Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


martedì 24 aprile 2012

22/04/2012. XXXII incontro. Il pensiero femminile. (Il testo è parziale perché la fine dell'incontro è rimandata alla prossima volta, è comunque autonomo e già completo).

Vi sembrerà un poco radicale dire che le donne sono una rappresentazione dell'uomo e oltre questo nulla, eppure è il leitmotiv sostenuto non solo dal filosofo Manlio Sgalambro, più sotto citato nel testo Riscoprire la mascolinità all'interno del Blog, ma anche dalle autrici di cui seguiremo il pensiero. 
Non certo per scandalizzare o impressionare ma per porre al centro la questione apicale. Cioè, la donna a causa dei condizionamenti che ha subito non ha avuto alcuna chance di autonomia confronto al pensiero maschile. Tali condizionamenti derivano da strutture del pensiero sviluppate nella loro massima espressione dal pensiero filosofico, religioso e ultimamente psicoanalitico. Così, per una certa area del pensiero femminista si tratta di proseguire l'opera di decostruzione iniziata da alcuni filosofi del Novecento. Gli autori di riferimento per questa area del femminismo sono in particolare i francesi Derrida, Foucault e Deleuze. Il loro modo di decostruire la filosofia tradizionale è ripreso da alcune filosofe che lo utilizzano a volte anche in modo più radicale. Il loro compito è così quello di decostruire il modello razionale e religioso che da Platone ad Aristotele, da Plotino a Cartesio via via fino all'attualità ha imbrigliato la cultura occidentale. Cultura fallogocentrica cioè fallocentrica e logocentrica, che da secoli pone il maschio bianco europeo come unico soggetto del discorso. Oggi inizieremo a vedere gli esiti della decostruzione fatta dalla filosofa francese Luce Irigaray. In Francia un'altra pensatrice formidabile aveva scritto nel dopoguerra un libro intitolato: 'Il secondo sesso. Donne non si nasce si diventa.' Cosa voleva dire Simone de Beauvoire con questo titolo? Due cose. La prima è che il sesso femminile viene dopo quello maschile, è quindi secondo. Inoltre, che la sua condizione non è determinata geneticamente ma culturalmente. Cioè, si diventa donne in virtù di un processo formativo e tramite un modello educativo che inizia nella famiglia e prosegue nella scuola e nella società. Accade poiché le donne vengono concepite in un certo modo dall'immaginario dominante che è maschile. L'oppressione di quel modello colpisce, è vero, anche gli uomini, ma essi tornano a casa e si consolano sfogando sulle donne ciò che hanno subito. Marx aveva già osservato che nella famiglia sin dall'origine della divisione del lavoro donne e figli erano schiavi. Simone de Beauvoire non si dichiara femminista, rimane solo una intellettuale e filosofa esistenzialista, tuttavia il suo testo marca un modo di procedere nell'analisi della condizione femminile da cui non ci si potrà più distaccare, più avanti ne vedremo gli esiti. Anche altre scrittrici porteranno contributi fondamentali a riconoscere ciò che è per lo più negato dai loro contemporanei maschi. Cioè, il fatto che esiste una disimmetria a sfavore del sesso femminile in ogni ambito delle attività umane. Come nasce questa condizione? A partire da una giustificazione per lo più considerata naturale. Per procedere in questa analisi non possiamo ritenere il linguaggio espressione semplicemente della realtà, dobbiamo inclinare verso il nominalismo. Vale a dire verso il modo di fare filosofia che a partire da Nietzsche prosegue poi con Foucault, Derrida, Deleuze. Cioè, non possiamo concepire le categorie universali del linguaggio con cui pensiamo alla realtà come coincidenti con la stessa. Bisogna, insomma, falsificare questo modo di procedere. Quando parlano di natura le femministe sono dentro a una concezione nominale del linguaggio, ritengono, cioè, che è solo per convenzione e comunicazione che gli uomini concepiscono così la natura. Insomma, per comprendersi se la rappresentano in un certo modo, ma non si può dire che quel modo sia reale e vero. Questo aspetto è quindi culturale e vede la natura corrispondere convenzionalmente e semplicemente a ciò che gli uomini si inventano. Un modo questo di esercitare il potere sul mondo sociale e naturale. Il mondo sociale ne viene così strutturato e organizzato, mentre quello naturale ne è rappresentato. Ricordate cosa sostiene Foucault? Non è che il potere viene prima, esso è costituito dai discorsi, dalle tecnologie, dai processi che il pensiero pone in essere. Lì è il potere. Tra le persone, nelle relazioni che si stabiliscono tramite i discorsi e le tecnologie, tra il pensiero e la techne. Bene, tale modo di concepire il potere porterà le femministe a riconoscere un fatto, che i discorsi, i processi di pensiero, le tecnologie hanno una teoria e una pratica esercitate nella cultura quasi esclusivamente dal mondo maschile. Ciò significa che nella storia le donne sono state culturalmente tagliate fuori. Ora, dobbiamo afferrare bene cosa significa dire che il discorso determina socialmente chi siamo. Un condizionamento che viene esplicato in modo semplice, naturale. Come concepiamo la donna? Come madre? Come figlia? Come sorella? Come compagna? Sempre tutte queste valenze infine la riportano alla dimensione principale con cui la pensiamo. La figura che più conta è quella di madre a cui tutta la condizione femminile ruota intorno. Per questo motivo naturale le donne hanno un corpo difficile da trascendere, insomma, l'immanenza sembra il loro destino. Dare la vita biologicamente a partire dalle mestruazioni, dal concepimento, dall'allattamento, fino alla crescita dei figli e alle attività domestiche svolte in ambito familiare condiziona in modo totale la vita e il destino femminile. Il modo di vedere la sessualità imposto alla donna induce compiti che sembrano tanto naturali da essere condivisibili da tutti, anche da loro. Questo atteggiamento porta però storicamente all'impossibilità per la vita femminile di trascendere il corpo, il privato, la famiglia e di partecipare all'ambito pubblico, sociale, politico. L'ambito privato e familiare è il confine dove le donne sono state storicamente recluse a causa di questa supposta e imposta immanenza naturale. Ma che la donna non può trascendere significa anche che non può pensare. Così da subito il suo contributo culturale è totalmente compromesso, anche quando viene espresso, perché è comunque considerato secondario, ininfluente. Insomma, disabituata a pensare che pensieri può produrre? Anche raffinati intellettuali pongono questa obiezione. Per questo le donne soprattutto in passato venivano sempre scoraggiate dal proseguire attività intellettuali, eppure è capitato a volte che fratelli e compagni abbiano scippato loro le idee se non le opere. Anche per questo le donne sono solo mosche bianche in quasi tutte le discipline. Il loro contributo politico, filosofico, letterario, artistico e storico è quasi inesistente. In tutte le categorie del sapere gli autori sono per la maggioranza uomini. Ma cosa hanno, o avevano, di meno le donne? Sostanzialmente l'impossibilità di studiare e di uscire dal recinto familiare e lavorativo. Le donne così non potevano farsi una propria idea del mondo e se anche ce l'avevano non potevano esprimerla. Di conseguenza non hanno sviluppato una propria identità. Insomma, pensano il mondo a partire da un soggetto neutro maschile. Uomini e donne esprimono le opinioni in modo indistinguibile e neutro, cioè valido per tutti, tramite un soggetto la cui identità è strutturata culturalmente dagli uomini. Ecco come mai le donne, secondo alcune femministe, sono solo una rappresentazione dei maschi, perché sono state private di una propria elaborazione culturale. La prima a rendersene conto fu Mary Wallstonecraft una donna inglese che durante la Rivoluzione francese scrisse Rivendicazione dei diritti della donna. Libro che per i benpensanti dell'epoca era scandaloso, almeno quanto la vita della sua autrice. Scrive la Wallstonecraft: 'E' ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne - è ora di restituire loro la dignità perduta - e di far sì che esse, come parte della specie umana, operino, riformando se stesse, per riformare il mondo.' Frasi così all'epoca erano considerate sovversive. Ma anche la sua vita era considerata scandalosa. Nata da famiglia povera e con frequenti difficoltà economiche riuscì nonostante tutto a farsi una cultura e cercò in ogni modo di diventare indipendente. Creò una scuola per ragazze che purtroppo fallì. Divenne allora governante di una famiglia dell'alta classe, esperienza che le servirà per descrivere il comportamento delle donne appartenenti alle classi agiate. Disgustata da tali comportamenti se ne andò dopo un solo anno trovando disponibilità dall'editore e libraio londinese Joseph Johnson con cui pubblicò nel 1787 I pensieri nella educazione delle ragazze, saggio a cui seguirà il suo primo romanzo, Maria. Durante la Rivoluzione francese una autrice teatrale, Olympe de Gauges, aveva pubblicato una Dichiarazione dei diritti delle donne dedicata alla Regina Antonietta, odiata sia dal fronte rivoluzionario maschile sia femminile venne decapitata. Mary a Parigi non conosce le donne del fronte rivoluzionario però incontra lo scrittore americano Gilbert Imlay e con lui convive senza sposarsi, dal loro rapporto nasce una bambina, Fanny, suicida in giovane età. Tornata a Londra, i rapporti con il compagno erano ormai compromessi, tenta il suicidio lanciandosi da un ponte sul Tamigi, viene salvata da un passante e riprende a lavorare mantenendo contatti con l'intellettualità inglese più avanzata. Nasce così una relazione con William Godwin che aveva pubblicato una Ricerca sulla giustizia politica. Testo in cui teorizza un completo anarchismo trovando gli organismi giuridici e sociali solo un ostacolo alla libertà di espressione delle facoltà umane. Nasce dal loro rapporto Mary, futura autrice di Frankenstein e moglie del grande poeta Shelley. Bene, quella che a noi oggi pare una vita normale allora era considerata infamante. Per una donna viaggiare sempre da sola, scegliersi i compagni senza sposarli, farci dei figli e vivere in piena autonomia era un fatto veramente eccezionale. Possiamo dire perciò che con la Wallstonecraft nasce il pensiero femminista. Ma ancora tale pensiero è ben lungi dall'affermarsi in modo comunitario e pratico. I diritti teorizzati dalla Wallstonecraft ancora oggi predicati come universali sono di fatto riconosciuti solo ai maschi. L'autrice rivolgeva il suo discorso solo alle lettrici della classe media che era più sensibile e politicizzata, non dava il minimo credito alle donne dell'alta società, esse, secondo lei, pensavano solo a farsi belle e a riprodurre l'immagine della donna inferiore e subordinata, ma neanche per le donne più oppresse aveva qualche speranza, perché, pur con tutti gli sforzi, era per loro impossibile uscire dalle condizioni di servitù in cui vivevano, né tanto meno aveva fiducia negli uomini, anche i più aperti. Ad esempio, critica il teorico rivoluzionario Rousseau che concepiva la donna necessariamente e per natura dipendente dagli uomini. Perciò l'autrice vede in modo tutt'altro che ottimista il futuro delle donne. Capisce chiaramente come tale condizione non sia condizionata dalla natura ma solo dall'organizzazione sociale degli uomini. Per questo rivolge i suoi libri da un lato alla classe degli uomini intellettuali e dall'altro alle donne della classe media, gli unici e le uniche che forse potevano comprenderla. Il suo discorso in sintesi è che se gli uomini vogliono una società migliore la otterranno solo se anche alle donne verrà consentita una formazione culturale e un'educazione fino ad allora riservata esclusivamente ai maschi. Nei punti che esamina non si parla di diritto al voto, esso d'altronde non era ancora consentito neanche a tutti gli uomini, cosa che avverrà solo dalla seconda metà dell'Ottocento e un secolo dopo alle donne. Il suo pensiero considera l'educazione il catalizzatore che può infrangere l'immagine di ruolo accettata e praticata dalle stesse donne. Pare poco, ma considerando che allora le donne non potevano neanche uscire se non erano accompagnate è evidente che nessun movimento politico sarebbe iniziato senza questa prima consapevolezza personale. Consapevolezza che vedremo via via nascere nelle protagoniste dei romanzi di Jane Austen, eroine che scelgono e non si fanno più scegliere. Così la normalità attuale è in realtà il risultato della elaborazione di queste autrici che, riprese successivamente da altre, servirà ad organizzare, anche politicamente, l'emergente 'movimento' delle donne. Riprenderemo più avanti la storia di questi movimenti femminili, per ora accontentiamoci di indicare il punto di partenza del femminismo e il suo pas (in francese significa passo in movimento ma indica anche la frase negativa, je né parl pas, ad esempio) che l'attendeva al varco. Luce Irigaray è forse la filosofa dei nostri tempi che più vi si è trovata. Di cultura multidisciplinare studia filosofia, letteratura, linguistica, psicologia con una formazione psicoanalitica. Luce Irigaray è belga, qui si laurea in filosofia, ha vissuto e lavorato a Parigi, dove prenderà la laurea in psicologia, oggi ha 83 anni. E' stata membro dell'associazione freudienne, di cui Lacan era direttore, da dove la cacciarono dopo pubblicato Speculum, attualmente immagino sia in pensione. E' stata anche direttrice del Centre National de la Recerche Scientifique, che deve essere come il nostro CNR. Ha anche insegnato a Vincennes e anche da lì se ne dovette andare dopo pubblicato Speculum. Autrice di libri e testi orientati politicamente, in Italia più volte è stata invitata a tenere discorsi dalle donne del PCI. In una di queste occasioni conosce e ha una relazione con Renzo Imbeni. A lui dedica poi diversi testi, ricordiamo in particolare Amo a te. Qui la storia amorosa si fa anche filosofica e politica. Luce cercherà di comunicare con quel a il bisogno di ripensare il rapporto tra uomo e donna. Quando Renzo Imbeni diventa parlamentare europeo Luce Irigaray è deputata europea, entrambi si impegneranno alla stesura di una prima Costituzione europea in cui sia riconosciuto il diritto alla cittadinanza femminile, tale documento però venne bocciato e al suo posto venne costituita una commissione per il diritto delle donne, cosa che la filosofa criticherà fortemente. Il suo percorso politico infatti insegue il sogno per cui La democrazia comincia a due, che poi è anche il titolo di un suo libro. In questo saggio Luce invita a pensare alle sfide che ci attendono, una concezione del mondo che supera i limiti imposti dalla tradizione. Una rivoluzione ancora maggiore di quella copernicana. Il fatto è che non c'è un solo sole, un solo soggetto, ma due in relazione non biunivoca, non speculari, speculum indica non solo lo strumento ginecologico ma anche lo specchio, ciò significa che hanno significati e identità differenti. Per questo non è più possibile considerare il soggetto come assoluto. Esso non è limitato solo per il fatto che rappresenta del Dio una immagine imperfetta. Peraltro Dio del solo genere maschile perché solo l'uomo è creato da lui. Adamo inizialmente aveva una compagna creata da Dio, Lilith, ma siccome era una rompiscatole chiede di sostituirla. Dio lo accontenta e dalla sua costola ricava Eva. Ecco come vanno da subito le cose. Il soggetto occidentale in questa rivoluzione copernicana teorizzata da Luce perde la sua patria, il suo orizzonte, la coscienza che ubbidisce alle sue leggi perché trova il limite più radicale non solo in altre culture, altri popoli, ma vicino a sé, la trova nella differenza di genere. Qui il soggetto ha un limite alla sua totalizzante visione. La differenza di genere è la più universale di tutte perché attraversa in natura tutte le specie, cioè tutta la vita che è sessuata. Per questo, secondo Luce, accade che vogliamo appropriarci dell'altro, per ridurre quella infinita distanza. Così, confusi con colui o colei che abbracciamo, con cui condividiamo il letto, la casa, il lavoro, lo/la fagocitiamo per sfuggire alla differenza insormontabile che ci separa. Mentre possiamo capire una cultura differente dalla nostra a partire dalla sua storia, l'altro, invece, se è vivo, rimane sempre sorprendente se non incomprensibile nei suoi comportamenti. Perché in ogni momento compie gesti nuovi la cui origine è spesso per noi inconoscibile. L'altro è sempre in un mondo esteriore a noi. Nel farlo nostro ne sacrifichiamo l'esteriorità e la differenza. Per questo occorre rinunciare al possesso dell'altro. Questo è il compito più utile e bello a cui invita la filosofia di Luce Irigaray. Un cambiamento che per l'autrice apre una nuova tappa della cultura il cui orizzonte storico è possibile solo a partire da una formazione alla cittadinanza. Non più sufficiente il rispetto delle cose altrui e del patrimonio nazionale, come richiede il diritto attuale riducendo tutto a un bene: corpo, cultura, religione, razza, età, amore, sesso, amore coniugale, parentale e sentimento comunitario diventano per questo solo cose. I nostri codici civili ci hanno abituato a concepire tutto in termini di beni e, secondo la Irigaray, tale legislazione non riesce ad arbitrare i conflitti tra i sessi, le generazioni, i cittadini. Al di là delle guerre la società civile è attraversata da violenze sanzionate dal diritto penale senza risolverne le cause. Per trattarle in base ai nuovi dati del nostro tempo si devono definire diritti civili legati alle persone e non solo alla proprietà dei beni. Educare così ad essere e non ad avere. Questa nuova cittadinanza richiede però una capacità di comunicare e non solo di trasmettere informazioni, perché diviene prioritaria la relazione tra le persone. Il linguaggio acquisisce allora maggiore importanza e diviene necessario scoprire modalità universali che non sacrifichino particolarità e singolarità a codici neutri, astratti, morti. In questo senso è necessario nel discorso un pas che avanza e nega, avanzante e negante, avanzante perché negante, avanzante solo se nega di conoscere l'altro come identico a sé, un passo decisivo solo se salvaguarda la relazione universale tra due singolarità, cioè, quella tra uomo e donna. Allora un codice civile non solo orientato alle persone ma anche sessuato sarebbe il miglior garante della relazione tra uomini e donne, l'alfabeto di una universalità che non distrugge le qualità umane. Perché presuppone di non conoscerle, sa che non può appropriarsene ma solo avvicinarle. Invece, facciamo un passo indietro, cosa dice la metafisica occidentale? La metafisica nasce con Aristotele che tenta di comprendere attraverso i concetti quale sia la struttura ultima dell'essere e della conoscenza. Cioè, di ciò che è più universale di tutto. L'essere è uno ed è la struttura che costituisce il tutto. Certo così il condizionato, il linguaggio, il sapere, cerca di fare un salto verso l'incondizionato e rischia di divenirne causa e origine. Ora, secondo la metafisica ma già a partire da Platone sono le idee ciò che hanno rilievo confronto al molteplice disperso. Insomma, contano le forme che hanno le cose, tali forme sono idee che partecipano alle cose, la metessi dice Platone. Le idee danno forma per metessi al mondo e stanno nell'iperuranio, in cielo, al di sopra della caverna in cui gli uomini di tali forme vedono solo le ombre. Queste forme si addicono, come concetti astratti, a una molteplicità di singole cose. Perciò si chiamano εἶδος, cioè apparenza, aspetto, figura, forma, genere, oppure ἰδέα, cioè aspetto, forma, idea, proprio come fossero un ente in sé che per così dire è esposto alla visione. In entrambi i termini, infatti, εἶδος e ἰδέα hanno in comune una radice che indica la visione. Così il sensibile, il reale, per Platone è assoluto non ente. Aristotele considera tale modo di procedere non molto sensato, anche Platone in tarda età, forse influenzato dal geniale discepolo, ha dei dubbi. Infatti nel Parmenide dice che questi molti sono tanto poco senza l'uno, senza la loro idea, il loro concetto, quanto l'uno lo è senza i molti. Dunque, la metessi pare una giustificazione poco sensata. Aristotele invece congettura che le forme plasmino la materia da dentro. Immagina che la materia inizialmente è grezza e prende forma quando viene abitata dall'idea. L'idea dà forma alla materia. Scivolando in modo un poco semplificato possiamo vedere tutti i gradi che questa idea prende fino allo spirito assoluto dell'idealismo hegeliano. Così per Aristotele si può parlare di universale solo a partire dal particolare in cui si manifesta, cioè dal modo in cui si rappresenta. Per Aristotele, quindi, si fa problematico il rapporto tra l'astrazione universale e il particolare, essa può essere solo rappresentata nel particolare. Vale a dire che Aristotele non si spinge al punto da rendere i concetti universali pure astrazioni, infatti essi non possono pensarsi indipendentemente da ciò in cui si concretizzano, ma non sono neanche semplici astrazioni rispetto alle particolarità contenute in essi. L'universale non si può pensare senza il particolare nel quale si manifesta, ma neanche è una semplice astrazione confronto al particolare contenuto in esso. Questo è il problema che si pone la metafisica di Aristotele. In Aristotele le argomentazioni gnoseologiche, metodologiche e logiche dell'Organon si intrecciano con la metafisica, in particolare sulle categorie, cioè i concetti. Per il nominalismo i concetti universali sono post rem, non ante rem. Ma sarebbe superficiale dire per questo che Aristotele è nominalista. Per lui è vero che l'universale non ha sostanzialità, ma non per questo è una semplice etichetta da applicare alle cose, c'è qualcosa che lo eleva al di sopra del flatus vocis. (Il proseguimento alla prossima puntata).


Franco Insalaco

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