Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 10 ottobre 2011

Il Simposio di Platone. (Incontro tenuto il 26/07/2011 al CostArena di Bologna, regia di Graziano Ferrari con la collaborazione di TenTeatro).

La filosofia occidentale si può dire inizia con Platone. Tale situazione è determinata dal fatto che la concezione platonica fissa la terminologia utilizzata nella filosofa da allora fino ad oggi. Tramite Aristotele, cioè a partire dalle traduzioni in arabo e in latino della sua opera, la Scolastica nel medioevo eredita il linguaggio platonico e lo rilancia verso la modernità. Dunque, descrivere questo passaggio è d'obbligo se vogliamo comprendere cosa è in gioco nel Simposio. La Scolastica cerca di dimostrare l'esistenza di Dio. Anselmo
d'Aosta o da Canterbury, chiamato in entrambi i modi poiché è nato nella prima ed è stato arcivescovo della seconda, porterà a conclusione tale prova. Semplificando, egli sostiene che di tutti i concetti Dio è il più perfetto, perciò se Dio non esistesse il suo concetto non potrebbe essere il più perfetto, dunque, Dio deve esistere. Ricordiamoci che la posizione della scolastica era realista. Guaianone, monaco francescano, dirà che non è possibile credere che ciò che si immagina, seppure perfetto, ad esempio una certa isola di fantasia, solo perché pensata perfettamente, allora esiste. Cosa succede in questo passaggio? Guaianone prima e Occam poi riprendono la concezione nominalista. Fino a quel momento la scolastica aveva ritenuto il linguaggio in relazione diretta con le cose, con la realtà, dunque si riteneva che parlare delle cose fosse sufficiente, non era necessaria alcuna forma di verifica empirica. Quella che invece poi richiederà in modo critico Kant, che era nominalista, alla ragion pura. Per il nominalismo le parole non sono in relazione diretta con le cose, sono solo etichette che applichiamo agli oggetti o invenzioni se si tratta di concetti universali. Per questo si deve guardare anche all'esperienza e non solo al pensiero. Questa introduzione per dire che tali problemi erano già presenti in Platone, e che la sua filosofia per prima si occupa di questioni che poi ricorreranno in tutta la sua storia. Inoltre, Platone è il primo ad analizzare il concetto da ogni prospettiva e a mettere la sua struttura al centro del pensiero. Platone rappresenta lo spartiacque tra i presocratici e la filosofia successiva, avviene perché fornisce a tutta la filosofia, fino alla modernità, sia il linguaggio che la struttura, insomma, gli dà un'impostazione. Possiamo dire che fare filosofia oggi significa spesso formulare delle idee che proprio per distinguersi sono anti platoniche, sopratutto da Nietzsche in poi. Per Nietzsche Platone/Socrate è il filosofo che determina la fine della concezione tragica della vita, cioè, secondo lui, la prospettiva più significativa dell'esistenza inventata fino ad oggi. Tale visione è narrata dai poeti tragici e dai filosofi Greci presocratici, in particolare Eraclito. Eraclito pensava all'essere come divenire, cioè come vita. Nella tragedia si gioca una vertenza che trova filia tra due principi: la passione della vita rappresentata dall'estasi e dalla musica da un lato, cioè Dioniso; la forma scultorea e il sogno rappresentati da Apollo dall'altro. Dioniso è il principio vitale e affermativo, Apollo gli dà distinzione, chiarezza e attraverso il sogno abbellisce ciò che è terrificante, cioè l'abisso e il caos dionisiaco. Nelle epoche successive, secondo Nietzsche, si sostituiranno ad Apollo prima Socrate/Platone, poi il cristianesimo. Questi non affermeranno più Dioniso, cioè la vita, ma avanzeranno di negazione in negazione colpevolizzando l'esistenza. Ecco il punto più radicale della messa in discussone che la filosofia moderna fa alla filosofia platonica. Tuttavia Platone fornirà una descrizione di ciò che significa fare filosofia. La filosofia dialoga tramite i concetti e riapre le determinazioni concettuali con il mito. La filosofia, dunque, da subito prevede la propria ignoranza, cioè l'impossibilità di giungere a una verità definitiva, per i greci aletheia, la verità, si svela rivelandosi, per questo il discorso si deve sempre riaprire. La verità definitiva invece è la prerogativa della saggezza. Il saggio sa, i filosofi no. La filosofia è il percorso di colui che va verso la conoscenza, verso la verità, verità che alla maggioranza degli uomini, secondo Platone, è invisibile. Alla maggioranza appartiene la doxa, l'opinione. Accade perché la verità non sta in questo mondo, appartiene al mondo delle idee, che sono situate nell'iperuranio, nel cielo, al di sopra delle esistenze degli uomini. Le idee eterne, insomma, sono trascendentali. Pertanto l'uomo vive nella caverna e quei pochi che escono a vedere la luce del sole poi, quando rientrano, non sono creduti e rischiano non solo l'emarginazione ma anche la vita. Come il suo maestro, Socrate.

lettura attore

Apollodoro:

Credo proprio di essere ben preparato per soddisfare la vostra curiosità. L'altro giorno, infatti, venivo in città da casa mia, al Falero, quando uno che conosco, dietro di me, mi chiama da lontano
in tono scherzoso:

"Ehi tu, del Falero, Apollodoro, mi aspetti un momento?"

Mi fermo e l'aspetto. E quello:

"Apollodoro, t'ho cercato ovunque. Volevo domandarti dell'incontro di Agatone, di Socrate, di Alcibiade e degli altri che erano con loro al simposio, e così sapere quali discorsi lì si son fatti sull'amore. Mi ha già raccontato qualcosa un altro, che ne aveva sentito parlare da Fenice, il figlio di Filippo; mi ha detto che tu eri al corrente di tutto, ma lui, purtroppo, non poteva dir niente di preciso. E quindi ti prego, racconta: nessuno meglio di te può riportare i discorsi del tuo amico. Ma dimmi, per cominciare: eri presente a quella riunione o no?"

"Si vede bene - rispondo io - che quel tizio non ti ha raccontato niente di preciso, se credi che la riunione che ti interessa sia avvenuta da poco, e io abbia potuto parteciparvi."

"Io credevo così."

"Ma com'è possibile, Glaucone? Sono molti anni - non lo sai? - che Agatone manca da Atene. E poi sono passati meno di tre anni da quando io frequento Socrate e sto attento tutti i giorni a quello che
dice e che fa. Prima me ne andavo di qua e di là, credendo di fare chissà che cosa, ed ero invece l'essere più vuoto che ci sia, come te adesso, che credi che qualsiasi occupazione vada meglio della
filosofia."

"Non mi prendere in giro - disse - e dimmi piuttosto quando c'è stata quella riunione."

"Noi eravamo ancora dei ragazzini - gli rispondo -. Fu quando Agatone vinse il premio con la sua prima tragedia, il giorno successivo a quello in cui offrì, con i coreuti, il sacrificio in onore della sua vittoria".

Il Simposio è la cena in onore del poeta Agatone, vincitore di un premio per la sua prima tragedia. Egli aveva offerto un sacrificio agli dei insieme ai coreuti il giorno prima della cena. Quale sacrificio avrà compiuto? Non viene detto. Tuttavia, Platone ritiene che a parlare di certi argomenti si debba essere in pochi, lo dirà in un passo della Repubblica, proprio per non risvegliare nelle masse il terrore. Inoltre, il significato di certi argomenti lo si deve dire solo dopo un sacrificio. Citiamo il Capro espiatorio di René Girard in cui sono riportate le parole di Platone:

lettura attore

L'atteggiamento di Platone è particolarmente rilevante. In un passo della Repubblica questa volontà di cancellare la violenza mitologica è molto esplicita; si esercita, in modo peculiare, sul personaggio di Crono in un passo che si riallaccia direttamente all'analisi che ho appena conclusa: «'Quanto agli atti [...] di Crono e a quel che egli subì da parte del figlio, neanche se fosse la verità si dovrebbe, a parer mio, narrarli con una simile leggerezza a persone ingenue e sprovviste di giudizio, ma piuttosto tacerli del tutto; e se esistesse comunque un qualche obbligo di parlarne, bisognerebbe farlo usando le formule segrete dei Misteri, per un uditorio il più ristretto possibile, e dopo aver sacrificato non un porco ma qualche vittima immensa e difficilmente procurabile, di modo che al minor numero di persone accadesse di udire queste cose!'. 'Lo credo anch'io,' disse [Adimanto] 'simili racconti, questi almeno, sono molto scabrosi'».

L'elemento sacrificale, secondo l'antropologo e critico letterario francese René Girard, ancora vivente (parleremo del suo pensiero nel terzo incontro sulle invenzioni della guerra moderna), è l'elemento che consente di limitare la violenza nelle religioni arcaiche. Secondo Girard le religioni arcaiche incanalano la violenza verso una sola vittima. Ecco ciò che è pericoloso: la violenza. Perché la violenza può diventare elemento di distruzione della polis, tutti contro tutti, homo homini lupus, come dirà Hobbes. Di fronte all'indifferenziato, cioè alla crisi provocata da motivi interni o esterni, cioè naturali o sociali, come la peste, la carestia, la guerra, la comunità disgregandosi cerca le colpe del disastro. Se si rimpallano le accuse si rischia di estendere la lotta a tutti, per questo la cosa più semplice è dare la responsabilità a uno solo, il più debole, il capro espiatorio. Ecco l'invenzione e la scoperta delle religioni arcaiche. A ciò servivano un tempo, secondo Girard, la religione e le istituzioni, a incanalare la violenza, a ricomporre l'identità e ricostruire la comunità, solo dopo era possibile ricominciare a vivere normalmente. Il mito è allora il racconto che copre l'assassinio collettivo e trasforma le vittime in dei o eroi. Platone intuisce che nel mito e nella tragedia sono in gioco queste questioni. La ragione, allora, potrebbe essere la via per soluzioni meno violente. D'altronde, Socrate, protagonista spesso dei dialoghi platonici, sarà messo a morte nella città di Atene. Platone riterrà pertanto che anche fare filosofia è pericoloso. Di conseguenza è necessario che il filosofo si astenga dalla vita attiva ritirandosi nella contemplazione delle idee eterne.

Nel Simposio Erissimaco, un medico, propone a sei dei più prestigiosi abitanti di Atene di fare un discorso sull'amore. Siamo nel 416 a.C. Il primo a prendere la parola sarà Fedro. Eros, dirà Fedro, è tra gli dei più antichi, Esiodo dice che prima vi fu il Caos e la terra dall'ampio seno, sicura sede per tutti i viventi, e poi Eros. Dunque, essendo così antico Eros è la sorgente dei più grandi beni. Ma leggiamo alcuni passaggi del discorso di Fedro:

lettura attore

Ora, mi chiedo, quali sono questi sentimenti? La vergogna per le cattive azioni, l'attrazione per le azioni belle. Senza questo, nessuna città, nessun individuo potranno far mai nulla di grande e di buono. Così, io lo dichiaro, un uomo che ama, se sorpreso in flagrante a
commettere un'azione malvagia o a subire per vigliaccheria, senza difendersi, una grave offesa, soffrirà certamente se a scoprirlo saranno suo padre o i suoi amici o chiunque altro; ma soffrirà
molto di più se a scoprirlo sarà il suo amante. Ed è lo stesso per l'amato: è davanti al suo amante, noi lo sappiamo bene, che egli sentirà la più grande vergogna, quando sarà sorpreso a fare qualcosa
di cui vergognarsi. Se esistesse un mezzo per mettere insieme una città o un esercito fatti solo da amanti e dai loro amici, essi si darebbero certamente il miglior governo che ci sia: allontanerebbero
infatti da loro tutto ciò che è cattivo e rivaleggerebbero sulla via dell'onore. E se questi amanti combattessero l'uno di fianco all'altro potrebbero vincere, per così dire, il mondo intero, anche se
fossero soltanto un piccolo gruppo, perché sarebbero molto uniti tra loro. Infatti per un innamorato sarebbe più intollerabile abbandonare i ranghi o gettare le armi sotto gli occhi del suo amante che
sotto gli occhi del resto dell'esercito; preferirebbe piuttosto morire cento volte...

Meglio ancora: morire per l'altro. Soltanto gli amanti accettano questo, non solo gli uomini, ma anche le donne. La figlia di Pelia, Alcesti, ha dato ai Greci un esempio chiarissimo di ciò che dico.
Soltanto essa acconsentì a morire per il suo sposo, che pure aveva un padre e una madre. La sua figura si eleva così in alto su di loro per la forza nata dal suo amore da farli apparire estranei al loro
stesso figlio, senza altro legame con lui che il nome. Avendo agito in questo modo, il suo gesto è sembrato bellissimo, non solo agli uomini ma anche agli dèi. Essi concedono davvero a pochi il privilegio di richiamare in vita la loro anima dal fondo dell'Ade, una volta morti. Ebbere fra tanti eroi, autori delle più belle azioni, concessero questo privilegio proprio ad Alcesti ricordandosi del suo gesto che avevano tanto ammirato. A tal punto gli dèi onorano la dedizione e il coraggio al servizio dell'Eros. Al contrario essi mandarono via dall'Ade Orfeo, figlio di Eagro, senza ottenere nulla: gli mostrarono soltanto un'immagine della donna per la quale era venuto, senza
concedergliela. La sua anima, infatti, sembrava loro debole, perché altri non era che un suonatore di cetra; non aveva avuto il coraggio di morire, come Alcesti, per il suo amore, ma aveva cercato con
tutti i mezzi di penetrare da vivo nel regno dei morti. E' certamente per questa ragione che essi gli hanno inflitto questa punizione e hanno fatto in modo che morisse per mano delle donne. Non
hanno agito nello stesso modo con Achille, il figlio di Teti: l'hanno trattato con onore, aprendogli la via per le isole dei beati. Achille infatti, avvertito dalla madre che sarebbe morto se avesse ucciso
Ettore, e sarebbe invece tornato al suo paese finendo i suoi giorni da vecchio se non lo avesse fatto, scelse con coraggio di restare al fianco di Patroclo, il suo amante, vendicandolo: scelse non di
morire per salvarlo, perché era già stato ucciso, ma di seguirlo sulla via della morte. Così gli dèi, pieni di ammirazione, gli hanno tributato onori eccezionali, per aver posto così in alto il suo amante...

Ecco dunque, io lo dichiaro, l'Eros è tra gli dèi il più antico e il più degno, ha i maggiori titoli per guidare l'uomo sulla via della virtù e della felicità, sia in vita che nel regno del'aldilà".

Dopo Fedro prende la parola Pausania che divide l'espressione di Eros in due modi: più fisico e corporeo l'uno, più spirituale l'altro. Le azioni si caratterizzano per la loro bellezza, esse dipendono dal modo in cui sono compiute. Se l'azione si esegue con rettitudine sarà corretta, altrimenti sarà incivile. Ciò vale anche per l'amore, Eros non è sempre degno di elogio, lo è solo se porta ad amare bene. Per Fedro il tipo di azione che si attua è un riferimento per il giudizio. Di conseguenza dal tipo di azione si capirà il carattere dell'amante e quello dell'amato. Chi ama più il corpo che l'anima sarà ritenuto volgare, incostante, dotato di un amore che tende a estinguersi al venir meno della bellezza. Perciò è bene resistere alle lusinghe e non abbandonarsi subito ad Eros. Proprio a misurare l'unicità e la serietà del desiderio dell'amante. L'amante è colui che ama, l'amato invece è l'oggetto del desiderio. L'amore appartiene quasi a una forma educativa rivolta ai più giovani e dotati. L'uomo maturo ama il giovane al quale dedica le sue migliori capacità, come a costituire un buon esempio per la sua futura vita nella polis. Il criterio, quindi, per dar prova della propria rettitudine è di non lasciarsi abbassare alle lusinghe del denaro o del potere, esse non hanno la stessa stabilità dell'amicizia.

Erissimaco poi interviene sostenendo che non è stato abile fino in fondo Fedro, e lui come medico saprà precisare meglio ciò che caratterizza la salute e la malattia di Eros, cioè, dell'amore. L'amore può essere malato o sano. La medicina deve favorire la forze corporee sane e non quelle malate. Allora è padrone dell'arte d'amare chi sa operare i cambiamenti grazie ai quali si trasforma in amore sano quello malato. Gli elementi contrari si odiano e chi riesce a mantenerli in equilibrio è il miglior medico. L'armonia si raggiunge grazie alla consonanza tra queste qualità. L'arte moderna, compresa la musica, è diventata invece dissonante. La domanda che si pone è se sia possibile ancora l'assonanza, l'armonia, la bellezza. Dopo Auschwitz Adorno si chiede se la poesia sia ancora possibile, in un primo momento dirà di no, poi cambierà idea, ma comunque la bellezza non potrà essere più di riferimento alla ricerca artistica e poetica. Approfondiremo questo aspetto nell'ultimo incontro quando ci domanderemo: 'E' possibile la bellezza oggi? L'arte nel novecento.' Finito il discorso di Erissimaco prende la parola Aristofane che racconta il mito degli ermafroditi. Narra di quando ancora gli uomini e le donne erano uniti dando origine a tre generi: maschile rappresentato dal sole, femminile dalla terra e entrambi dalla luna. Questi ultimi erano attaccati e avevano un unico tronco e una unica testa, camminavano ruotando sulle quattro mani e le quattro gambe. Diventati arroganti per la loro potenza attaccarono anche gli dei. Giove a quel punto per renderli meno potenti li divise. Per questo gli uomini da allora cercano la loro metà, tentando di riformare il tutto da cui sono stati separati. Il desiderio di riunire il tutto si chiama amore. Che è poi la ricerca tra chi è più affine. Prosegue Agatone dimostrando come eros sia il più forte giacché chi ne è posseduto gli soccombe. Siccome tutti amano qualcuno, tutti ne sono sottoposti. Per ultimo tra i presenti prende la parola Socrate, poi arriverà e parlerà anche Alcibiade. Secondo Hannah Arendt la filosofia si caratterizza subito per lo scontro che si svolge tra il discepolo e il suo maestro, tra Platone e Socrate. L'anti filosofa vede subito il movimento che prende sin dall'inizio il pensiero, inclinando in una direzione che non riuscirà più a perdere. Platone mette in luce nei suoi testi il problema che i filosofi non sanno risolvere. Cioè, il pericolo che significa pensare. Platone è colpito dalla fine che fa Socrate condannato a morte con l'accusa di aver traviato la gioventù. La filosofia platonica è in fondo la risposta di Platone a questo sciagurato evento. Come possono i filosofi amare la filosofia senza correre il rischio di essere condannati a morte? Accadrà anche a Ipazia, a Cicerone, a Seneca, a Boezio, a Tommaso Moro, a Giordano Bruno, a Gramsci, a Gobetti, a Gentile, a Rosa Luxemburg. Dunque, è tanto pericoloso pensare che ne va della vita? Pensava addirittura di dedicarsi alla politica il giovane Platone, si ricrede vedendo poi ciò che capita al suo maestro. Hannah Arendt intuisce che lo scacco della filosofia inizia lì. Il fatto è che negli anni in cui il movimento nazista si stava strutturando per andare al potere, la giovane studiosa vede le categorie morali cambiare in modo rapido e indolore. Ciò che la colpisce in particolare è come i più moralisti passassero facilmente alla sponda nazista senza colpo ferire, e come il comandamento più importante fino a quel momento, non uccidere, da sempre ritenuto valido universalmente, di colpo in Germania si rovesciasse nel suo contrario, uccidi. Tale passaggio repentino mostrava come gli uomini potessero subire modificazioni radicali della morale e della coscienza senza battere ciglio. Quella che fino a quel momento era considerata una attività criminale ad un certo momento diventa normale. Il contrario avverrà nello stesso modo, quasi automatico, alla fine della guerra. Si rende anche conto, Hannah Arendt, che i più scettici, cioè coloro che non avevano particolari convinzioni, che non credevano a delle certezze, erano poi gli unici a non aderire alla nuova moralità. Cosa indica, si chiede la Arendt, la parola morale? La morale deriva dal greco ethos e seppure tutti le attribuiscano significati elevati in fondo non vuole dire altro che comportamento, costume, abitudine, consuetudine. Indica la rivoluzione dei precetti morali in brevissimo tempo e il suo rovesciamento alla fine della guerra che non può venire da lì l'argine per frenare il male. D'altro canto neanche i motivi religiosi avevano impedito l'impeto della marcia nazista. Non erano contati quasi niente. Addirittura la chiesa non si era opposta alle politiche razziali di Hitler. I papi Pio XI e Pio XII non si erano schierati in modo chiaro contro il nazismo. Tant'è che il movimento nazista vide aumentare la sua massa composta non solo da criminali ma soprattutto da pacifici cittadini, da coloro che in situazioni normali non avrebbero mai agito in modo illegale. Platone aveva compreso questo problema della caduta, secondo Hannah Arendt, e pertanto aveva parlato nella Repubblica del mito della caverna, dove gli uomini vedono solo ombre. Chi ne esce rimane accecato dalla luce, poi, finalmente, quando vede in modo chiaro il cielo delle idee lo contempla, ma se poi ritorna a raccontare agli altri quel che ha visto, intanto deve di nuovo riabituarsi all'oscurità, poi ciò che racconta lo mette contro tutti gli amici rimasti nella caverna. Perciò, secondo Hannah Arendt, in tutti i dialoghi platonici Socrate duella linguisticamente con i suoi interlocutori, infine quando si rende conto che non riesce a convincerli, indirizza la narrazione verso il mito. Se vi ricordate avevamo affrontato tale aspetto della scrittura di Platone, ne avevamo indicato il tentativo di riapertura del discorso filosofico che con la stringenza dei suoi concetti, con le sue definizioni, rischia di chiudere il discorso. Il mito allora rappresentava la chance della parola poetica di rimettere in gioco le questioni. Ma questa spiegazione ad Hannah Arendt non va bene, ritiene invece che Platone, proprio perché chi è rimasto nella caverna non è in grado di seguire l'impostazione concettuale, avverta la necessità di raccontare una bella favola, ad esempio, quella delle ricompense a seconda della vita che ciascuno ha condotto. Pertanto Platone già imposta il meccanismo delle punizioni e compensi che ruota intorno all'aldilà. Dunque, Platone si comporta diversamente da ciò che Socrate sosteneva con la sua filosofia: cioè, che non è possibile dire i contenuti della filosofia ma solo insegnare a pensare. Non cosa pensare ma come è l'obbiettivo di Socrate. Invece per Platone, dopo che Socrate è condannato a morte, non è più come ma cosa. Sia insegnare come sia cosa è troppo difficile, allora è necessario, per Platone, che ci sia un re filosofo a guidare lo Stato, questi con una serie di racconti fiabeschi può indicare le verità in modo più facile e accessibile a tutti. Successivamente Platone alla fiaba sostituirà le leggi cercando di farle passare per naturali. La filosofia Socratica si distingue dal platonismo proprio perché il suo intento è non insegnare cosa ma come pensare. A differenza di Platone, Socrate credeva che tutti possono pensare e, come anche Platone, che è meglio subire il male che farlo. Le due cose vanno insieme, perché nel secondo caso il rischio è, facendo il male, di perdere quell'interlocutore interiore che sdoppiandosi ci consente di riflettere. Se la giustizia è meglio dell'ingiustizia è uno degli argomenti che Socrate tratta senza convincere i suoi interlocutori. Per Socrate il comportamento da seguire non può essere dettato dal dominio che induce all'ingiustizia, da seguire è invece solo il modo giusto. Il criminale, ad esempio, o il tiranno, devono confrontarsi con la giustizia e confessare se vogliono ritornare ad essere uomini. Pertanto se non confessano vivranno una vita solitaria, perché perderanno la capacità di dialogo interiore rimanendo assolutamente soli. Per questa ragione Socrate riporta le parole di Diotima, la levatrice, colei che aiuta a nascere, per dire alla fine chi sia veramente Eros. Sentiamo le parole di Diotima:

lettura attore

Allora, disse, gli uomini fecondi nel corpo pensano soprattutto alle donne: il loro modo d'amare è tutto nel cercare di generare dei figli e così assicurare alla loro persona l'immortalità - questo essi
credono - e la memoria di sé e la felicità per tutto il tempo a venire. Altre persone, però, sono feconde nell'anima: c'è infatti una fecondità propria del nostro spirito che a volte è superiore a
quella del corpo. Ecco qual è: è la forza creativa della saggezza e delle altre virtù in cui il nostro spirito eccelle. Questa fecondità eccelle nei poeti e in tutte le altre persone che per il loro mestiere
devono usare la creatività. Ma dove la saggezza tocca le vette più alte e più belle è nell'ordinamento e nell'amministrazione della città attraverso la prudenza e la giustizia. Quando un uomo fecondo nel
suo animo, simile agli dei, coltiva sin da giovane il proprio spirito, e divenuto adulto sente il desiderio di mettere a frutto le sue capacità, allora cerca in ogni modo la bellezza - perché mai potrà
essere creativo nella bruttezza. I suoi sentimenti si dirigono allora verso le cose belle piuttosto che verso le brutte, proprio perché la sua anima è feconda. Se incontra un'anima bella e generosa e
sensibile, allora le dà tutto il suo cuore: davanti a lei saprà trovare le parole giuste per esprimere la sua forza interiore, per esaltare i doveri e le azioni di un uomo che vale: così potrà guidarla
educandola. E secondo me, attraverso il contatto con la bellezza dell'anima dell'altro, con la sua costante presenza, potrà venire alla luce quanto di meglio portava in sé da tempo: in questo senso la
sua anima crea, genera nuova vita. Che sia presente o assente, il suo pensiero va sempre all'altro che ama e così nutre ciò che nel rapporto con lui in sé ha generato. Tra gli esseri di questa natura si crea così una comunione più intima di quella che si ha con una donna quando si hanno dei bambini, un affetto più solido. Son più belle, in effetti, ed assicurano meglio l'immortalità, le creature che
nascono dalla loro unione. Chiunque vorrà senza dubbio mettere al mondo simili creature piuttosto che bambini, se si pensa ad Omero, ad Esiodo e agli altri grandi poeti. Si osserverà con invidia
quale discendenza essi hanno lasciato, capace di assicurar loro l'immortalità della gloria e della memoria, perché anche i figli spirituali di quei grandi sono immortali. O ancora, se vuoi - disse -,
puoi pensare quale eredità Licurgo abbia lasciato agli Spartani per la salvezza della loro città e, si può dire, della Grecia intera. Per le stesse ragioni voi onorate Solone, il padre delle vostre leggi, e in
tutti i paesi - greci e barbari - sono onorati gli uomini che hanno prodotto grandi opere, mettendo a frutto le più alte capacità del loro spirito. In onore di quello che queste persone hanno saputo creare
si sono già innalzati molti templi, mentre questo non è mai accaduto fino ad oggi, per i figli nati dall'amore di un uomo e di una donna.

Socrate riportando il discorso di Diotima indica Eros come artefice dell'amore corporeo e, sopratutto, spirituale. Eros contribuisce a far nascere così il pensiero, e con esso lo spazio politico, il luogo dove agire per affermare la giustizia dentro la polis. Che poi è l'unica chance, secondo Hannah Arendt, che hanno gli uomini per evitare il male assoluto, quello che si presenta nella storia quando la crisi si estende e il dominio della guerra diventa totale, mondiale. Il fatto di pensare autonomamente e non attraverso la morale comune è l'unica garanzia di non essere asserviti al gregge. Solo questa indipendenza di pensiero può fondare, secondo Socrate ma anche secondo la Arendt, una convivenza civile. Si tratta, quindi, di fecondare l'anima, di alimentare prima il dialogo interiore tra sé e sé e poi tra sé e gli altri. L'ingiustizia per questo è meglio subirla che farla, perché chi agisce ingiustamente perde la possibilità di pensare. Come è possibile dialogare tra sé e sé se si è assassini? Che credibilità avrà il dialogo con se stessi? Nessuna. Chiusa questa possibilità si esclude dalla vita la condizione necessaria per pensare, per creare, che sono l'unico modo per enunciare il senso e la giustizia. Ecco, Eros, l'amore, è il dio che contribuisce a donare all'uomo queste prerogative. Questo è in gioco nel Simposio, da un lato la doxa, le opinioni, riportate dai diversi interlocutori, dall'altro Socrate/Diotima che indicano chi veramente sia Eros. Ma sono in gioco anche due modi di concepire il mondo. Il primo, platonico, che contro l'ingiustizia vede come soluzione un potere gerarchizzato con a capo il re filosofo, il secondo, socratico, che crede in un paritario confronto tra uomini abituati a pensare. Platone vuole il re filosofo alla guida di uomini che giudica ciechi, Socrate, al contrario, propone agli uomini di imparare a pensare, come insegna Diotima, la levatrice, facendo nascere pensieri e azioni, cioè, politiche sempre nuove. Proprio ciò che le tirannie limitatamente all'ambito pubblico, ciò che pensi nella tua stanza al tiranno non interessa, e i totalitarismi senza più alcun limite, gli interessa anche ciò che pensi in casa tua, vogliono impedire.  

Franco Insalaco

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