Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


martedì 6 dicembre 2011

XXIX incontro Giardino Filosofico

Negli incontri precedenti abbiamo seguito Foucault delineare gli strumenti teorici tramite i quali avanza una sorta di coscienza del governare. La governametalità è il modo in cui la ragione teorizza sui modi di governare, è la ratio del governo. Non si tratta di studiare i modi effettivi con cui si è governato, ma di vedere come si è formata una sorta di coscienza del governare. Cioè di cogliere l'istanza di riflessione intorno e nella pratica di governo. L'oggetto dello studio è la riflessione e la razionalizzazione di questa pratica. Proprio per questo motivo Foucault propone di considerare gli universali una finzione, per non dare per scontate nozioni come sovrano, popolo, suddito. Fare, dunque, l'inverso dell'idealismo significa cercare come la pratica governamentale riflette su di sé, quale razionalità cerca di darsi, vedere in che modo si costituisce il suo senso.
Dunque, non partire dagli universali e dalla loro griglia di lettura per dedurne i fenomeni concreti, ma dalle pratiche risalire ricostruendo quelle griglie per vedere come si sono costituite. Abbiamo già visto che la ragione di Stato è una pratica che serve a calcolare il modo in cui gestire ciò che già c'è e che allo stesso tempo è sempre da costituire, fondare, ampliare, lo Stato. Perciò la modalità di governare deve dare le regole e razionalizzare il dover essere dello Stato. Il dover fare del governo deve allinearsi al dover essere dello Stato. La ratio di governo deve calcolare, sviluppare, riflettere, ragionare sul modo di portare alla massima pienezza e potenza lo Stato così come esso è dato. Che cosa significa governare? Secondo la ragion di Stato fare in modo che esso sia saldo e permanente, ricco e forte di fronte a tutto ciò che lo potrebbe distruggere. Ora lo Stato non si preoccupa più della salvezza dei sudditi e neanche di quella del sovrano, il sovrano non è più un padre di famiglia, non siamo più nell'impero, o almeno non lo siamo più in questa nuova ratio governamentale, lo Stato è diventato un elemento plurimo, discontinuo, autonomo. Mercantilismo, Stato di polizia, bilancia europea costituiscono il corpo concreto dell'arte di governare organizzata intorno alla nuova ragion di Stato. Questa era la razionalità di Stato che si andava formando a metà del '600. Lo Stato perciò non è quel mostro freddo che a un certo punto emerge, il Leviatano di Hobbes, a corrompere la storia, è, invece, il correlato di un certo modo di governare. Il problema, allora, diventa sapere come questo modo di governare si sviluppa, come si espande o restringe, insomma, quale è la sua storia. Non è lo Stato un gendarme che si forma e mette fuori gioco i personaggi della storia. Non è neanche più suo obiettivo avere una posizione nell'impero predominante confronto alle teofanie, theos e phainein, cioè alla manifestazioni sensibili della divinità, quando alla fine nella natura delle cose religiose giunge l'intervento divino, il giudizio universale. Ora lo Stato è giunto a una posizione di equilibrio, insieme ad altri Stati compete sul mercato in un rapporto di forze senza orizzonte finale. Perciò ogni Stato avrà interessi suoi propri da difendere senza una idea salvifica e unificatrice. Ogni Stato limiterà i propri obiettivi assicurandosi l'indipendenza. Questo, lo abbiamo visto, inizia a svilupparsi con il trattato di Westfalia, cioè, con la politica diplomatico militare e l'equilibrio nella concorrenza. Allo stesso tempo la polizia si incarica di seguire e farsi carico di tutti i risvolti della vita degli individui. In questo senso l'oggetto della polizia è quasi infinito. Ciò vuole dire che come potenza indipendente di fronte ad altre potenze chi governa secondo la ragion di Stato deve avere obiettivi limitati. Al contrario, dovendo gestire una res pubblica che regola il comportamento dei sudditi chi governa ha un obiettivo illimitato. In questa condizione si sviluppa la concorrenza con gli altri stati. Il diritto sarà il principio che limita l'applicazione di questa governamentalità. Mentre nel medioevo la giurisdizione era stata utilizzata come moltiplicatore della potenza del re contro i principi che scalpitavano per avere più potere, nel XVI e XVII secolo il diritto assumerà il compito di limitare l'estensione indefinita di una ragion di Stato che prende corpo con lo Stato di polizia. Il diritto non moltiplicherà più il potere del re ma lo sottrarrà. Così nel XVI e XVII secolo una serie di battaglie politiche, di problemi e di polemiche investiranno le leggi fondamentali del regno. I giuristi contrapporranno queste leggi alla ragion di Stato. Nessuna ragion di Stato, o pratica di governo, possono rimetterle in discussione. Pertanto queste leggi precedono lo Stato, poiché lo costituiscono, dunque, per quanto assoluto sia il potere del re esso non deve intaccare le leggi fondamentali, un poco come la nostra costituzione. Il principio di tali leggi appare esterno alla ragion di Stato, come principio della sua limitazione. Inoltre c'è anche la teoria del diritto o dei diritti naturali ai quali nessuno deve trasgredire. Altra possibilità è la teoria del contratto stipulato tra individui per nominare il sovrano. Contratto che prevede una serie di clausole a cui anche il sovrano deve sottostare, più in Inghilterra che in Francia, si sviluppa così una teoria sull'accordo tra il sovrano e i sudditi a costituire lo Stato, su questa base il sovrano si impegna a fare o non fare certe cose, Hobbes e Locke ne saranno attivi sostenitori. Questa è la serie teorico giuridica su cui si gioca l'autonomia della ragion di Stato. Insomma, la vivacità di queste discussioni, i problemi e lo sviluppo delle teorie cui dettero seguito impostarono i temi inerenti al diritto pubblico. Diritto che si è sempre visto come l'arma dell'opposizione con cui fare resistenza alla sovranità della ragion di Stato. Dunque, per quanto la ragion di Stato come Stato di polizia avesse uno spazio di azione illimitato in quel tempo, c'era un mezzo attraverso cui limitarla, questa limitazione era costituita dalla ragione giuridica. Per i giuristi la ragion di Stato è ciò che eccede la sfera del diritto. Le condizioni che la ragione giuridica pone provengono dal diritto naturale, cioè, da Dio, e comunque sono posti una volta per tutte fin dall'origine, provengono dalla storia remota, in ogni caso sono estrinseci alla ragion di Stato, perciò ne definiscono i limiti e agiscono quando sono varcati, allora è possibile dichiarare l'illegittimità della ragion di Stato. Cosa succede dalla metà del XVIII secolo? Che la limitazione estrinseca della ragion di Stato diviene intrinseca, questo cambiamento determina la maniera in cui viene concepito il governo fino al nostro tempo, la ragione di governo moderna. Walpole diceva: 'Quieta non muovere', non toccare ciò che se ne sta tranquillo. Walpole era lord tesoriere del regno unito, nel 1720 dopo la caduta del banchiere Inglese operativo in Francia, Law, subito dopo le rovine che provocò all'intero Stato francese, e poi durante i deliri finanziari che in Gran Bretagna provocarono le così dette bolle di sapone, Walpole espletò la sua mansione rimanendo freddamente reattivo. Egli ottenne la direzione generale delle finanze, migliorò il credito tramite opportuni accordi, stabilì che la grandezza della Gran Bretagna era fondata soprattutto sul commercio, che si dovevano esportare manifatture a partire dalle importazioni di materie gregge dalle colonie americane e perciò propose di costruire grandi navi. Il governo accettò le sue proposte e esentò molti articoli dai dazi doganali. L'opera della sua vita fece accrescere il dominio coloniale dell'Inghilterra e ne fece la prima potenza mondiale. Egli seppellì tutte le controversie sotto l'obiettivo di rendere grande e potente il paese a qualsiasi costo. Così la corruzione divenne il modo operativo normale della politica. l'Irlanda pagò il tributo massimo a questo dominio inflessibile che Walpole impose alle colonie, dove pochi inglesi arricchivano alle spalle di una popolazione piegata dalla nuova ragion di Stato. Tuttavia, dietro alla grande attività che tramite il commercio impose il suo dominio al mondo cosa significa la frase di Walpole? In che modo si determina questa nuova governamentalità che orienta il governo verso la sua autolimitazione? Una limitazione di fatto e non più di diritto. Una sorta di regola generale di fronte alla quale la governamentalità si deve fermare, deve arretrare. Non perché altrimenti rischi l'illegittimità che la revoca. Questo principio non si deve cercare al suo esterno ma è interno alla stessa governamentalità. Tale limitazione è uno dei mezzi, anzi il mezzo, per raggiungere gli obiettivi. La ragione di governo, in questo caso, non ha un potere esterno a limitarla, niente affatto, deve solo calcolare per proprio conto e al suo interno il limite dell'azione più adatti al raggiungimento degli obiettivi che si prefigge. Per questo è bene sapere ciò che bisogna fare e ciò che conviene non fare. Ma questa separazione non sarà tracciata nei soggetti subordinati alla azione di governo. Non separa i soggetti come da una parte liberi di fare e dall'altra sottoposti a dei limiti. Non divide i soggetti come se da una parte fossero inattingibili una volta per tutte, e da un altra sottomessi all'azione del governo. Non è problema di stabilire dove siano posti i diritti fondamentali, e in che modo essi separino l'ambito della governamentalità possibile dalle libertà fondamentali. La divisione sarà posta tra due serie di cose. In una lista che Bentham ha stilato si distingue tra agenda e non agenda, cose da fare e cose da non fare. Limitazione che non divide i soggetti ma le cose da fare. Di questa lista non saranno i governanti a poter decidere in piena sovranità e in piena ragione. Non è governare una attività imposta sui governanti ma una pratica che fissa la definizione e la posizione rispettiva dei governati e governanti, gli uni di fronte agli altri, con una regolazione interna che non sarà imposta né da una parte né dall'altra. In ogni caso non è imposta in maniera definitiva, assoluta e totale, ma è una transazione mediante reciproci conflitti, accordi, discussioni. Peripezie necessarie per definire cosa sia da fare e cosa no. Il principio di diritto metteva il sovrano di fronte a un limite. Ora la questione non è più legata al diritto ma ad un compromesso che ruota intorno al fatto che il governo deve non governare troppo. Sarà punito non più l'abuso di governo ma l'eccesso. Che cosa fondamentalmente alla metà del XVIII secolo contribuirà a consolidare tale cambiamento nel modo di concepire il governo? L'economia politica. Come lo fa? Il fatto è che l'economia politica nasce contrapposta e interna alla ragion di Stato, essa è delegata a studiare come lo Stato possa arricchire ponendo in equilibrio la popolazione con i mezzi di sussistenza. Fa questo tenendo d'occhio gli equilibri di quella intelaiatura appena abbozzata che costituisce l'Europa. Riprende quindi gli stessi obiettivi che ragion di Stato, Stato di polizia, mercantilismo e bilancia europea avevano cercato di conseguire. In prima istanza l'economia politica si installerà proprio all'interno di quella ragione di governo. Quindi è, diciamo così, embedded al governo, non esterna come la tradizione giuridica. Non agisce esternamente, come avrebbe auspicato il pensiero giuridico, non ha una propria autonomia politica. Se ne concluderà la necessità di un dispotismo totale. Infatti i fisiocrati definiscono illimitato il campo di azione del potere politico, privo di contrappesi esterni né confini fissati da altro che dal potere stesso. Foucault in Nascita della Biopolitica, edito da Feltrinelli scrive: 'Il dispotismo non è altro che un governo economico, tuttavia non rinchiuso, circoscritto entro i suoi confini da nient'altro se non da una economia che ha esso stesso stabilito e che controlla totalmente.' In questo senso l'economia politica è allineata a quella ragion di Stato che conferiva al monarca un potere assoluto. La natura dell'economia politica non sta nell'interrogarsi sulla condizione di diritto dell'azione di governo, se sia legittima o meno, non guarda alla sua origine ma agli effetti. Non si chiede se al sovrano sia legittimo chiedere le imposte ma solo cosa accade quando si chiedono. Non ha rilievo che sia o no legittimo. Insomma, è assolutamente pragmatica. La questione economica è sempre posta all'interno del campo della pratica di governo e in funzione dei suoi effetti reali, non in funzione di ciò che la potrebbe fondare di diritto. Così l'economia politica piuttosto che scoprire un diritto naturale a circoscrivere l'azione di governo scopre una certa naturalità all'interno della quale tale azione si pone. C'è una natura specifica degli oggetti della azione di governo, questa natura specifica è l'obbiettivo che l'economia politica studia. La stessa nozione di natura sarà rovesciata con l'economia politica. La natura non è infatti un ambito riservato e originario sul quale l'azione di governo non si deve esercitare, invece è qualcosa che sottende, attraversa e rientra nell'esercizio stesso della governamentalità. Si potrebbe dire che è l'ipoderma indispensabile. L'altra faccia di qualcosa di visibile che è l'azione di governo stessa, il suo risvolto, il suo elemento soggiacente. Questo è l'oggetto di studio dell'economia politica. Non è lo sfondo ma il correlato costante dell'azione di governo. Così, per esempio, gli economisti spiegheranno come una legge naturale il fatto che la popolazione si sposti verso i salari più alti, o che una tariffa doganale applicata a beni di prima necessità provochi fatalmente una carestia. Scrive Foucault sempre in Nascita della Biopolitica: "Infine, l'ultimo punto che spiega come e perché l'economia politica abbia potuto costituire la forma originaria di questa nuova ratio di govemo autolimitativa, è costituito dal fatto che, se esiste una natura propria della governamentalità, dei suoi oggetti e delle sue operazioni, ne consegue che la pratica di governo potrà fare ciò che deve fare solo a condizione di rispettare tale natura. Se rovescia questa natura, se non ne tiene conto o se si oppone alle leggi che sono state fissate dalla naturalità degli oggetti che manipola, subirà immediatamente delle conseguenze negative. D'ora in poi, in altri termini, sarà il successo o il fallimento. A costituire il criterio dell'azione di governo, non più la legittimità o l’illegittimità. Il successo, dunque, prenderà il posto della [legittimità]. Incontriamo qui il problema della filosofia utilitarista, che in seguito bisognerà affrontare. Vedrete allora come una filosofia utilitarista potrà innestarsi direttamente sui nuovi problemi della governamentalità. Ma per ora non ci interessa; torneremo più avanti sull'argomento. Il successo o il fallimento si sostituisce dunque alla contrapposizione legittimità/illegittimità. Ma c'è di più. Che cosa farà sì che un governo sconvolga, a dispetto dei suoi stessi obiettivi, la naturalità propria degli oggetti che manipola e delle operazioni che compie? Che cosa farà si che esso violi la natura, nonostante aspiri al successo'? La violenza, l’eccesso e l’abuso, forse, ma al fondo di questi eccessi, violenze e abusi, in gioco non ci sarà soltanto ed essenzialmente la malvagità del principe. Quello che è davvero in questione e che spiega tutto è il fatto che il governo, nel momento stesso in cui viola le leggi di natura, molto semplicemente le misconosce. E le misconosce perché ne ignora
l'esistenza, i meccanismi e gli effetti. In altri termini, i governi possono ingannarsi. Il male peggiore per un governo, ciò che lo rende un governo cattivo, non è tanto il fatto che il principe sia malvagio, ma che sia ignorante. In breve, entrano simultaneamente nell’arte di governare, e per mezzo dell'economia politica, innanzitutto la possibilità di un’autolimitazione, ovvero il fatto che l'azione di governo si limiti da sé in funzione della natura di ciò che essa fa e di ciò su cui verte, [e secondariamente, la questione della verità]. Possibilità di limitazione e questione
della verità sono introdotte entrambe nella ragione di governo per mezzo dell’economia politica.
Ma direte che non è certo la prima volta che si pongono la questione della verità e quella dell'autolimitazione della pratica di governo. In definitiva, che cosa si intendeva tradizionalmente per saggezza del principe? Era qualcosa che gli faceva dire: conosco troppo bene le leggi di Dio, conosco troppo bene la debolezza umana e i miei stessi limiti, per non circoscrivere il mio potere e per non rispettare il diritto dei miei sudditi. Ma si vede bene che il rapporto tra principio di verità e principio di autolimitazione è completamente diverso nella saggezza del principe e in ciò che ora sta cominciando a emergere, ovvero una pratica di governo che si preoccupa di sapere quali saranno, per gli oggetti che tratta e manipola, le conseguenze naturali di ciò che intraprende. I consiglieri che un tempo fissavano prudenti dei limiti di saggezza alla presunzione del principe non hanno più nulla a che vedere con questi esperti economici che ora cominciano a comparire, e che invece avranno il compito di dire a un governo quali sono i meccanismi naturali delle cose che manipola." Insomma, se prima ci si domanda se si governa in modo appropriato relativamente ai diritti sovrani, ai diritti feudali, alla salvaguardia dei consumi, alle procedure per arricchire il tesoro, alle tecniche intese a impedire le rivolte di alcune categorie di sudditi, ora ci si chiede se si governa in modo sufficiente, né troppo né poco, cioè un livello fissato dalla natura delle cose. A questo nuovo regime la risposta viene dall'economia politica che indica la misura studiando quell'aspetto invisibile dell'ipoderma da cui trae le sue verità. La posta in gioco nel concetto di governamentalità, come nella follia, nella delinquenza, nella sessualità, nella malattia non è tanto il fatto che non esistono perché sono errori, illusioni, piuttosto è il modo in cui un certo regime di verità ha fatto sì che qualcosa che non esisteva, se non sotto il profilo ontologico almeno sotto quello espistemologico, sia potuto diventare qualcosa. Non è un illusione poiché un insieme di pratiche reali ha istituito e inciso imperiosamente nel reale i suoi effetti. Somiglia molto quanto dice Foucault al concetto di performatività di Austin, come fare cose con le parole. Si tratta in tutti questi casi, quindi, soprattutto per la governamentalità, di capire in che modo l'accoppiamento tra le pratiche e i saperi/poteri, il loro regime di verità, imprima nel reale ciò che non esiste legittimandolo alla distinzione tra vero e falso. Walpole dice: 'Quieta non muovere'. Le Gendre, un grande commerciante, a Colbert, un grande politico, alla domanda, 'Cosa possiamo fare per voi?', risponde così: 'Cosa possiamo fare? Lasciarci fare.' Ecco il principio fondamentale che ogni governo deve rispettare in ambito economico. Questo è il neoliberismo. Cercheremo di vedere come tutto questo regime di verità che emerge sia applicato alla popolazione. A partire da qui, alla metà del XVIII secolo, si inizia a formare il concetto di biopolitica; verità economica, veridizione del mercato e limitazione della governamentalità mediante il calcolo dell'utilità, sono gli elementi su cui si basa. A queste basi si innesta un aspetto del diritto che viene formulato nei termini degli studiosi di economia politica, vedi Beccaria, Smith, ma anche Bentham, che erano tutti giuristi. Il fatto è che porre la libertà di mercato significa mettere in questione l'autorità dell'esercizio pubblico. Cosa deve fare e non fare il governo? Due saranno le risposte che dividono il da fare dal non fare. La prima risposta è quella rivoluzionaria, i giuristi con la rivoluzione francese pongono alcuni diritti inalienabili delle persone che non possono essere lesi, l'altra via, quella inglese, guarda più all'utilità. Il governo deve fare ciò che è utile. L'utilitarismo, lungi dall'essere una filosofia o una ideologia, diviene una tecnologia di governo che pone limiti, come faceva il diritto, alla ragion di Stato cercando di sostituirsi al diritto. Così radicale prima indicava una limitazione dovuta ad un dritto originario, oggi invece in base all'utilità. Quindi abbiamo due vie, quella rivoluzionaria e quella radicale. In quella rivoluzionaria il diritto è percepito come una volontà collettiva, si sviluppa un sistema di volontà-legge in cui è definita la parte di diritto che gli individui hanno deciso di cedere e la parte che invece vogliono conservare. Nell'altra, quella radicale, viene concepita la sfera del diritto come la sfera di intervento decisa di volta in volta con una transazione basata sull'utilità che divide la sfera della potenza pubblica dalla sfera di indipendenza degli individui. Nel primo caso ogni individuo detiene originariamente una determinata libertà di cui potrà cedere o meno una parte, nel secondo la libertà sarà vista semplicemente come sfera di indipendenza dei governati dai governanti. Due modalità differenti di concepire la libertà, la prima a partire dai diritti dell'uomo, la seconda come indipendenza dai governanti. Due strade per concepire il diritto, due modi per limitare l'azione di governo, due modi di intendere la libertà. Questa ambiguità è costitutiva del liberalismo europeo del XIX e XX secolo. L'eterogeneità non è un principio di divisione, di separazione, ma è invece integrabile in fenomeni che hanno incoerente espressione. Questo è il motivo per cui per Foucault la logica dialettica non può esprimere in modo adeguato lo stato delle cose. La dialettica mette in gioco cose differenti all'interno di un ambito omogeneo, ma nel caso suddetto non c'è nulla di omogeneo. In realtà la loro integrazione avviene non dialetticamente ma strategicamente perché indica le connessioni tra termini disparati che rimangono tali. Vedremo allora in che modo e con quali strategie si è riusciti a coniugare l'assiomatica dei diritti dell'uomo al calcolo utilitaristico dell'indipendenza dei governati. Ad esempio, se guardiamo alla proprietà vederemo come uno è regredito e l'altro è avanzato in modo determinante, cioè la posizione radicale. Questa tendenza sarà la via che caratterizza la storia del liberalismo europeo e la storia della potenza pubblica in Occidente. Il problema dell'utilità, insomma, sempre più si sovrappone a tutti i problemi tradizionali del diritto diventando l'unico criterio di elaborazione dei limiti del potere pubblico. Sempre in Nascita della Biopolitica troviamo: "A partire da ciò, vorrei allora fare un’osservazione. Parlando del mercato, abbiamo osservato poco fa che uno dei punti di ancoraggio della nuova ragione di governo era il mercato, in quanto meccanismo degli scambi e luoghi di veridizione per ciò che concerne il rapporto tra valore e prezzo. Ora troviamo un secondo punto di ancoraggio della nuova ragione di governo, costituito dal formarsi della potenza pubblica, e dalla misura dei suoi interventi calibrati in base al principio di utilità. Scambio dal lato del mercato, utilità dal lato dell’autorità pubblica. Valore di scambio e veridizione spontanea dei processi economici, misure di utilità e giurisdizione interna degli atti della potenza pubblica. Scambio per le ricchezze, utilità per la potenza pubblica: ecco in che modo la ragione di governo sviluppa i principi fondamentali della sua autolimitazione. Scambio da un lato, utilità dall'altro: è evidente che per tenere insieme il tutto, volendo cercare una categoria generale per pensare l'insieme — tanto lo scambio, che va rispettato nel mercato, poiché il mercato è veridizione, quanto l'utilità per limitare la potenza pubblica, che non dev’essere esercitata se non là dove essa risulta utile, per i suoi effetti positivi ed efficaci —, ebbene, questa categoria generale sarà per forza l'interesse, che è sia principio di scambio sia criterio di utilità. La ragione di governo, nella sua forma moderna — definita all’inizio del XVIII secolo e caratterizzata, fondamentalmente, dalla ricerca del proprio principio di autolimitazione —, è una ragione che funziona in base all’interesse. Solo che non si tratta più, ovviamente, dell’interesse di uno Stato interamente riferito a se stesso, che mira esclusivamente alla propria crescita, alla propria ricchezza, alla propria popolazione, alla propria potenza, come avveniva con la vecchia ragion di Stato. L'interesse, al cui principio la ragione di governo deve ora obbedire, è costituita da un insieme di interessi, da un gioco complesso fra gli interessi individuali e quelli collettivi, fra utilità sociale e profitto economico, fra equilibrio del mercato e regime della potenza pubblica, una complessa interazione tra diritti fondamentali e indipendenza dei governati. Il governo, per lo meno quello che si esercita all'interno di questa nuova ragione di governo, è diventato qualcosa che manipola degli interessi." Questo nuovo modo di concepire la sovranità è evidente in relazione alle pene. Se pensiamo a 'Sorvegliare e punire', una delle opere più note di Foucault, vediamo come la pena era direttamente erogata dal principe il quale era il vero colpito dal fuorilegge nella sua sovranità, con Beccaria le pene diventano dolci non perché sia cambiata la sensibilità collettiva, è cambiato il rapporto con la sovranità, si è frapposta la pellicola fenomenica degli interessi, la sola cosa su cui il governo può far presa. Di colpo la pena va calcolata in funzione degli interessi della parte lesa, della riparazione dei danni, dei costi legati alla punizione, dell'efficacia e del recupero del delinquente. Ci si chiede cosa si deve punire? Che interesse nel farlo? Si deve esercitare il supplizio o la rieducazione? Quanto costerà l'uno e l'altro? La pellicola fenomenica dell'interesse diviene l'unica superficie di intervento del governo. Il vero valore delle cose sta per il liberalismo nello scambio. Quale valore e utilità può avere il governo in queste condizioni? Il problema è se tutte le forme di governo che si oppongono al liberalismo possano effettivamente sfuggire alla questione dell'utilità di governo. Altro punto fondamentale che cambia nella governamentalità che stiamo cercando di comprendere è il passaggio che dai mercantilisti avviene con i fisiocrati. Il problema che un paese possa diventare preponderante sugli altri al punto da dominarli è la questione che viene posta nel trattato di Wesfalia, il mercantilismo in coerenza con quel trattato pensa a un mondo in cui le ricchezze sono fisse, e chi si arricchisce di più lo fa a scapito di altri, perciò è necessaria la bilancia europea, proprio a limitare questi squilibri. Ma nella nuova concezione in cui il mercato è l'ago di tutto, solo lasciando il prezzo libero di variare si raggiungerà l'interesse del venditore, che lucrerà al meglio, e dell'acquirente che otterrà il prezzo più basso. Il gioco non è più a somma zero, come nel mercantilismo. Ora tutti si possono arricchire. Allora la ricchezza del mio vicino è importante per la mia stessa possibilità di ricchezza. Più è ricco più prodotti potrà acquistare. Non mi conviene più arricchirmi impoverendo lui. Dunque, o tutta l'Europa e ricca o è tutta povera. Non ci sono più torte da spartire. Entriamo nell'epoca dell'arricchimento indefinito. Si delinea l'idea di un Europa che sia in grado di arricchirsi collettivamente, con un progresso economico illimitato, che sfrutti la concorrenza tra gli stati. Gli equilibri europei come concepiti finora con questa nuova visione spariscono. Non è più a somma zero il gioco della concorrenza dopo Adam Smith. Contemporaneamente avanza l'idea che è necessario ampliare il più possibile il mercato. Il mondo intero è chiamato a raccolta intorno all'Europa per scambiare i prodotti e diventare il suo luogo di scambio. La posta in gioco ora non è più finita, i giocatori sono gli stati europei e la posta è il mondo. Questa nuova forma di razionalità all'inizio del '900 viene posta al centro delle analisi di Max Weber che vede come gli uomini non sono più in grado di agire spontaneamente, il calcolo li guida sempre, in ogni occasione, la nuova ratio, incuneata tra sentire, volontà e ragione sottopone al suo dominio ogni decisione. Non si può dire che così l'uomo decida e usi veramente la ragione, che è lo spazio libero della nostra mente, dell'intelletto. Invece così ogni decisione è delegata al momento matematico, al calcolo, cioè è come se fosse già presa. Il calcolo non porta da altre parti che al suo risultato. La ragione, elemento che determina nell'uomo la libertà di decidere, viene ridotta ad un unico risultato, quello calcolato, una ragione asfittica e ridottissima si sostituisce alla libertà di pensiero. Per questo, forse, da Kant a Adam Smith, ai fisiocrati, fino ai giuristi del XVIII secolo tutti credono che questa visione planetaria dello scambio e del libero mercato porterà alla pace eterna, proprio mentre si sta per aprire la stagione più guerreggiata e violenta della storia umana. La cosa incredibile è che a questa ragione che non è libera si dia proprio il nome di liberalismo. 


Franco Insalaco

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