Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


martedì 27 settembre 2011

XXV° incontro giardino filosofico

Abbiamo visto come il concetto di verità in epoca moderna, a partire da Hegel, sia il risultato di un processo che giunge fino a Nietzsche, per il quale non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. Tali affermazioni sulla verità sono state contestate durante il festival di  filosofia di Modena da Maurizio Ferraris. Nell'introduzione alla terminologia filosofica, vi ricorderete, Adorno asseriva che se parliamo accade perché qualcosa ci fa iniziare, ci dà lo spunto, quel qualcosa è esterno al linguaggio. Cosa vuol dire? Che va bene il nominalismo ma un poco di realismo è necessario, altrimenti etichettiamo etichette, cioè diventiamo tautologici e dogmatici. E' piuttosto interessante  l'argomentazione di Ferraris, che peraltro ha suscitato diverse polemiche. Il suo atteggiamento filosofico, da lui definito Nuovo Realismo, muove contro la filosofia postmoderna, nella quale rientra anche il pensiero debole inventato da Vattimo e Rovatti. Cosa dice Ferraris? Partiamo dalle puntate precedenti riprendendo alcuni elementi del discorso di Foucault. Il filosofo francese è interessato ai documenti storici, ma utilizza un diverso modo di interpretarli confronto allo storicismo. Nel modo di procedere attuato da Foucault cambia il fatto che le categorie, i concetti e le parole con cui avanza lo storicismo vengono ritenute finte.
In questo modo mostra i processi attraverso cui emerge il loro senso, evidenziandone il meccanismo veritativo che ci sta dietro. Questo modo di fare filosofia è inaugurato da Nietzsche. Per lui non esistono fatti, ma interpretazioni. Va detto che questa posizione
è strettamente nominalista, cioè ritiene parole e cose separate. Siccome noi siamo dalla parte del linguaggio, dell'episteme, non possiamo accedere all'ontologia, all'essere, altrimenti che con la
parola. Bisogna fare attenzione però, nella introduzione che abbiamo fatto alla terminologia filosofica in più riprese si era detto che non è concepibile questo discorso in termini assoluti. Il rischio è che
altrimenti cadiamo nel dogmatismo. Da un lato etichettando etichette facciamo opera tautologica, dall'altro, così facendo, avanziamo in modo relativistico. Per cui alla fine di questa via una ipotesi vale l'altra, perché abbiamo perso per strada il referente, il correlativo oggettivo dei poeti, la realtà, il mondo. Una interpretazione rischia di essere valida quanto le altre. Questo atteggiamento alimenta il populismo, anche alla Berlusconi, che così è vincente. Naturalmente l'analisi di Ferraris è una semplificazione del discorso di Nietzsche, per il quale, invece, ciascuno ha la sua verità, cioè ha il suo grado di verità, maggiore o minore, ma la verità e la realtà esistono, ci sono. Noi cominciamo a pensare da qualcosa che non è strettamente linguistico, da un oggetto. Questo è irrinunciabile, il linguaggio non può che parlare a partire da altro da sé, altrimenti il discorso si fa tautologico, si sbrodola addosso. La realtà sfugge al linguaggio, esso non l'afferra completamente,
quando parla della natura, della realtà, resta sempre un resto inafferrabile, non perfettamente esplorabile, non perfettamente comprensibile, un resto non detto, ma che c'è, esiste, ed è la misura
dell'infinito che cerchiamo di adattare alla nostra misura che è finita. Mentre ci avviciniamo alla verità, alla natura, alla realtà, senza raggiungerle, questo non significa che non esistano. Se siamo
colpiti da un sasso che ne conosciamo o no la composizione ci farà male. Che sappiamo parlare o no è fatto totalmente secondario, il sasso c'è anche se non lo nominiamo. Allora Stefan George, un
poeta tedesco, perché dice nessuna cosa senza la parola? Perché più parole sappiamo dire correttamente, direi poeticamente, più il linguaggio avanza ontologicamente, cioè nell'essere. Più
linguaggio sappiamo fare, in greco poiesis, più realtà sappiamo afferrare, seppure mai completamente. Il relativismo è, invece, dalla parte di opinioni incapaci di riconoscere l'esistenza della realtà. Affermando un pensiero non prevaricante il pensiero debole rischia di perdere proprio il modo di difendersi dai poteri forti, cioè il modo oggettivo per dire a chi ritiene che tutto sia dicibile che non è così. Se la verità viene meno assistiamo a ciò che sta capitando. Cioè, che il populismo sposa questo modo di pensare debole e racconta quello che vuole, tanto i fatti sono interpretazioni. Si rimane allora in una dimensione in cui siamo privati della verità, della realtà e anche della capacità critica. Siamo licenziati, non abbiamo soldi per giungere alla fine del mese, ci prevaricano nel lavoro, siamo trattati a pesci in faccia, ma se sono interpretazioni chi ha ragione, io o il padrone che sostiene tutt'altro? Ora, se noi sappiamo che non c'è essere, mondo, senza linguaggio, è necessario anche sapere che non c'è linguaggio senza essere, senza mondo. Inoltre, mentre il primo
elemento della frase è riducibile, essendo linguistico, cioè, possiamo articolarlo nel modo che vogliamo, il secondo, l'essere, è irriducibile. Se dico che non c'è pietra e la guardo quella non sparisce, se poi me la tiro in un piede fa pure male. Questo, anche se non so come si chiama, come è costituita. Se sono nel mondo dell'episteme, del linguaggio, della conoscenza, posso giocare in vari modi, se mi trovo nell'ontologico, cioè nell'essere, esso è irriducibile. La pietra non cambia se la dico in un modo o nell'altro. Dunque, due sfere sono da tenere presenti, epistemologia e ontologia, il loro rapporto va ripensato. Sappiamo che alla sfera epistemologica appartiene la spiegazione di quella ontologica, tuttavia se la spiegazione è esatta o sbagliata l'ontologico se ne fa un baffo. La verità appartiene irriducibilmente a questa seconda sfera. Riducibilmente alla prima, cioè essa avrà maggiore o minore consistenza e adeguazione secondo il livello di linguaggio che parliamo. Siamo allora situati nella verità che ci meritiamo, come dice Nietzsche. Ma la verità esiste, anche se noi la raggiungiamo per un pertugio, un accesso limitato, dovuto al fatto che la verità sta sul piano dell'essere e noi vi giungiamo attraverso il linguaggio. Siamo dunque sempre per strada nella verità, poiché la nostra finitudine si confronta con l'infinito. Ma l'aspetto politico della verità è fondamentale. Severino dice che è rischioso pensare la verità in questi termini poiché se la semplifichiamo troppo può coincidere con il senso comune. Ma, gli si può obiettare, e questo fa Ferraris, che non ci si può neanche distogliere dal senso comune. Il senso comune non è che l'aspetto veritativo del mondo in cui siamo situati. Cosa è il senso comune? I nostri sensi coordinati tra loro articolano un sesto senso che è comune agli altri. Questo, corrisponde al modo di vedere comune tra gli uomini. Allora, seguendo questo pensiero, dobbiamo capire che siamo in un mondo di corrispondenze in buona parte comuni a noi tutti, non si può ignorare il fatto che la realtà esiste. Adesso scopro che c'è la verità, faccio un manifesto e invito la gente a  sottoscriverlo, oppure un altro dice che non c'è, fa un altro  manifesto e chiede di firmarlo, ma non funziona così. Cioè, realtà e verità non sono un opinione. Ciò non significa che non esistano opinioni. Il fatto è che due dogmi sono smentiti nel populismo mediatico, sia dall'undici settembre e le sue guerre che dalle crisi
economiche che ci stanno spazzando via. Primo dogma: la realtà è socialmente costruita e infinitamente manipolabile. Secondo dogma: l'inutilità della nozione di verità. Questi due dogmi fanno il gioco del potere popolar-mediatico. Per questo è necessario tornare all'ontologia e dire che il mondo è indifferente alle nostre manipolazioni. Altrimenti la mancanza di riferimento oggettivo porta al dominio dell'autorità. Vale a dire, se noi non siamo in grado di dire cosa sia vero allora ripiegheremo verso il potere. Per Ferraris la verità è una garanzia che i poteri forti non possano essere esercitati, perché se tu con il tuo potere vuoi imporre ciò che è palesemente falso, chi è portatore di verità non vi aderirà. Ma allora perché, se è così semplice, ci pieghiamo invece alla autorità e al falso? Perché la promessa di tutta la filosofia Post Moderna è stata di emanciparci dalle verità forti per renderci liberi. Rorty, pragmatista americano, scrive che l'oggettività non è poi così
importante, lo è di più la solidarietà. Ma voi preferireste un medico solidale o uno bravo? Inoltre, sempre Rorty parla di ironia, dice che una dose di ironia è necessaria per prendere distanza dalle
proprie affermazioni. Ma se uno dice che l'acqua bolle a 100 gradi e un altro a 1000, seppure ironicamente prende distanza, ciò non toglie che l'acqua continui a bollire a 100 gradi. Cioè, non è
frutto di una mediazione se l'acqua bolla a una certa temperatura. Anche gli intellettuali che prendono distanza dal principio di realtà e si dirigono verso altri principi, più nomadici, come il principio di piacere, giocano infine una partita che fa solo l'interesse dei poteri forti. Karl Rove, consigliere di Bush, ha detto ai giornalisti durante la guerra contro l'IRAQ: "Noi siamo un impero e quando agiamo creiamo una nostra realtà". Ciò significa che la ragione del più forte se non si misura con la verità è sempre la migliore. Se la realtà è socialmente costruita e la verità è un effetto di potere allora noi ci troviamo esattamente in questo mondo. Dunque, Nietzsche e Foucault vedono bene in che mondo siamo e possono mostrare come funziona il genere di verità che si va sempre più affermando. Perché il mondo che si afferma, come dice Ferraris, è il realitysmo, per uscirne si deve ritrovare una via nuova verso il realismo. Ferraris si domanda: "Nietzsche afferma che non ci sono
fatti, ma solo interpretazioni, ma questo è un fatto o una interpretazione?" Paolo Bozzi racconta questa storia: "Se in un isola c'è un sasso nero e gli abitanti con elaborate interpretazioni credono sia bianco, il sasso resta nero e gli abitanti sono dei cretini." L'essere che può venire compreso è il linguaggio, ma il Vesuvio è linguaggio? No! E' essere, non linguaggio. Niente è fuori dal testo dice
Derrida. Ma come è possibile? Anche il testo è fuori dal testo! A maggior ragione noi come corpo siamo fuori dal testo. All'origine c'è la frase di Kant: "Le intuizioni senza concetto sono cieche!" Ma
pur senza concetto sedia e tavolo possono ugualmente farvi inciampare. Non sono le teorie che creano la realtà. Marx lo aveva già detto, non sono le idee che fanno il mondo, è il mondo che fa le
idee. Kant ristabilisce un rapporto con la realtà, ma se aggiungi: non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, allora rischi l'estremizzazione. Perciò vale la pena ritornare alla vecchia ontologia. Il fatto che la realtà è indipendente dal nostro pensiero diviene il fondamento per giungere a pensieri più seri! Si deve evitare la confusione tra epistemologia e ontologia. Il sociologo non può dire di fronte alla scoperta che Ramsete è morto di tbc: "è impossibile, ancora non era stata trovata". Insomma, quello che c'è non dipende dai nostri schemi concettuali. Mentre l'epistemologia la correggi, l'ontologia non è emendabile. La realtà naturale non dipende da quello che noi sappiamo, è assolutamente indipendente. Certo gli oggetti sociali sono creati da noi, dipendono dai soggetti, ma gli oggetti naturali sono indipendenti, per questo rendono le scienze vere. Nell'arte Tiziano è meglio o peggio di Tintoretto, ma questo non possiamo dirlo di Copernico e Tolomeo. Le intuizioni senza concetto sono cieche, vale soprattutto per gli oggetti sociali. Dunque la verità e la realtà non sono elementi di attacco al più debole, invece possono essere una difesa. Marx dice che nella comprensione di cose esistenti è inclusa la negazione di esso. Accertare però non significa accettare. Allora, sia la tesi di Foucault, cioè potere è sapere, sia Bauman con la modernità liquida vanno decostruiti, secondo Ferraris. Se Foucault mostra nella storia della follia come il sapere medico diventi potere sui malati, questo non può essere ampliato a qualsiasi discorso. Alla frase 'ti dico che due più due fanno quattro', non posso rispondere 'ma come sei violento!' Scott Ritter dice all'ONU: "Guardate che le armi di distruzione di massa non ci sono!" Infatti non c'erano. In questo caso il potere non è sapere, perché la guerra l'hanno fatta lo stesso. Ma anche per la realtà sempre più liquida bisogna chiedere a Bauman perché si preoccupa se il suo computer cade. Per finire, Ferraris sostiene che bisogna riprendere l'invito di Kant nella lettera sull'illuminismo, uscire dall'infanzia e invece di camminare con le dande iniziare a pensare con la propria testa, altrimenti, come dice il grande inquisitore di Dostoevskij a Gesù nei Fratelli Karamazov, gli uomini hanno ricevuto la verità ma non potevano sopportarla, allora gli abbiamo dato il mistero, i miracoli e l'autorità. "Tu volesti il libero amore dell’uomo, perché Ti seguisse liberamente, attratto e conquistato da Te. In luogo di seguire la salda legge antica, l’uomo doveva per l’avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine; ma non avevi Tu pensato che, se lo si fosse oppresso con un così terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la Tua immagine e la Tua verità? Essi esclameranno, alla fine, che la verità non è in Te, perché era impossibile abbandonarli fra ansie ed angosce maggiori di come Tu facesti, lasciando loro tante inquietudini e tanti insolubili problemi. In tal modo preparasti Tu stesso la rovina del Tuo regno, e non darne piú la colpa a nessuno. Ma è questo intanto che Ti offriva? Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli, per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza e desti cosí l’esempio. Lo spirito sapiente e terribile. Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: “Se vuoi sapere se Tu sei Figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo”; ma Tu, udito ciò, respingesti l’offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giú. Oh, certo, Tu agisti allora con una magnifica fierezza,
come Iddio, ma gli uomini, questa debole razza di ribelli, sono essi forse dèi? Oh, Tu comprendesti allora che, facendo un solo passo, un solo movimento per gettarti giú, avresti senz’altro tentato il
Signore e perduto ogni fede in Lui, e Ti saresti sfracellato sulla terra che eri venuto a salvare, e si sarebbe rallegrato lo spirito sagace che Ti aveva tentato. Ma, ripeto, ce ne sono forse molti come
Te? E in verità potevi Tu ammettere, non fosse che per un momento, che anche gli uomini avessero la forza di resistere a una simile tentazione? È forse fatta la natura umana per respingere il miracolo
e, in cosí terribili momenti della vita, di fronte ai piú terribili, fondamentali e angosciosi problemi dell’anima, rimettersi unicamente alla libera decisione del cuore? Oh, Tu sapevi che la Tua azione si sarebbe tramandata nei libri, avrebbe raggiunto la profondità dei tempi e gli ultimi confini della terra, e sperasti che, seguendo Te, anche l’uomo si sarebbe accontentato di Dio, senza bisogno di miracoli. Ma Tu non sapevi che, non appena l’uomo avesse ripudiato il miracolo, avrebbe subito ripudiato anche Dio, perché l’uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l’uomo non ha la forza di rinunziare al miracolo, cosí si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, foss’egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo. Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu”. Tu non scendesti, perché una volta di piú non volesti asservire l’uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore. Ma anche qui Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché, per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi. Vedi e giudica, son passati quindici secoli, guardali: chi hai Tu innalzato fino a Te? Ti giuro, l’uomo è stato creato piú debole e piú vile che Tu non credessi! Può egli forse compiere quel che puoi compiere Tu? Stimandolo tanto, Tu agisti come se avessi cessato
di averne pietà, perché troppo pretendesti da lui, e chi ha fatto questo? Colui che lo amava piú di se stesso! Stimandolo meno, avresti anche meno preteso da lui, e questo sarebbe stato piú vicino
all’amore, perché piú leggera sarebbe stata la sua soma. Egli è debole e vile. Che importa che egli adesso si sollevi dappertutto contro la nostra autorità e si inorgoglisca della sua rivolta? È l’orgoglio del bambino e dello scolaretto. Sono i piccoli bimbi che si sono ribellati in classe e hanno cacciato il maestro. Ma anche l’esaltazione dei ragazzetti avrà fine e costerà loro cara. Essi abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la terra. Ma si avvedranno infine, gli sciocchi fanciulli, di essere bensí dei ribelli, ma dei ribelli deboli e incapaci di sopportare la propria rivolta. Versando le loro stupide lacrime, riconosceranno infine che chi li creò ribelli se ne voleva senza dubbio burlare. Essi lo diranno nella disperazione, e le loro parole saranno una bestemmia che li renderà anche piú infelici, perché la natura umana non sopporta la bestemmia e alla fin fine se ne vendica sempre da sé. Inquietudine dunque, tumulto e infelicità: ecco l’odierna sorte degli uomini, dopo che Tu tanto patisti per la loro libertà! Il Tuo grande profeta dice nella sua visione e nella sua parabola di aver visto tutti i partecipi della prima resurrezione e che ce n’erano dodicimila per ciascuna tribú. Ma se erano tanti, vuol dire che quelli erano piú dèi che uomini. Essi sopportarono la Tua croce, essi sopportarono dieci anni di vita famelica nel nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici; e certo Tu puoi appellarti con orgoglio a questi eroi della libertà, dell’amore libero, del libero e magnifico sacrificio da essi compiuto in nome Tuo. Ma ricordati che erano in tutto appena alcune migliaia, ed erano per giunta degli dèi, ma i rimanenti? E che colpa hanno gli altri, gli uomini deboli, di non aver potuto sopportare ciò che i forti poterono? Che colpa ha l’anima debole, se non ha la forza di
accogliere cosí terribili doni? Possibile che Tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è cosí, c’è qui un mistero e noi non possiamo comprenderlo. E se c’è un mistero, anche noi
avevamo il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non è la libera decisione dei loro cuori quello che importa, né l’amore, ma un mistero, a cui essi debbono ciecamente inchinarsi, anche contro la loro coscienza. E cosí abbiamo fatto. Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono cosí terribile, che
aveva loro procurato tanti tormenti." L'incontro potrebbe finire qui, ma abbiamo ancora un poco di tempo e quindi riprendiamo il filo del
percorso foucaultiano. Ora però con una visione doppia che è quella del veggente, il veggente vede ciò che al guardone è invisibile. Un invisibile che è parte del visibile, non altro dal visibile, ma
l'altro del visibile. Un altro mondo è possibile, dice il movimento, ma non c'è un altro mondo, c'è solo l'altro del mondo. Il mondo insomma è sempre uno, irriducibilmente. L'episteme è redimibile,
non l'essere. Abbiamo visto i dispositivi di sicurezza  contraddistinguere l'epoca moderna fino ai nostri tempi.
Quali sono i passaggi che analizza Foucault? Prima di tutto fino al medioevo è il territorio il luogo della sovranità. Il sovrano esercita il suo potere in uno spazio che è la misura del suo dominio.
Tanto più spazio, tanto maggiore il potere del sovrano. Gli uomini vengono sottoposti alla legge. La dualità è tra comportamenti adeguati e inadeguati, un codice binario. Nel periodo successivo
modulato dalla disciplina cosa cambia? Non più il territorio è l'ambito della sovranità, o non solo quello, più importanti sono i corpi e le cose. Meglio poco spazio ricco di uomini e cose, che un
grande spazio deserto. La sorveglianza e la disciplina si applicano su uomini e cose. La malattia dell'epoca della legge è il vaiolo, i malati vengono divisi dai sani e non possono accedere alla città, sono esclusi dalla convivenza civile. Nell'epoca della sorveglianza, invece il problema è la peste, i malati vengono messi in quarantena, sono realizzati i lazzaretti, ci sono dispositivi di controllo sulle persone, si ispezionano le abitazioni, si impongono diete, sono interdetti in certi orari certi luoghi. Il successivo modulo della sicurezza si confronta invece con il vaiolo. Qui si inizia a praticare la prevenzione, piccole dosi di malattia vengono inoculate a tutti, anche senza sapere scientificamente perché funzioni, si controlla e verifica  statisticamente quali sono i successi e quali i costi. L'oggetto di questa pratica diviene la popolazione. Ogni fase mantiene i dispositivi precedenti aggiungendo i nuovi. A cosa serve questa analisi? A capire se le tecnologie sviluppate nella modernità creino i dispositivi di potere presenti anche oggi, vedere, insomma, se i processi di normalizzazione in atto siano nati allora. Foucault analizza anche alcuni piani di fondazione, controllo e sviluppo delle città nelle tre differenti epoche. Ad esempio, mostra come il passaggio dalla prima epoca alla seconda implichi l'eliminazione delle mura dalla città e lo sviluppo della circolazione di merci e persone, con i conseguenti problemi legati al controllo. Segue anche il passaggio che caratterizza il mercantilismo fino alla concezione fisiocratica della politica e dell'economia. I primi avevano il timore della scarsità e del rischio di carestie. Rischio che portava
con sé la rivolta delle popolazioni. Si stabiliscono perciò leggi, poi applicate dalla polizia dei cereali, volte a evitare la penuria di questa merce. Viene vietata la coltivazioni di alcuni prodotti,
vietato fare incetta di grano, vietato esportarlo. Insomma sono in atto restrizioni per cercare di garantire il prodotto nel mercato a prezzi bassi, calmierati. Ma i prezzi bassi provocano uno scarso
guadagno, la penuria dei contadini non consente di seminare a sufficienza e nel periodo successivo si presenta quello che si vuole evitare, la carestia. Così diranno i fisiocrati. Secondo Abeille la
scarsità in natura non esiste, pertanto l'unica ragione per cui si presenta è dovuta a leggi stupide. Invece di controllare il mercato, secondo i fisiocrati, è necessario seguire il processo produttivo
dall'inizio, vedere la qualità dei semi, dei terreni, della manodopera, insomma è determinante tutto il processo e non solo il mercato. Inoltre, se si lascia libertà di commercio una zona a minore
produzione con prezzi liberi ne vedrà l'aumento. Allora subito un mercante di altre zone a maggior produttività vorrà approfittare di prezzi più alti e trasferirà la sua merce proprio dove c'è più
penuria. Così il mercato, lasciato libero di muoversi naturalmente, potrà trovare il punto più conveniente per tutti. Ciò che avviene è l'abbandono delle tecniche disciplinari a vantaggio di sistemi di sicurezza che lasciano libero gioco alle oscillazioni naturali dei fattori coinvolti. Maggiori guadagni danno possibilità ai contadini di avere maggiori possibilità di semina, dunque maggiori produzioni e mercati più ricchi. Il meccanismo che impostano i fisiocratici è centrifugo, quello della polizia dei cereali centripeto. Il sistema di controllo delimita lo spazio, il sistema di sicurezza, invece, lascia maggiore libertà, tende a dilatare la sua azione inglobando sempre nuovi elementi. Anche sotto il profilo legale la legge ordina cosa fare, specifica i divieti, analizza il disordine per indicare l'ordine. L'ordine è ciò che resta una volta che sia impedito tutto ciò che è vietato. Questo pensiero negativo contraddistingue un codice legale. Pensiero e tecniche medioevali funzionano in negativo. Invece le discipline dispongono cosa fare prendendo a modello la vita monastica, che ne è il punto di partenza, la matrice, la vita monacale è rigorosamente determinata. Nel sistema della legge ciò che è indeterminato è permesso, in quello disciplinare è vietato. Il dispositivo di sicurezza non adotta né l'uno né l'altro. La legge vieta, la disciplina prescrive, la sicurezza regola gli elementi che la compongono. Per questo gli economisti dell'epoca e i fisiocrati ritengono che la politica si debba impegnare a intervenire in ordine alla sola fisica, alla realtà, cioè in un ambito esclusivamente naturale. La legge immagina ciò che non deve essere fatto, la disciplina prescrive alla realtà disordinata il suo ordine, la sicurezza regola la naturale situazione fisica. Il fatto che la politica non deve mai separarsi dal gioco della realtà con se stessa è uno dei postulati fondamentali del liberalismo. Lasciar che le cose accadano, scorrano, vuol dire lasciare che la realtà si sviluppi, proceda sul suo corso secondo leggi, principi e meccanismi suoi propri. Questa richiesta di libertà è stata una delle condizioni di sviluppo del capitalismo. Si passa in questo modo da tecniche normative, in cui la legge è l'elemento che indica cosa sia normale e cosa no, a tecniche
normalizzanti. Non è più la legge a indicare cosa sia normale ma l'uso di tecniche statistiche. La moda, cioè il valore più ricorrente, definisce la normalità. Attraverso questo meccanismo la popolazione è sottoposta ad una normalizzazione. Se una malattia colpisce la popolazione si evincono gli estremi negativi e si cerca di riportarli alla norma. Foucault giunge alla conclusione che i dispositivi di sicurezza variano il rapporto in modo che al centro non sta più il sovrano ma la popolazione. Non è più la sicurezza del sovrano, come nelle società disciplinari, non è più il potere del sovrano di dire di no, i meccanismi di sicurezza non operano sull'asse sovrano sudditi, né nella forma del divieto. I meccanismi di sicurezza non puntano al dominio di uno sugli altri, cercano di far emergere solo il livello di sovranità necessaria e sufficiente, cioè il minimo di governo indispensabile. Questo livello non è orientato al singolo ma all'intera popolazione. Insomma, avanza un modo completamente diverso di governare. La popolazione non si può più considerare come elemento che viene plasmato dalla volontà del sovrano, troppe sono le variabili che ne influenzano il destino. Innanzitutto è un fatto naturale che la popolazione non potrà mai variare al di là dei limiti imposti dai mezzi di sussistenza, come dice Mirabeau. L'invariante individuata dai teorici della popolazione per influenzare il suo orientamento è il desiderio. Questa antica nozione, già utilizzata nell'ambito della direzione delle coscienze, rientra in scena con le tecniche di potere e di governo. Il desiderio è ciò in base a cui ogni individuo agisce. Contro il desiderio l'individuo non può nulla. Quesnay dice: "voi non potete impedire alla gente di stabilirsi dove essa ritiene che il profitto sarà maggiore e dove desidera abitare, perché essa desidera questo profitto. Non cercate di cambiarla, non cambierà." C'è un punto tuttavia in cui si può intervenire, motivando il desiderio, facendo il suo stesso gioco, si può produrre l'interesse generale della popolazione. La ricerca di interesse individuale può darsi che ci inganni, ma l'insieme spontaneo e regolato del desiderio potrà produrre un interesse nella intera popolazione. Produzione di interesse collettivo mediante il gioco del desiderio; ecco cosa contraddistingue la naturalità della popolazione e l'artificialità dei mezzi per gestirla. Questo aspetto è rilevante perché è esattamente l'opposto di quanto accadeva con il sistema etico-giuridico della sovranità. Il sovrano è colui che può dire di no. Il problema ora diventa come dire sì a questo desiderio. La matrice della filosofia utilitaristica è questa. Ed essa darà il sostegno teorico a questa nuova forma di governo delle popolazioni. Già possiamo notare come la filosofia di Kant, conseguenza dei tempi o anticipatrice dei tempi ora non ci interessa, abbia portato ad una attenzione particolare alla relazione del pensiero con la realtà. L'empirismo di questa epoca è proporzionale al cambiamento di direzione imposto da Kant al modo di pensare. La ragion pura corre dei pericoli se non si confronta con la realtà! E nella realtà si può osservare come fenomeni ritenuti fortuiti, poi a lungo termine si rivelino regolari. Si iniziano a impostare tavole di osservazione dei fenomeni, come ad esempio la mortalità per suicidio, scoprendo che a Londra i
suicidi si ripetono di anno in anno con cronografica esattezza. Ma ci sono tavole di mortalità per incidenti, per consunzione, per gotta, così si possono osservare tutta una serie di ulteriori fenomeni,
ad esempio, i maschi nascono in misura maggiore, ma sono colpiti da un maggior numero di incidenti e alla fine la proporzione si ristabilisce, oppure, si scopre che la mortalità è superiore in
città che in campagna. Insomma, la popolazione non è più una collezione di soggetti giuridici, ma un insieme di elementi al cui interno sono osservabili fattori sin troppo costanti e regolari, inoltre vi si riscontra l'universale desiderio che produce benefici per tutti, nonché le variabili da cui il desiderio dipende e che sono in grado di modificarlo. Così entra nel campo delle tecniche di potere
una natura che non è il luogo contro cui il sovrano deve imporre leggi giuste, ma il luogo in cui si devono applicare procedure di governo ben calcolate. Il genere umano si chiamerà ad un certo
momento specie umana, la popolazione si iscriverà tra gli esseri viventi. La specie umana sarà per un verso popolazione e dall'altro pubblico, cioè, sempre popolazione ma considerata dal lato delle
opinioni. Dalla specie popolazione al suo contraltare pubblico troviamo gli elementi pertinenti per agire le decisioni politiche e per governarle. Governarle al minimo che è necessario. Inoltre la
parola governo si sostituisce a quella di sovrano. Dalla finanza che calcola il ruolo della moneta, quando svalutarla o rivalutarla, ne studia la circolazione, la stabilizzazione o meno nel commercio
con l'estero, e così via, si passa alla economia politica, che ha al suo centro la popolazione. Ma anche nella storia naturale da Lamark, che vede l'influenza ambientale sul singolo individuo, si
passa a Cuvier, che cerca le cause tramite l'inserimento di cambiamenti più generali, dovuti a catastrofi o a interventi divini non importa, fino a Darwin, che osserva la variabilità all'interno delle popolazioni iniziando così la moderna biologia. Lo stesso passaggio dalla grammatica alla filologia storica. Quest'ultima nasce attraverso lo studio dei cambiamenti linguistici all'interno delle
popolazioni. Ma questo spostamento è avvenuto perché le tecniche di potere hanno ritagliato la popolazione e i suoi fenomeni specifici. Così l'emergere di una pluralità di nuovi campi e oggetti di
studio ha aperto la strada ai nuovi saperi, Foucault mostra come sia correlato il sapere al potere. Ma lo mostra, si potrebbe dire a Ferarris, poiché si tratta di studiare oggetti sociali, politici, proprio
nella loro zona di contatto con il naturale. Di analizzare, insomma, la correlazione tra oggetti sociali e naturali. Cioè, si tratta di vedere come i due ambiti costituiscano il nuovo modo di gestire il potere.
Il potere pone la sua sovranità nel punto in cui l'artificiale e il naturale si incontrano. Dove l'epistemologico e l'ontologico si sovrappongono. Allora può accadere che l'episteme sostituisca
l'ontico. Che la parola prenda il posto della cosa. Che il reality sostituisca la realtà.


Franco Insalaco

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