Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 29 ottobre 2012

XXXXI incontro. La signora del gioco.



Il testo di cui parleremo in questo incontro è 'La signora del gioco', di Luisa Muraro, il cui sottotitolo recita: 'La caccia alle streghe interpretata dalle sue vittime'. In effetti è una rielaborazione approfondita del suo primo libro edito nel 1976. Il primo caso che la Muraro propone nel testo avviene a Poschiavo, Alpi Retiche, oggi nella Svizzera Italiana ma al tempo sotto il dominio di due comuni che se ne contendevano il territorio, Milano e Como. A Caterina Ross il processo viene redatto secondo la forma tipica con cui si svolgevano a quel tempo. 


Accusata di essere una strega sin da bambina, sia la nonna che la madre erano state giudicate tali, Caterina viene processata, in virtù dell'età e del fatto che era il primo processo viene riconsegnata alla famiglia per rieducarla. Caterina dal padre è allontanata dal luogo di nascita e mandata in Germania per le difficoltà che avrebbe incontrato nel suo territorio essendo già segnata. All'età di trenta anni, siamo nel 1697, non si capisce perché, fa ritorno al paese nativo, probabilmente alla ricerca di un marito. La gente comincia a lamentarsi della sua presenza accusandola di malefici e malocchi vari provocati da lei. Il tribunale, in questo caso civile, apre una inchiesta e interroga Caterina. Si va per le spicce e dopo un paio di incontri dedicati a interrogarla sulla vicenda passata e sulle accuse che le sono mosse al presente, al terzo incontro viene torturata, se nei primi due rifiuta qualsiasi responsabilità disconoscendo pure di aver conosciuto sua nonna, sotto tortura confessa pienamente gli eventi passati e presenti, ma ritratta nel nuovo interrogatorio senza tortura, poi di nuovo sotto tortura dice di non ascoltare ciò che aveva detto la volta precedente, infine senza tortura conferma tutto quanto. La struttura del processo era dunque così impostata, cioè, le confessioni sotto tortura e senza dovevano coincidere. Se una condannata alla fine, quando era portata al rogo, lamentava la sua innocenza la gente protestava, dunque bisognava che le vittime fossero convinte della colpevolezza e non contestassero la condanna. La famiglia poteva decidere di difendere in proprio l'accusata o di avvalersi del difensore d'ufficio. Va da sé che quando sceglieva questa seconda opzione lo faceva perché aveva più possibilità di dimostrare l'innocenza della congiunta. Anche perché nel caso in cui la processata veniva condannata il suo patrimonio rispondeva delle spese processuali e veniva confiscato, inoltre, nel caso non fossero sufficienti i suoi averi, ne dovevano rispondere anche i famigliari. Il tribunale da parte sua cercava di accelerare e non perdere tempo proprio per non far lievitare i costi. I costi erano merende e bevute dei giudici, poi i costi di detenzione dell'imputata e gli stipendi delle guardie necessarie al servizio di sorveglianza e così via. I beni erano rappresentati anche da mobili e suppellettili. Ci sono casi in cui i parenti fanno sparire i letti perché non siano sequestrati dalle autorità, oppure, in un caso, viene addirittura sequestrata una botte di vino. Dunque, se c'era qualcosa da difendere sotto il profilo patrimoniale, allora era più facile che la famiglia si occupasse dell'imputata in proprio. Le ragioni affettive nella maggior parte dei casi paiono scarseggiare. Il processo a Caterina Ross vede l'imputata essere sempre in una posizione vigile e disponibile, non accusare mai alcuna donna viva, anche sotto tortura. Protesta la sua innocenza ogni volta che non è torturata, fino alla fine. Per farla convinta la spogliano nuda e le mettono il camice con cui venivano torturate e in tal caso conferma, ma quando ormai la sentenza è redatta protesta di nuovo di essere innocente, di andare vittima di un dispositivo di cui non riconosce giustizia e verità. Insomma, quello di Caterina Ross può essere considerato il processo in cui lucidamente una donna si difende e riesce a mettere in critica tutto il dispositivo messo in atto, determinando così l'approssimarsi della fine dei processi alle streghe. Mostra tutta la sua abilità Caterina quando, ad esempio, risponde al giudice che le chiede perché fosse stata mandata via dal suo territorio, 'a causa delle malelingue', oppure quando le chiedono di ricapitolare il contenuto delle precedenti udienze dice: 'sono stata interrogata su quelli che mi hanno calunniata'. Caterina se aveva dimenticato le sue parenti condannate al rogo, madre e nonna, sapeva però perfettamente la posta in gioco di quel processo, la sua vita. Il fatto è che Caterina Ross aveva cercato di dimenticare i torti subiti in precedenza con la morte della madre e della nonna, ma quelli che l'accusano le fanno tornare in mente tutto e infine le faranno condividere la stessa sorte, Caterina Ross protesta fino alla fine, mettendo in rilievo come l'accusa non riesca a giustificare la sentenza che la manda a morte. Insomma, lei non si fa convinta di essere una strega. Caterina forse non si rende conto di quanto fosse scadente la difesa del suo avvocato, quanto tutto fosse già deciso sin dall'inizio, come non seguissero altro che una serie di formalità per giungere alla sentenza di condanna privata di qualsiasi ricerca della verità, qualsiasi cosa essa significhi. Non tutti i processi erano così, in precedenza le cose erano molto più complesse. Ma questo è forse uno degli ultimi dispositivi di condanna per stregheria. Ormai il processo è diventato un involucro vuoto, non ci credono più le accusate e neanche gli accusatori, l'unico problema è quello per chi accusa di rimanere nei termini giudiziari senza correre dei rischi personali, non si temono più le streghe ma i tribunali. Il processo allora diviene uno sterile meccanismo suggestivo privo di qualsiasi credibilità. Caterina Ross era legata alla stregheria solo per colpa dei processi precedenti, in realtà era una donna totalmente esterna a quelle credenze. Una donna più moderna di chi la giudicava. Protesterà sino alla fine, il boia scoprirà che nessuna bolla diabolica era presente nel suo corpo, al contrario di quanto affermato dal consulente che l'aveva visitata ben due volte. Il medico locale, dott. Curti, presente al supplizio, meravigliato vide le proteste della Ross che negò avanti a tutti di esser strega. 'Il podestà in carica riferisce al tribunale come Caterina, appresa la sentenza di condanna a morte, "invece d'esser stata constante, si sia di nuovo retirata di quanto essa haveva deposto, e detto che, se essa moriva, moriva innocente e senza colpa. I giudici, doppo haver sentito, hanno ordinato primieramente che in pena di rais (fiorini renani) due, quelli che sono di guardia non possino lasciar venire nessuno a parlar con l'avanti scritta Catterina, come ancora la Madalena e nell'istessa pena incorre ancora li servitori. Però li religiosi, tanto cattolici quanto il signor Ministro possono parlare con le condannate. Più oltre ancora hanno dichiarato che confermano la sentenza proferta contro Catterina, che habbia da essere per mano del carnefice decapitata. Ben vero che essendo, tenor solito è consueto, condotta in piazza e letto la sentenza contro di lei Capitale, la quale la confermano e la ratificano e che teno quella habbia d'essere posta in esecuzione senza altra né grazia né riserva. Havendo inteso che detta Catterina deve haver fatto qualche testamento, le fanno dire che non si intendano che tal testamento possa subsistere in modo alcuno, essendo ciò in pregiudizio totale della Comunità per causa della confiscazione. I beni della condannata spettano alla Comunità, come afferma lo statuto." Sulla morte di Caterina Ross abbiamo anche, per altra via, il racconto del ministro riformato Giuliani. Marra che "lì 7 marzo, egli si recò a visitarla, presente il signor Podestà. Alhora essa subito negò et disse d'eesere stata interrogata suggestivamente essendo essa nel curlo. La menarono ancora in piazza (per la lettura pubblica e solenne della sentenza), dove essa negò avanti a tutti di non saper arte di strega né d'haver fatto tali cose. Condotta dunque di sopra fu di novo toccata al curlo, ove stando salda di non essere tale (cioè strega), fecerlo lasciarla giù, venire il boia ligarla e senza consolazione menarla al supplizio, essa gridando che li era fatto torto; vedendo ciò ancora e meravigliandosi il signn. dott. Curti, fu fatta morire".
La protesta che Caterina Ross mette in evidenza significa che tutte le streghe erano innocenti del reato per cui erano condannate. Potevano aver avvelenato qualcuno ma non essersi unite carnalmente a Satana, né causato tramite magia sventure al prossimo. Soggettivamente poche si considerarono innocenti e protestarono la loro innocenza, lo fecero quelle che si sentirono ingannate. A Pisogne sulla riva orientale del lago d'Iseo, già nel 1518 le condannate inveirono contro il giudice perché aveva promesso loro la vita se avessero confessate, cosa che i tribunali ecclesiastici facevano normalmente, questo nonostante il tribunale dell'inquisizione di Roma avesse indicato come scorretto questo modo di procedere. Altre avevano reagito con l'esaltazione dell'autoaccusa o con il teatro della possessione diabolica, ma alla fine ormai nessuno più credeva a quelle accuse. Le otto di Pisogne vengono condannate e messe al rogo. Un informatore mandato da Venezia, il territorio era sotto la sua potestà, scrive nel resoconto che mai avrebbe voluto assistere a quello spettacolo e che le procedure a suo giudizio erano scorrette. Alla sua richiesta di poter parlare con le streghe frate Bernardino, l'inquisitore, si rifiuta adducendo che essendo confessate non vuole portare turbamento. Tutte le donne, racconta il testimone, erano in preghiera alla lettura della sentenza e una tra loro accusò frate Bernardino dicendo che 'le faceva un grande torto e che tutti dovevano saperlo, ma aveva confessato perché non dicendo quello che voleva lui le aveva dato della gran vacca e altre parolacce, poi promesso di lasciarla andare se diceva come voleva lui, questo avevi promesso e tu sei peggio di me'. Poi altre che discolpavano una serie di compaesani dicendo che mai erano stati al sabba come confessato, perché lo avevano dette costrette. Vedere quelle donne bruciare vive e due e tre già morte prima che il fuoco giungesse alle altre fa arretrare il testimone davanti a tutta quella crudeltà. Aggiunge poi che queste donne venivano torturate e a volte lo facevano anche con il fuoco al punto che a una di queste le furono staccati i piedi dalle fiamme. Una delle imputate dei processi in Val di Fiemme, vicino a Trento, al tribunale di Cavalese racconta che una volta cercando delle bestie perse al pascolo, con la suocera videro in lontananza un fuoco blavio, cioè smorzato. Allora quella si mise a gridare 'Fuggite, quello è il fuoco della donna del buon gioco'. Gioco è il più antico nome del Sabba. Ma che le storie raccontate fossero vere o false è una delle implicazioni che comporta il pregiudizio storico, infatti per la visione moderna sono solo false, come se il tribunale di allora non fosse in grado di appurare la verità o come se sotto tortura uno non dicesse altro che delle falsità, oppure, così per i tribunali di allora, erano vere, nel senso delle sentenze e delle condanne che venivano comminate. In realtà bisogna che noi riprendiamo lo sguardo di Girard per comprendere che un capro espiatorio è sempre innocente, anche se ha compiuto, dunque è vero, gli atti di cui viene accusato. Prendiamo un ebreo che abbia ricevuto l'accusa di essere un untore segnando le porte delle case. Bene! Questa accusa è fatta contro un innocente. Perché il fatto che egli segnasse le case non aveva relazione alcuna con la peste. Se uno è considerato colpevole perché è zoppo, o straniero, o malato di mente è vittima di una mistificazione, lo è anche se fa davvero l'untore. Questo anche se è vero e corrispondente alle accuse, ma nella maggior parte dei casi neanche lo è. Dunque alcune streghe credevano davvero, o si facevano convinte durante il processo, di esserlo. Il fatto è che di fronte agli inquisitori che spesso non definivano subito le accuse, le donne sentivano di avere qualcosa da nascondere, di essere in un certo senso implicate, così si trovavano psicologicamente nella situazione di chi deve resistere e nascondere qualcosa, qualcosa che non sapevano bene neanche loro. Questo senso di coinvolgimento poi diramava nella mente i suoi effetti fantastici implicandole in modo sempre più convinto. Le accuse seguivano in rapida successione, prima il rinnegamento della fede, poi la partecipazione ai convegni, la confessione dei malefizi umani e animali, infine i malefizi del brutto tempo. Venivano quindi mano mano richiesti i nomi dei soci nel malaffare. I processi in Val di Fiemme iniziano a causa di certo Giovanni (Zuanne) Delle Piatte. Un ambulante che guadagnava qualche soldo girando nei mercati con i suoi rimedi per la salute e predicendo il futuro guardando in un cristallo. Passando da Cavalese dice ala gente che ci sarebbe stata una inondazione più grave delle precedenti. In effetti quella notte il fiume che attraversa il paese tracima sommergendo il paese, uccide molte persone, quelli che avevano ascoltato il Delle Piatte si erano salvati andando verso il monte. Allora il capitano Della Valle lo fa chiamare per chiedere con quale scienza sapeva cosa sarebbe successo. Nel Febbraio 1501 inizia il suo processo. Al vicario Domenico Zen mostrano gli strumenti che il Delle Piatte aveva con sé: un libro con caratteri strani e proibiti, formule diaboliche scritte in tedesco, formule per il Cristallo, lo stesso Cristallo incapsulato nella cera, inoltre aveva molte radici che probabilmente, dice Zen, facevano ammalare le persone anziché guarirle quando le usava. Il Delle Piatte sostiene di aver imparato quelle scienze da persone esperte, ad esempio le formule del cristallo da alcuni frati, di non aver mai fatto del male, ma solo medicato con erbe e radici. Si dichiara, insomma, uomo onesto e probo. Non viene torturato, solo minacciato nel modo più efficace, cioè preparato come se dovesse esserlo. Gli bruciano poi l'attrezzatura e gli intimano di non tornare più nella Valle salvo espressa autorizzazione delle autorità, inoltre di non praticare più le sue arti. A ciò si impegna giurando sul vangelo. Il fatto è che il Delle Piatte pensava che la memoria della giustizia fosse come quella umana e che durasse poco. Così dopo soli quattro anni ricompare in Valle con tutta la sua attrezzatura e in più due ostie non si sa se consacrate. Inoltre diceva di curare il mal francese (la sifilide) e altre malattie. Domenico Zen va a messa a Tesero, qui in chiesa chi ti vede? Proprio il buon Giovanni. Immediatamente lo fa cacciare e arrestare. Ora la situazione è aggravata dalla precedente sentenza e dalle Ostie. Questa volta il libro che porta con sé viene analizzato e si scopre che è pieno di formule magiche per fare soldi e per l'amore. Non è però un manuale per le streghe, anzi insegna a riconoscerle. Ci sono anche alcuni accenni al diavolo e al modo per ottenerne l'aiuto. Dall'accusa di essere uno stregone il Delle Piatte si difende sostenendo che ignorava il contenuto del libro e se lo avesse saputo lo avrebbe bruciato. Delle Ostie sostiene che non sono consacrate e che gli servivano per una ricetta imparata a scuola. Torturato leggermente conferma quanto detto. Lunedì 9 dicembre strattonato continua a confermare ma il Mercoledì sollevato da terra comincia a confessare. Da lì in poi basta la minaccia della tortura perché continui a confessare. Le storie che racconta sono tante, ne conosceva anche per il mestiere che faceva, in una di queste parla di un frate, che era poi il suo maestro, con questi va a Roma poi nel monte delle Sibille, o Monte di Venere, dove incontrano la donna Erodiade. Per tre giorni girarono prima di arrivare al Monte, e dovettero passare per un lago azzurro dove trovarono un frate vestito di nero, a questo punto quello che accompagnava Giovanni disse che doveva dimenticarsi di Dio e dei Santi e solo dopo potevano attraversare il lago. Aggiunse, il frate che l'accompagnava, di dimenticare Dio e la Vergine Maria e di dedicarsi interamente al diavolo, anima e corpo. Appena detto il fratone nero li accompagnò di là dal lago e li portò dentro al Monte, attraverso una porta che si apre e chiude da sola, ma così velocemente che si deve saltare in fretta per non esserne schiacciati, da lì introduce nella cavità della montagna dove, superato un serpente, si giunge ad un altra porta, qui un vecchio detto fedele Eckart li avvisa di non rimanere oltre un anno altrimenti non potranno più uscire. C'erano con loro altre dieci persone che non conosceva, poi entrati nella grotta videro un vecchio dalla barba bianca che dormiva ed era chiamato il Tonhauser. C'erano donne, ragazze e anche donna Venere e altri uomini. Donna Venere per tre giorni si trasforma dalla cintola in giù in un serpente. Solo però Sabato, Domenica e lunedì, poi torna normale ed è sempre accompagnata da ragazze bellissime, sembra come le altre donne ma è gelida. Lì mangiavano e bevevano ma non sa cosa, come se fossero cose contraffatte. Una volta sono andati in compagnia con quella donna sopra cavalli neri e in cinque ore avevano fatto il giro del mondo. Altre volte, sempre volando con i cavalli, andavano per aria e ai crocicchi ballavano, mangiavano e bevevano malvasia, ma non sapeva dove prendessero tutta quella roba. Finito il racconto il tribunale chiede a Giovanni di dire con chi andava in compagnia e di fare il nome delle streghe che aveva frequentato. Il suo mestiere lo portava a conoscere molta gente, molte donne gli chiedevano rimedi per il male della matrice, così non ha difficoltà Giovanni a dire posti e donne, indicando anche i luoghi dei convegni notturni e dei malefizi. Sottoposto a tortura leggera ratifica tutto, chiesto di confermare discolpa un donna coinvolta ma conferma il resto. Non segue alcuna sentenza. Finisce così il processo al mago girovago e inizia quello alle streghe che ha citato. Orsola detta la strumechera di Trodena, Margherita dell'Agnola di Cavalese, Margherita di Tressadello di Tesero e Ottilia Della Giacoma di Predazzo sono le accusate. Sono rinchiuse assieme a Delle Piatte e verranno interrogate separatamente. Si promettono, farà la spia il Delle Piatte, che non si faranno accuse l'un l'altra, ma alla prima tortura Ottilia confessa seguendo i suggerimenti del Delle Piatte. Dice di essere passata al diavolo perché le desse del buon tempo per stare allegra. Nomina alcune donne, racconta di banchetti notturni, dice che certe volte il diavolo si asteneva dall'avere rapporti con loro perché era troppo freddo. Margherita dell'Agnola detta Tomasina è di tutte la più provata, forse per una sua tristezza personale. Dice interrogata che non sa cosa dire, che lei mai ha fatto del male a nessuno se non a se stessa. Al secondo incontro racconta che il marito aveva rubato delle cose da mangiare e del filo ma che lei non voleva. Allora chiamano il Delle Piatte che la incita a confessare ricordando che insieme a lui erano andati ai convegni 'con mi sora Cadran a la Crosara, che lì mangiassimo una vacca, non deneghé. Anch'io mi volsi denegare ma non mi valse niente. Bisogna pur dire la verità et non ve lassate struzzare' Et ella balbettando non sapeva cosa dire. Alla fine Tomasina dice che è vero. Allora il tribunale la accusa formalmente di essere una strega. Lei allora risponde: 'Dite che sono una strega? Va bene. Cosa volete che dica? ditemelo voi'. Il Vicario allora la esorta a denunciare chi l'abbia introdotta in società con le streghe. Lei costruisce un racconto. Trenta anni prima quando stava a Cavalese vennero a casa sua tre ribalde streghe, che abitavano lì, insieme ad altre in gran compagnia, le dissero di seguirle rinnegando Dio, la Vergine Maria e la Santa Chiesa per darsi al diavolo anima e corpo. Così lei si diede al diavolo nell'abisso inferno impegnandosi a servirlo. Una delle maestre streghe allora le diede un unguento con cui unsero una panca ed un capello nel nome del diavolo e Margherita vi si sedette sopra. Allora come il vento andarono in giro nell'aria con le altre streghe e diavoli. Val di quà e di là quella notte fecero più di mille km. Erano tanti e tanti e c'era un uomo di Carano e mangiarono un bue giù ai mulini, sopra le fontane, quel bue seccò, visse ancora mezzo anno poi morì. Poi a Daiano mangiarono una bella vacca di Cristoforo del Giovanni di Moena, c'era in quel posto un uomo che suonava la piva, era l'uomo di Càrano, presero poi del vino dalla cantina di Giacomo di Agostino, entrati da una finestra ingollarono più di una soma. Nulla di benedetto c'era perché altrimenti non potevano né mangiare né bere. Poi a Varena e Cavalese finché il gallo cantò e tutti tornarono a casa. Poi in altri racconti simili citerà sia il Delle Piatte che le altre compagne di sventura. Infine c'è un cenno alla domina ludi. Dice che andata a Varena vicino ala fontana trova la donna del bon gioco che va sempre in aria e tiene due paraocchi, così che non veda ogni cosa perché se potesse vedere ogni cosa farebbe del gran male al mondo. Tutte le confessioni di Tomasina finiscono con una ricetta, tanto che dovette sembrare una grande esperta, ma le sue sono solo narrazioni di luoghi comuni messe insieme tra i suggerimenti del Vicario e la mitologia pagana e cristiana. Chiesto a questo punto se vuole essere difesa Tomasina dice che chiede solo la grazia se è possibile. Tra i malefizi di cui aveva accusato se stessa e altre non c'era solo l'aver mangiato bestie ma anche uomini e bambini. Questa è l'accusa più grave che viene mossa alle streghe. Orsola Stromachera dirà come avviene. La vittima viene in stato di incoscienza portata al gioco. Dopo succhiato il sangue si bolliva e in parte mangiava. I resti, ossa, pelle, ricomposti con arti magiche sostituendo le parti mancanti con la paglia o stracci o, se mancava un osso, con un legno, consentiva alla vittima di riacquistare una parvenza di vita. Quando qualcuno deperiva e moriva, allora dicevano che le streghe lo avevano consumato. Ma anche chi moriva per disgrazia o incidente, insomma il termine della vita era causato quasi sempre dalle malefiche streghe. Insomma, sembrava che la coscienza collettiva non considerasse più la morte un fatto naturale ma sempre legato a qualche maleficio. La domina ludi aveva la prerogativa di ridare la vita anche alle bestie mangiate. Ma le sue prerogative sono un poco ridotte, la mitologia si è deteriorata, perché la si vede girare senza vedere bene, e le sue magie sono un poco difettose, umani e bestie rimangono consunti e incapaci di vivere normalmente. Orsola Stromachera sarà quella che resiste di più alla tortura. Il Vicario le chiede di dire tutto ciò che sa a partire dalla sua infanzia. Lei replica che non sa che dire perché non aveva mai peccato o frequentato cattive compagnie. Alla terza udienza non avendo parlato nonostante le torture viene messa a confronto con Delle Piatte. L'uomo la sollecita dicendo: 'lo sai, devi saperlo, che sei stata con me su alla Cisa sopra quel monte, e sopra Caiano con le altre in compagnia la notte, io l'ho giurato e ci ho messo la vita e ti dico che sei quella a cui chiesi come ti chiamassi e rispondesti la Strumechera di Trodena. E persino aggiungo con te c'era quella di Pinzano. Non denegare io credevo di essere costante come fai tu ma mi hanno fatto dire la verità, parla e non lasciarti fare a pezzi'. Non parla e allora viene aumentato il supplizio, sollevata da terra le attaccano ai piedi più di 50 libbre di peso, circa la metà in chili, promesso di confessare la depongono. Lei confessa il furto di una rapa. Di nuovo torturata aggiunge il furto di una manciata di legna, un pane, una scodella di farina e fa il nome di una socia. Nelle altre due udienze insiste a dire che altro non ha fatto. Avendo sostenuto eroicamente le prove della tortura avrebbe meritato di andare assolta, ma i crudeli e ignoranti inquisitori non la mollarono. I carnefici continuarono a tormentarla con strattoni e pesi finché ne ruppero la resistenza, a questo punto fa sei racconti perfettamente coerenti in cui tutti gli elementi della stregheria compaiono fortemente integrati. Seppure fantastici a leggerli impressionano per il loro aspetto reale. Si rivela così una grande narratrice. 'Orsola disse ancora che, circa dieci anni prima, una notte di sabato dopo mezzanotte mentre si avvicinava il giorno festivo, prima del canto del gallo - erano le quattro tempora -, veniva da Trodena con una grande cesta di ciliege, volendo recarsi a Cavalese. Arrivata a Zimana vicino alla Croce, Orsola depone la cesta con le ciliege e lì si addormentò. E ci fu un grande rumore di uomini e done che stavano intorno a lei, e volevano che si unisse alla loro conpagnia e così le mangiarono tutti le ciliege. Poi andarono nel paese di Caràno e presero del vino dalla cantino dell'Avanzin, quindi si accordarono che l'uno portasse una cosa, l'altro un'altra, a seconda che portavano, ed in quella compagnia c'era anzitutto un uomo di Càrano..., uno di Rendena..., uno di Aiano..., una donna di Atrei..., due donne di Caràno..., e una di Aiano..., e due di Varena. elì mangiarono boui e vacche di Caràno: una vacca a Giovanni del bue a Brenzo... e quando cotti e mangiati, rimettevano insieme le ossa e le bestie tornavano vive e venvano riportate a casa. Andarono poi a Brenzo sempre nella stessa compagnia e qui presero da una casa un bambino, uno lo portava per i piedi, l'altra per le braccia, avrà avuto circa sei anni, e lì lo cucinarono, e gli mangiarono il cuore succhiandogli il sangue dalle dita e dai piedi; poi lo riportarono a casa. Presero a Giovanni de Chiasur un bue a Zimana, e lo consumarono e mangiarono. Poi al cantar del gallo tutti tornarono a casa, perché quando il gallo canta non possono più far ribalderie. Il diavolo era sempre con loro, in forma di caprone.'
Orsola ratificherà sotto tortura leggera e senza tortura e nella piazza del paese libera e slegata. Non si avvarrà della difesa. Intanto era iniziato il processo alla Tessadrella. Anche lei sotto leggera tortura confessa ma ancora poco, allora viene interrogata in modo più cruento e inizia una invenzione così personale e continua di situazioni che mettono in evidenza il conflitto interiore con cui sta lottando credendo di essere strega ed essendo contemporaneamente profondamente religiosa. Il legame amoroso con la Vergine Maria è nella Tessadrella fortissimo. Ma l'inversione che avviene nei suoi racconti è che all'improvviso Maria ha in braccio il diavolo. Allora si rende conto la Tessadrella che il punto è che avrebbe desiderato il potere sugli uomini non attraverso la seduzione, arte femminile per eccellenza, ma attraverso la magia. Dio in braccio alla Vergine rappresenta bene questo desiderio di potere femminile, ma capisce anche che nella società del tempo tale disegno era impossibile, che non poteva stare al di sopra di tutti gli uomini e così omaggia il potere ufficiale affermando alla fine del processo di aver cavato l'anima al diavolo. La sentenza tarda ad arrivare, intanto altre donne nominate vengono processate. Il 15 marzo 1505 nella piazza di Cavalese si legge la sentenza e sette imputate sono condannate al rogo. Tra le altre cinque successivamente processate c'è Barbara Marostega. Questa sempre riconduce la fantasia alla realtà, ironizza sulle procedure feroci e burocratiche del tribunale, riporta continuamente l'attenzione sulla prepotenza dei giudici e fa una analisi rudimentale ma efficace della stregheria. Quando confessa e capisce che il tribunale non smetterà di tormentarla cercando altre confessioni ritratta e si fa tormentare fino alla morte. La Marostega è accusata dal Delle Piatte, dalla Tomasina e da altre. Viene accusata di segnare i bambini per guarirli dal mal della senega, forse rachitismo. Fatto alla creatura il segno della croce si mette nel forno sopra una pala e poi la si ritira nel nome del padre ecc. Alcuni sopravvivono altri no. 'Cosa potevo farci io? Facevo ciò che andava fatto nel nome di Dio'. Fu sollevata e disse che voleva parlare, tirata giù non disse niente, questo più volte. A volte tirata su dice: 'cosa volete che dica, può essere che io abbia fatto quelle cose nel sogno, ma non lo ricordo'. Sotto tortura, cosa che avveniva tutti i giorni, una volta alle richieste dell'inquisitore di rispondere sì o no disse: 'male se dico no peggio se dico sì'. Altra volta dice: 'sia chiaro, se mi farete dire per forza, per forza bisogna dire.' Ancora dopo la tortura chiese di essere portata alla stua che vuole parlare e qui esordisce: 'ebbene se vince chi è più forte, bisognerà pur parlare'. All'ultima tortura lei si protesta innocente. Rimandata al lunedì morirà in carcere. Le streghe erano più facilmente accusate se donne povere, senza marito e figli, meglio se un poco emarginate. In alcuni casi donne con famiglia e figli numerosi vedono la loro difesa fatta con convinzione, in questi casi chi testimonia dice cose generiche per timore di contrasti con la famiglia. Oppure alcune resisteranno alle torture appoggiate dai mariti che promettono di aspettarle, quelle che riusciranno infine a non confessare torneranno a casa. Perché se non si confessa la stregheria non può essere provata. La pressione sociale verso la costituzione e il controllo della maternità trova nelle streghe l'esemplare classificazione di comportamenti contrari proprio alla natività. Donne spesso sole e senza figli facilmente erano accusate di stregheria, venivano così colpite situazioni, comportamenti e modelli ritenuti socialmente dispendiosi e inutili. Il passaggio dalla cultura medioevale a quella moderna inoltre cambia paradigma, avvicina i modelli verso l'immanenza. Ciò comporta una stagione in cui l'invidia sociale è sempre più presente. La competizione per il possesso è sempre più pronunciata. La differenza di classe sociale impediva questa inclinazione ma non del tutto, viste le lotte contadine contro i proprietari terrieri, invece nella formazione della nuova borghesia la proprietà diviene motivo di conflitto e di competizione sempre più diffusa. La spinta delle trasformazioni in atto punta contro le donne più deboli il meccanismo attraverso cui sfogare la violenza che cova nei rapporti sociali. Se doveva colpire era più facile accusando il più debole. In fondo la Chiesa continua a realizzare ciò che per Girard è il fine della religione arcaica, limitare la violenza generale incanalandola contro il più debole. Finirà questa pressione perché il sistema giungerà ad un adattamento e a un maggiore equilibrio, la scienza soppianterà la trascendenza religiosa con una nuova forma di immanenza. A quel punto molte donne non saranno più considerate streghe ma si vedranno trasformate semplicemente in isteriche.  

Franco Insalaco

1 commento:

  1. Et In Arcadia Ego...dicevano i membri della Compagnia del Gioco della Buona Società.

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