata, fu soprattutto la felicità delle
anime salvate dopo una vita giusta, e la salvezza mediante
l'assimilazione a un Dio che era vissuto, aveva sofferto, era morto
di morte violenta, era diventato nell'altro mondo il giudice e il
salvatore delle anime. La Grecia accolse il messaggio dell'Egitto, ed
ebbe anche la propria rivelazione: fu la rivelazione della miseria
umana, della trascendenza di Dio, della distanza infinita tra Dio e
l'uomo'.
Certo tali dottrine vennero a contatto e si contaminarono,
in particolare l'Egitto influì sulla Grecia, e in seguito, proprio grazie a
questa, sul cristianesimo. Per Simone il cristianesimo rappresenta un
punto di convergenza fondamentale, almeno nel mediterraneo, della
rivelazione di Dio, seppure la rivelazione non ha mai permeato la
nostra civiltà che è rimasta secondo lei sostanzialmente
precristiana. Per questo la rivelazione cristiana è inoperativa,
perché la sfera spirituale è separata da quella profana. Vita
profana e vita spirituale sono così destinate a rimanere
impermeabili l'una all'altra. Se invece si vuole che l'ispirazione
cristiana impregni la vita occorre riconoscere che la nostra civiltà
profana procede da una ispirazione religiosa essenzialmente
cristiana. Cristo allora rivelerebbe e renderebbe tangibile rispetto
a tutto il passato e al futuro la redenzione presente in terra sin
dall'origine. Se ora dal cristianesimo passiamo all'induismo, un
ponte che per Simone non va vissuto in modo traumatico perché si
tratta sempre della stessa ricerca, troveremo una religione che vede
molteplici divinità, forse numerose quanti sono i suoi abitanti. Lo Yoga è la pratica attraverso cui si giunge
alla conoscenza spirituale, cioè allo stesso piano che Simone indica quando parla
della realtà che è inaccessibile al linguaggio. Le tecniche Yoga sono tante e tendono tutte alla
condizione di superamento della illusione maya che ci rende ciechi. La sospensione del linguaggio e del pensiero, la
sospensione dell'io sono altri elementi comuni al pensiero della
Weil, di Aurobindo e di altri Sadhu. Sri Aurobindo nasce a Calcutta
nel 1872, muore a Pondicherry nel 1950. Studia in Inghilterra a
Manchester in condizione di povertà assoluta. Riesce a mantenersi
solo grazie alle borse di studio. A Cambridge è ammesso alla scuola
di formazione dei funzionari indiani. Nel frattempo aderisce a una
società segreta per la liberazione dell'India. I suoi discorsi
rivoluzionari e nazionalisti lo faranno cadere nelle liste nere della
polizia. Torna in India come funzionario del Maharajà di Baroda,
vicino a Bombay. Aurobindo conosce profondamente la storia e la
filosofia occidentale, sa l'italiano, il francese, il tedesco e lo
spagnolo. Legge Dante, Ghoete e Cervantes in lingua originale. Scrive
poesie, commedie, elabora un programma rivoluzionario per la
liberazione dell'India. Viene arrestato più volte. Fugge alla fine
ritirandosi a Pondcherry dove lavora insieme alla sua compagna
spiriturale, Mirra Alfassa, che verrà chiamata semplicemente mére, madre. Si ritira nella sua stanza da dove non uscirà più per
meglio concentrarsi sul suo vero compito, la riunione di materia e
spirito. Aurobindo pone al centro del suo insegnamento lo Yoga.
Essendo il più occidentale dei filosofi indiani è anche quello che
ha cercato di creare un ponte tra due prospettive così diverse. Lo
Yoga per Aurobindo è la via per superare le condizioni di un mondo
che non è né ideale né soddisfacente perché fortemente segnato
dal dolore, dalla sofferenza, dal male. Questa percezione è la prima
spinta per Aurbindo verso la ricerca spirituale. Pochi hanno
spontaneamente la grazia della ricerca, per gli altri è questa ombra
che incombe sull'esperienza a indurli verso la stessa strada. Rimane
il problema se questa Ombra sia il carattere essenziale della
manifestazione dell'essere divino. Oppure se, almeno finché esisterà
il mondo fisico, la nascita e la volontà di manifestarsi siano da
considerare il peccato originale. Se è così il ritirarsi dalla
nascita e dalla manifestazione sono l'unica via possibile per la
salvezza. Per chi concepisce così il mondo non esistono vie di
salvezza verso la liberazione spirituale. Ma potrebbe essere che il
mondo non sia così come lo percepiamo, sembri così per la nostra
ignoranza, per la conoscenza parziale che ne abbiamo. Allora
l'imperfezione, il male, la sofferenza possono essere non la
condizione della manifestazione, non l'essenza della nascita nella
natura. Se è così la saggezza non è nella fuga ma nella vittoria
qui in terra. Per questo è importante una totale collaborazione con
la volontà che è dietro al mondo, questa è la scoperta spirituale
che porta verso la perfezione, l'apertura per la totale discesa della
Luce, della Conoscenza e della Beatitudine divini. Tutta l'esperienza
spirituale inclina a favore della presenza di un Permanente che
esiste al di sopra della transitorietà di questo mondo manifesto in
cui viviamo, in questa limitata coscienza in cui brancoliamo e ci
dibattiamo, e le sue caratteristiche sono l'infinità, l'esistenza in
sé, la libertà, la Luce assoluta e la Beatitudine. Vi è allora un
abisso tra ciò che è al di là e ciò che è qui o si tratta di
due perpetui opposti, e solo lasciando dietro questa avventura nel
tempo, solo saltando di là dall'abisso, gli uomini possono
raggiungere l'Eterno? Questo è il punto di arrivo seguito da una
rigorosa conclusione dal Buddhismo. Un poco meno rigidamente un certo
tipo di spiritualità monistica ammette qualche connessione del mondo
con il divino, ma alla fine li oppone come verità e illusione. Ma anche
un'altra prospettiva accompagna queste esperienze, cioè che il Divino
è in ogni cosa, tutto è Quello ed è in Quello quando passiamo
dalla sua apparenza alla sua Realtà, colui che conosce il Brahman allora può vivere in mezzo agli urti del mondo in condizione di pace
assoluta. Pertanto c'è qualcos'altro che va oltre a quella semplice
opposizione, un mistero, un problema che ammette una soluzione
meno disperata. Una possibilità spirituale che porta un raggio di
speranza nella nostra esistenza decaduta. Per Aurobindo qui va posta
la domanda se il mondo è una successione invariabile di fenomeni
sempre uguali o c'è una spinta evolutiva. C'è una incoscienza che
diviene sempre più cosciente? Una coscienza che si eleva a sempre
più elevate altezze? Qual è, se è così, il risultato logico di
tale evoluzione? Il fatto è che l'Incosciente da cui tutto
ha principio è solo apparente, in esso c'è già una coscienza
involuta con infinite possibilità, una Coscienza non limitata ma
cosmica e infinita. Un Divino imprigionato in se stesso, nascosto
nella Materia e che nelle sue segrete profondità contiene ogni
potenzialità. Fuori da questa Incoscienza una alla volta si rivelano
queste potenzialità. Dapprima la Materia organizzata che nasconde lo
Spirito immanente, poi la vita che emerge nella pianta e si associa
nell'animale a una mente in crescita, infine la mente stessa che si
sviluppa nell'uomo. Questa evoluzione si arresta nell'essere
imperfetto che chiamiamo uomo.
Il suo segreto è semplicemente una
successione di rinascite che lo fa avanzare fino a riconoscere la
propria futilità, rinunciare a sé e saltare in qualche primigenia
Esistenza senza nascita, in qualche Non-Esistenza? Oppure c'è anche
la possibilità, che poi diventa certezza, che esiste una Mente più
grande? Salendo nella scala dell'evoluzione, più in alto,
troviamo un punto in cui cessa il dominio della Incoscienza
materiale e dell'Ignoranza vitale e mentale, si presenta una coscienza
che libera non in modo imparziale o imperfetto ma radicale e totale il divino imprigionato. In questa visione sembra ciascuno stadio
evolutivo la discesa di un potere sempre maggiore della coscienza che
solleva dal livello terrestre e crea un nuovo strato. Ma ancora i
Poteri supremi devono discendere e solo allora si libererà non
l'anima ma l'intera natura. Questa è la Verità che i veggenti, i
ricercatori eroici del Tantra (vuol dire tecnica, ordito, ecc.) hanno
visto balenare, e che ora è forse pronta per essere rivelata e
sperimentata. Se allora l'Oscurità in cui siamo situati è il
preludio della felicità che ci attende, tutto quanto accaduto prima
non può essere considerato un prezzo troppo alto. Certo rimane da
rispondere al motivo di questi inizi così sofferenti. Perché un
prezzo così gravoso, perché il male e la sofferenza? Riguardo alla
caduta nell'Ignoranza tutte le dottrine sono concordi, è stata
provocata dalla divisione, dalla separazione, l'isolamento dal
Permanente, dall'Uno. L'ego ha preso allora una posizione
indipendente nel mondo, ha preferito affermare la propria importanza e
il proprio desiderio invece della propria unità con il Divino e la
propria identità con il tutto.
Non
è avvenuto perché il Divino abbia lasciato cadere la creazione e si
sia assentato nella sua Beatitudine, Luce e Perfezione. Egli è
sempre quaggiù e la sua Luce, Pace, Beatitudine ci sostiene. In noi
esiste uno spirito, una presenza centrale, più grande delle
personalità di superficie, che come il divino stesso non subisce il
fato che quelle subiscono. Se scopriamo l'apertura che porta verso
questa presenza Divina in noi, che ha la stessa sostanza, allora
abbiamo trovato la porta per la liberazione. Saremo liberi
luminosi e beati anche in questo mondo nonostante le sue disarmonie.
Questa è la testimonianza antica come il mondo dell'esperienza
spirituale. Ma perché allora la divisione, la disarmonia, il male e
il dolore si insinuano nel Bene, nella Beatitudine, nella Pace
divini? Difficile rispondere all'intelligenza umana rimanendo al suo
stesso livello. La coscienza cui appartiene l'origine di questo
fenomeno è una intelligenza cosmica, non una intelligenza
individualizzata. Il fatto è che all'Infinito le perturbazioni
possono essere indifferenti, ma tra le infinite possibilità che la
manifestazione universale ha la funzione di elaborare, una di queste
è la negazione, l'apparente negazione effettiva del Potere, della
Luce, della Pace, della Beatitudine. Perché una tale possibilità
sia stata accettata si può rispondere che nel passaggio dal Divino
nell'unità al Divino nel molteplice, quest'infausta possibilità è
diventata inevitabile. Essa è inevitabile nell'Anima che scende
verso il suo livello terrestre perché rappresenta il richiamo
dell'ignoto, la gioia del pericolo, della difficoltà e
dell'avventura, la volontà di tentare l'impossibile, la volontà di
creare il nuovo e l'increato con il proprio essere e la propria vita
come materiali. Il fascino degli opposti e la loro difficile
armonizzazione, tutte cose che tradotte costituiscono tentazioni che
hanno portano alla caduta.
Franco Insalaco
Franco Insalaco
Nessun commento:
Posta un commento