Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


sabato 17 maggio 2014

Warburg, terzo incontro

Atlante Mnemosyne
Ci trasferimmo dalla Firenze rinascimentale della Cappella Sassetti alla corte di Ferrara tramite l'Orfeo del Poliziano, poema d'occasione proprio per le feste della corte di Ferrara tenute a Palazzo Schifanoia, letteralmente schifa la noia. Finisce il poemetto con un inno a Bacco, dio romano corrispondente al greco Dioniso. In realtà nel salone dei mesi di Palazzo Schifanoia ciò che più interessa sono i decani. Erano stelle che in Egitto sorgevano in particolari ore della notte per un periodo di 36 volte ogni dieci giorni. Così si individuavano le ore notturne in Egitto sin dal 2.100 a.C. Un decano per dieci giorni indicava una certa ora poi, siccome le stelle sorgono qualche minuto più tardi, veniva sostituito da quello precedente. Così con i decani, 36 per dieci fa 360 giorni, gli antichi misuravano il tempo notturno. A questa concezione pratica gli egizi ne affiancavano una magica, per la quale il sole nel suo percorso incontrava geni che ne volevano rubare i poteri. Questi geni erano proprio i decani che si sollevano al suo tramonto uno dietro l'altro. 


Concezione che dall'Egitto passò duemila anni dopo in Grecia e attraverso Aristotele ispirò un matematico e astronomo arabo, Abu Ma‘shar. Come la maggior parte degli astronomi arabi, questi mantenne strettamente connessi l’aspetto astronomico o descrittivo e quello astrologico o divinatorio e, come già Tolomeo, considerò quest’ultimo aspetto nella sua relazione con la filosofia, ovvero con la cosmologia aristotelica. La dottrina della dipendenza di tutti i moti dal Primo Motore attribuiva infatti alle sfere celesti un ruolo di mediazione che poté, nell’interpretazione astrologica, essere assunto a fondamento della teoria dell’influenza degli astri sul mondo sublunare; l’accostamento delle dottrine fisiche di Aristotele alle dottrine astronomiche e astrologiche di Tolomeo aveva reso possibile, inoltre, attribuire all’astrologia una base scientifica e integrarla nel sistema scolastico delle scienze. Abu Ma‘shar è considerato uno dei maggiori astrologi della sua epoca per la teoria (esposta nell’opera De magnis conjunctionibus) delle grandi congiunzioni, secondo la quale vi sarebbe una stretta connessione fra le reciproche posizioni dei pianeti e i grandi mutamenti nella storia dell’umanità: crisi storiche decisive, quali i mutamenti dell’egemonia di popoli e di civiltà, l’avvento o il tramonto di religioni, l’affermazione o il crollo di regni e imperi. La creazione del mondo in particolare sarebbe avvenuta quando tutti e sette i pianeti erano in congiunzione al primo grado dell’Ariete e la fine del mondo si verificherà quando tutti i pianeti si troveranno all’ultimo grado dei Pesci. Questa magia astrale finì raffigurata sulle pareti di palazzo Schifanoia. Borso d'Este chiese di affrescare il salone del palazzo, eretto da Alberto d'Este, due anni prima di ricevere dal papa l'investitura di duca di Ferrara. L'Officina Ferrarese venne ingaggiata e Cosmè Tura, non si sa fino a che punto, ne prese la direzione. L'opera fu completata tra il 1468 e il 1470. Chi però costruì la complessa rappresentazione zodiacale, Warburg lo scoprì, era Pellegrino Prisciani, bibliotecario, storiografo e sovraintendente alle arti di corte, oltre che professore di astronomia. Warburg presentò a Roma nel 1912 gli atti dei suoi studi sugli affreschi del salone delle feste, per primo aveva intuito il significato astrologico presente nelle rappresentazioni dei mesi. Secondo il Prisciani doveva essere una sorta di grande talismano murale. Così Warburg ricostruì la migrazione dei decani attraverso la Grecia, l'Asia Minore, l'Egitto, la Mesopotamia, l'India, l'Arabia, la Spagna, con la finale ricomparsa, Nachleben, e rinascita a Ferrara.

Punto d'orientamento di tutta la precessione è il primo decano dell'Ariete, il Vir Niger. Ricompare così questo simbolo dopo tremilaseicento anni nell'affresco dipinto da Francesco del Cossa, un fantasma che Mnemosyne non ha dimenticato. Il suo engramma di energie cristallizzate torna al mondo nel palazzo di Borso d'Este rivivendo tra i commensali delle sue feste. Le raffigurazioni di mese in mese mostrano in basso la vita ferrarese, sopra, a sorvegliarne le fortune, i segni zodiacali con i decani come descritti da Abu Ma‘shar. In alto, infine, le divinità tutelari del mese con la narrazione di qualche episodio mitico. Nell'affresco in cui è raffigurato il Vir Niger, Borso d'Este amministra la giustizia e va a caccia sotto il trionfo di Minerva, dea romana della guerra di probabile derivazione etrusca. Così possiamo indicare il circolo ermeneutico warburghiano come una spirale su più piani. Quello dell'iconografia e della storia dell'arte, il secondo è la storia della cultura, il terzo è la sua scienza senza nome, volta a una diagnosi dell'uomo occidentale attraverso i suoi fantasmi, alla cui configurazione Warburg ha dedicato la vita.


La ricerca di cause mitiche per spiegare eventi anomali è una pratica magica che persiste nei secoli. La contemplazione artistica ha combattuto contro le paure primitive e contro le speranze delle pratiche magiche. Durer e la sua terza incisione, Melancolia, sono al centro dell'analisi del Warburg. Il pianeta maligno Saturno provoca la bile nera e la tetraggine nell'animo, ed è centrale in ogni movimento cui si riferisce l'astrologia. Pianeta che pone i suoi influssi deleteri e distruttivi, la sua presenza in certi momenti della storia singola o collettiva sembra determinare catastrofi personali e storiche. Così il benefico influsso di Giove e del suo quadrato magico, presente nell'opera del Durer, mitiga l'influsso luciferino del pianeta oscuro. Durer costruisce questa rappresentazione per mostrare come l'imperatore Massimiliano, che si considerava figlio di Saturno, fosse nella mitologia magica del Durer al centro di una una trasformazione artistica che si oppone all'influsso del pianeta mangiatore di bambini, rappresentando invece l'incarnazione visiva dell'uomo impegnato nella meditazione attiva. Il demone saturnino, di derivazione pagana, è in un certo senso sconfitto dalla figura melanconica del Durer in atto meditativo, il compasso che ha in mano testimonia questa lotta che cerca una presa di distanza dalle immagini simpatetiche, cioè che sembrano accordarsi perfettamente con le inclinazioni di qualcuno o qualcosa, come uno scienziato moderno la Melancolia cerca di trovare tra pratica magica e matematica cosmologica lo spazio al proprio pensiero per contemplare l'oggetto in modo spassionato. Ma il regno della ragione e della riflessione sono sempre tratti in squilibrio dai poteri della paura e della mentalità magica. Questa lotta di fondo tra motivi apollinei, bellezza, luce, purezza, e i motivi che vogliono snaturarli costituisce il polo schizoide della mente umana. In questo senso Warburg vede nella tecnologia che sottopone al suo controllo la natura, ad esempio con l'elettricità, un automatico rimpicciolimento del mondo, cioè un riavvicinamento dell'oggetto, il problema allora è che quello spazio che l'arte cerca di costituire per meditare e contrastare la mentalità magica viene dalla techne eliminato. Perciò il rischio che Warburg vede è la ricaduta repentina nella medesima condizioni da cui l'uomo faticosamente tenta di sfuggire. La lotta che avviene nei poli che costituiscono la nostra mente è quella, secondo il Warburg, che accade tra Atene e Alessandria. Tra la visione apollinea e i demoni. Tra la bellezza e l'armonia presenti nella parta alta dedicata agli dei del salone delle feste di palazzo Schifanoia, e i decani dipinti nella parte intermedia delle pareti. Il decano principale è il Vir Niger, chi è? Warburg lo identifica con la costellazione di Perseo, l'eroe che uccide Medusa, chi la guarda rimane pietrificato dal terrore. I capelli di Medusa erano in realtà serpenti che si muovevano in ogni direzione. Perseo è l'eroe che taglia la testa di Medusa, perciò dà un taglio al terrore, aprendo la via alla bellezza e all'armonia con il suo mito pieno di costellazioni. Atena alla sua morte lo eternizza in cielo. Perseo uccide il mostro e al ritorno in volo vede la bellissima Andromeda, la figlia di Cèfeo e Cassiopea, incatenata a punire l'affronto di sua madre alle nereidi, ella si era considerata la più bella, Poseidone le vendica con l'incatenamento della figlia. Andromeda liberata è sposata dall'eroe Teseo. Ma era già promessa al fratello di Cefeo, suo zio Fineo. Con il mito di Teseo perciò finisce l'epoca del matrimonio endogamico possibile all'interno dello stesso clan, e inizia quello esogamico, cioè solo tra figli di famiglie e clan differenti, passaggio che si delinea quando il matriarcato cede il potere al patriatrcato. Ma torniamo al Warburg, nella sua prospettiva le stelle guidano gli uomini nel loro tentativo di stabilire i confini del proprio mondo. Nelle stelle riflesse in cielo uomini e donne vedono forme a cui danno un nome. Se pensiamo che nell'Europa antica, preistorica, neolitica e paleolitica, gli architetti già sapevano orientare le loro opere megalitiche, pensiamo a Stonehenge, siamo circa nel 4000 a.C., e così per tutti i templi di questo tipo, con disposizione perfettamente allineata nello spazio con ingressi a nord, sud, est e ovest, in perfetta simmetria con i passaggi degli equinozi comprendiamo come tecnica e magia siano simmetrici. Avevano perciò in quelle epoche già idee precise della disposizione dell'universo. Tale conoscenza era certamente dettata da fini religiosi e predisponeva una proiezione spaziale in cui la gens si situava. I nomi dati alle stelle creavano uno spazio riconoscibile alle popolazioni umane. Ma le immagini corrispondenti ai nomi sono sempre in procinto di dispiegare il loro potere magico/demonico. Quando il simbolo che rappresenta l'immagine prevale, allora non sarà più solo significativo il dato che serve di riferimento al riconoscimento spaziale, ma si schiuderà alla credenza di qualcosa di ulteriore. Il significato ulteriore che assumerà accompagna l'utilizzabile, spesso coprendolo. Quel significato ulteriore è l'immagine attribuita alla costellazione, per somiglianza, per familiarità, perché la rappresenta in modo preciso, simpatetico, tale attribuzione scivolerà verso cause magiche che sovrapporranno l'oggetto con il simbolo, con ciò che lo rappresenta, cosa e significato allora coincideranno. La crisalide rappresenta la potenza dei poteri di rinascita, perciò chi la mangia introietta il suo potere. Noi continuiamo per molti versi questo tipo di movimento alimentare anche nel linguaggio. Assimiliamo i significati. Non reggiamo il vuoto che costituisce la lingua, così la dobbiamo riempire di significati. Scrive Sartre in 'L'essere e il nulla': 'Il per sé si fa annunciare ciò che esso non è per mezzo delle qualità. Percepire il rosso di questo quaderno è riflettere se stesso come negazione interna di questa qualità. Il che significa che l'apprensione della qualità non è 'riempimento', come vuole Husserl, ma formazione di un vuoto come vuoto determinato di questa qualità. In questo senso la qualità è presenza sempre irraggiungibile. Le descrizioni della conoscenza sono troppo spesso gastronomiche. C'è ancora troppo prelogismo nella filosofia epistemologica, non ci siamo ancora sbarazzati dell'illusione primitiva (di cui dovemo renderci conto più avanti) per la quale conoscere è mangiare, cioè ingerire l'oggetto conosciuto, riempirsene e digerirlo ("assimilazione").' Insomma, così il Warburg vede nell'atterramento del Vir Niger a Palazzo Schifanoia niente altro che un Perseo rinascimentale che torna proprio a recuperare spazio alla bellezza rovesciando il significato dei segni astrologici, come Durer rovescia quello di Saturno. Il Rinascimento riconosce nell'eroe che uccide il mostro la salvezza dalle perversioni della tradizione medioevale e orientale. I studiosi presenti a Roma non si convinceranno della ricostruzione proposta da Warburg, secondo cui il Vir Niger è Perseo. Per Warburg l'uomo proiettando le immagini del proprio mondo nel cielo stellato dà un senso allo spazio che orla i suoi confini, il suo orizzonte, così aiutato da questi riferimenti riesce a collocarsi. Sarà la similitudine a dare il nome alle costellazioni, l'orsa, i gemelli, i pesci sono tutte rappresentazioni per similitudine. Una volta nominate le stelle sono poste sotto il nostro controllo. Ma per non perderci, questi punti definiti dall'uomo non devono confondersi con gli esseri mitici, quando l'immagine da funzionale, cioè proiettata per scopi mnemonici e per orientamento degli umani, viene scambiata con la stessa realtà. Il mondo di sogno del pensiero magico allora confonde il segno utile a orientare, con l'oggetto, il simbolo e il significato che lo denota, stesso collasso schizoide dei fraticelli dell'Inquisizione. Si afferma l'idea che le costellazioni siano davvero tori, gemelli e pesci che abitano il cielo, come le streghe che non solo sognano o immaginano ma fanno realmente ciò che raccontano. La metafora visiva si trasforma nella credenza magica. Se in cielo c'è un ariete questo deve avere tutti i caratteri dell'ariete, se uno nasce sotto il suo segno ne porterà i caratteri. Sarà un mercante di tessuti o un pastore, avrà fisionomia e temperamento dell'ariete. Così la tecnica astrologica tenterà di trarre il maggior numero possibile di caratteri individuali dalla costellazione di nascita arricchendo le proprie profezie. Il segno allora da un lato è utilizzabile come guida spaziale, ma dall'altro diviene causa dei fenomeni che hanno familiarità di quel tipo, sia nel passato che nel presente e nel futuro. Quando gli astrologi aumentano i segni e i significati stravolgendo la forma originaria del cielo stellato, aggiungono agglomerati puramente immaginari di figure fantastiche e in questo modo minacciano il sistema di orientamento. I Decani egizi e i sovrani dei dieci mondi si andranno così ad aggiungere alle poche costellazioni utilizzabili. Mentre i segni dello zodiaco indicano veramente la posizione del sole nei mesi da loro governato, dando una valida conoscenza scientifica, nulla corrisponde a queste personificazioni della settimana nel calendario egizio. Ma i segni zodiacali e i decani sono ora fianco a fianco. Anche per l'utilizzabilità egiziana dei decani è da dire che non si sa quali siano veramente queste stelle, in numero di 36 evrebbero consentito l'individuazione dell'ora notturna, salvo forse Sirio le altre stelle sono sconosciute, probabilmente erano costellazioni. Gli astrologi avendo necessità di rendere più complesso il loro cielo astrale inserirono una serie infinita di nuove entità immaginarie. Ad esempio moltiplicarono i nomi, se Eracle e Thot sono la stessa cosa per i Greci e gli Egiziani, gli astrologi medioevali li usano entrambi, duplicando così le influenze. I paranatellonta, ad esempio, erano formazioni addirittura giornaliere e fittizie riprese dagli antichi egizi. Il calendario egiziano prevedeva 360 giorni divisi in 12 mesi di trenta giorni, divisi in tre decani e trenta paranatellonta, questi ultimi influenzavano il destino a seconda dell'aspetto che assumevano il giorno della nascita. Espulsi da Tolomeo rientrano con Pietro d'Abano. Tali costellazioni iniziano a confondere la ricostruzione dei segni funzionali nel cielo. Ma si va oltre nella invenzione dei segni, nel Picatrix alle costellazioni immaginarie è attribuito un potere magico e nel Rinascimento era normale che pietre e amuleti fossero incisi di queste immagini. Picatrix ne riporta di veramente spaventose. Perciò l'eroe che uccide il mostro secondo Warburg ritorna verso una interpretazione classica, più razionale e perciò scientifica. Nell'astrologia Warburg vedeva in atto il pensiero bipolare. L'immagine di Venere nel Quattrocento poteva contenere entrambi i poli, pianeta causa di certi effetti astrologici ma anche evocazione classica della divinità dell'amore. L'astronomo Greco fissò nel cielo la sua teoria di movimenti traducibili matematicamente e giustificati dai movimenti delle stelle. Il sistema tolemaico delle sfere, con i suoi cicli ed epicili, è una immagine scientifica in grado di afferrare e prevedere il movimento delle stelle. La bellezza, la contemplazione, sono di antidoto alle pratiche magiche. Dove regna la contemplazione sparisce la paura. L'idea di un universo governato dai numeri porta agli usi e abusi di questa concezione. Se è dominato dai numeri è perché c'è una armonia nel tutto che ritorna, ciò mette in relazione il micro con il macro. L'uomo e l'universo sono in rapporto simpatetico, ciò che si muove sopra, si muove anche sotto. Ma questa impostazione riapre il varco alla interpretazione magica. Bene, questa che abbiamo appena descritto è la prospettiva di Gombrich. Ne seguiremo una di tenore opposto, che è invece di Didi-Huberman. I filosofi preferiscono questa seconda versione meno apollinea.

Riprendiamo il filo dell'analisi che Warburg tesse sul Rinascimento. Analisi che pone al centro della sua indagine alcuni elementi ripresi da filosofi, biologi, psicologi, critici ecc. L'arte è necessaria all'uomo per oggettivare il reale e prenderne distanza. Per controllare le forze che lo costituiscono. Per avere un rapporto in cui le cause degli eventi siano messe a distanza e chiarite. Il fatto è che in ogni essere vivente scatta un meccanismo di attribuzione di causa provocato dalla paura. Prendere distanza da tale paura è l'elemento patico con cui l'arte cerca di agire tale controllo. Per questo nella sua storia il riferimento è sempre alla bellezza. Come unico obiettivo che l'arte ha nel suo discorso con la bellezza trova la sua verità. Il dio per Warburg abita i particolari. Così la bellezza è sempre accompagnata da sintomi, segni, forme che ne dichiarano una diversa origine. Hanno origine in ciò che la bellezza copre. Cosa copre la bellezza? La condizione tragica della vita. Insomma, alla fine c'è la morte. Cerchiamo una consolazione a questa tragedia tramite la bellezza che aiuta a dimenticarcene. Le patosformel sono per Warburg le forme con cui il pathos si ripresenta dietro la bellezza, nei particolari, nei dettagli. Come Freud cerca nei sogni, nei qui pro quo, negli errori linguistici, i segni e i sintomi della patologia, anche Warburg nei dettagli trova i sintomi. Tenterà Warburg anche di disegnare le forme che si ripresentano, per dare un ordine che però si accorge è impossibile da inquadrare. Avverte che sotto l'apollineo narrare delle immagini è nascosto un groviglio di serpenti arrotolati che guardano ciascuno in altra direzione. Dioniso così viene nascosto sotto la bellezza narrata da Apollo. Il pathos del corpo è soggiogato dalle spiegazioni che il sapere positivo pone cercando le cause, cioè il significato. Ma sotto rimane il groviglio, nei particolari, nei dettagli, dove viene meno il cuore del messaggio, allora un contenuto opposto emerge. Il pensiero è così sempre in gioco tra scienza e passione fisica, corporea, che trascina quella sovrabbondanza generosa e spaventosa costituita dalla vita e dal suo limite, dalla sua fine, dalla morte. Il fatto è che egli vede l'arte rinascimentale attraverso un complicato movimento che ha al suo centro il problema delle immagini. Partirà da lui, dai suoi discepoli, l'iconografia e l'iconologia. La prima vede il segno, la seconda il contenuto. Ma entrambe sono vie troppo strette per il modo di procedere del Warburg. Egli scopre che le immagini sono revenantes, sono fantasmi, ma subiscono torsioni, cambiamenti, tensioni, nonostante la loro condizione spettrale. Nella introduzione del Boccaccio alla quarta giornata del Decameron si parla delle donne che sono corrispondenti a quella imago della Ninfa di cui parla l'autore. La imago moderna inizia con lui, quando dice nel Corbaccio, al contrario di ciò che afferma nel Decameron, che 'le cose più belle son femmine, ma non pisciano'. Stella, ad esempio, è femminile, ma non piscia. Questo è un punto in cui la sutura che il medioevo con Dante e Cavalcanti aveva tentato unendo imago e mondo reale il Boccaccio separa, le immagini sono immaginate, perciò non pisciano. Questa demarcazione stabilisce l'inizio della letteratura moderna. Direi che ha a che fare con il realismo e il nominalismo. La scuola di Tommaso e il nuovo che avanza con Occam.

Ninfa è per Warburg, secondo Agamben, l'immagine dell'immagine. Cioè al quadrato. Aby questo studia, citando in alcune occasioni proprio il Boccaccio. Ma cosa significa questo? Bo! Non lo so. Certamente mette in evidenza un fatto. Che le immagini abitano la memoria individuale e anche quella storica. ll punto è che nel Rinascimento, proprio quando inizia il processo che si apre alla modernità, ciò che Warburg nota è una molteplicità di forme che riguardano immagini del passato, cioè pagane. Ad esempio, il Vir Niger e tutti i decani rappresentati a palazzo Schifanoia dall'Officina Ferrarese. Questa unione Warburg l'aveva notata anche nel simbolo come indicato da Vischer, un hegeliano che però a differenza di Hegel ritiene importante psicologicamente i simboli, per Hegel erano sotto il profilo logico insignificanti, spiegano solo il modo in cui l'uomo ha iniziato ad attribuire la causalità in modo errato e sotto l'impeto della paura. Vischer ne evidenzia l'aspetto psicologico. Se osservo la crisalide diventare farfalla ecco il simbolo della rinascita. Ma anche l'ostia non rappresenta il corpo di Gesù, lo è. Perciò nel simbolo l'immagine/oggetto non rappresenta è. Warburg descrive la danza del serpente vedendo in atto lo stesso meccanismo. Prenderà da Darwin tre concetti sull'espressione, e mostrerà come nel Masaccio lo studio di Darwin sull'espressione aiuti a comprendere i volti dipinti. Ma sopratutto come l'inversione indicata da Darwin porta le immagini a significare l'opposto di ciò che in origine significano. La Ninfa da dionisiaca diventa cristiana. Ciò per Warburg significa che sotto la bellezza apollinea continuano a venire fuori, Nachleben, le forme, Pathosformel, impresse da Dioniso. Questa è la schizofrenia presente nella nostra immaginazione. Il Warburg vede che mentre il serpente degli indiani non rappresenta ma è il fulmine e alla fine della cerimonia viene liberato, invece con la nuova causalità scientifica si spiega l'elettricità e il suo processo, ma il serpente viene sterminato.
Vede come le forme pur rimanendo uguali abbiano significati differenti. Come, insomma, sopravvivano, nachleben, ad esempio in pieno Rinascimento, quando nel salone dei mesi di Palazzo Schifanoia i decani ancora indicano le stagioni e il loro ruotare notturno. Oppure la servetta di Domenico Ghirlandaio così simile alla Vittoria romana in effige su un solido, cioè la moneta dell'Imperatore Costantino II. La servetta come la dea alata ha una forma ricorrente a cui Warburg dà il nome di Ninfa. La ninfa Liriope e il Dio fluviale Cefiso concepiscono Narciso. Ninfa vitale e dio fluviale malinconico. Così accade che le forme siano energia cristallizzata nella memoria che riemerge ricorrentemente in costellazioni, configurazioni energetiche, cui Warburg dà il nome di engramma, prende il nome da un biologo, Semon, con cui si indicavano nella struttura neurale le modifiche che ogni esperienza lascia nella memoria. Nelle connessioni sinaptiche strette con i neuroni la traccia mnestica cambia per sempre la mappatura cerebrale e perciò storica. Tale configurazione storica Warburg cercherà nell'ultimo progetto della sua vita di disegnare tramite l'Atlante illustrato della memoria, Atlante Mnemosyne, rimasto incompiuto.

Ciò che interessa è la dimensione politica che apre questa prospettiva. Partiamo con la forma che è anche contenuto. Warburg amava da bimbo entrare nell'armadio dove al suo fondo trovava delle calze di lana, metteva la mano dentro la calza e provava un grande piacere per il caldo della stoffa a contatto con la pelle e per la forma di borsa che otteneva, gli piaceva poi il dono che via via sfilava dalla borsa che la calza era diventata, ma sfilato il dono che nascondeva, quando alla fine la manina era uscita, sgomento vedeva che la forma della borsa non c'era più, insomma, si rendeva conto che forma e contenuto sono la stessa cosa. Certo, come dice Adorno nella Teoria Estetica, il contenuto è sedimentato. Ciò significa che ogni forma non sta mai detta una volta per tutte. Che nessuno può dirla definitivamente, neanche l'autore. Non ha l'autore maggiore autorità per dire il senso della sua opera di quanta ne abbiano altri. Anzi spesso altri possono scoprire molto più di quanto l'autore stesso credeva di aver messo. Siamo in un gioco che a questo punto Adorno esplicita dicendo che l'invisibile abita nel visibile. Poiché non tutti vedono allo stesso modo, solo alcuni percepiscono ciò che ad altri è invisibile, ne colgono le tracce.

Per questo la forma pur rimanendo la stessa continua a produrre senso. Non rappresenta soltanto, non riproduce il reale, ma produce. Produce che cosa? Produce se stessa e il suo contenuto. Warburg ha presente la polarità tra Apollo e Dioniso, sa che non si conclude attraverso la sintesi, non avviene che uno si risolva nell'altro. Si tratta pertanto di riconoscere nel rappresentabile, l'apollineo, l'irrapresentabile, Dioniso. Cioè nel visibile, l'invisibile. Questa è la dimensione tragica dell'immagine in cui il sensibile è irriducibile all'intelligibile. Perciò Warburg ritiene che quando vediamo una immagine essa sia carica stratigraficamente nella sua dimensione sensibile di memoria, mnemosyne, intrisa di oblio. La conoscenza allora non può emanciparsi completamente dal mito, a differenza di quanto crede la concezione evoluzionista e progressista. Ciò testimonia come ogni conoscenza abbia una origine mitica. La memoria incarna l'immagine alla sua superfice e le garantisce autonomia confronto alla realtà, perciò essa può stratificarsi in significati così differenti. Nei fenomeni Warburg e Adorno sentono manifestarsi storicamente la molteplicità dei significati. Così l'irrapresentabile, l'invisibile, si dà nell'immagine che è presentazione di se stessa, perciò è opaca, ma insieme rappresenta anche l'altro, cioè è trasparente, perciò non è possibile ridurre tutto a rappresentazione. Tale condizione rovesciata ne determina la potenza, poiché tale impossibilità di ridurre tutto a rappresentazione consente all'immagine di produrre dal suo interno significati sempre nuovi.

L'immagine è allora autonoma due volte, esteticamente nella forma sensibile, formalmente dalla parte del significato. A differenza di chi ritiene il mito il primo passo verso la conoscenza, prima tappa della trasformazione simbolica del mondo che poi penserà la scienza a correggere se non ad annullare, vedi Cassirer e i neokantiani, ma anche Gombrich, per Warburg al contrario l'influenza delle forze e delle emozioni primitive non viene mai meno. Si modifica nei periodi successivi ma rimane elemento fondamentale della rappresentazione. Cassirer dopo Warburg ne elimina il nucleo mitico-pagano, iniziando quella messa tra parentesi della tensione tra immagine e significato a vantaggio di quest'ultima dimensione, come faranno il Gombrych e lo stesso Panofsky. Tale riduzione dal visivo al verbale porta alla perdita di quella storicità dell'immagine che per Warburg è fondamentale. Perciò possiamo dire che la 'Scienza senza nome' del Warburg, più legata alla vita anziché all'elemento letterario e formale, trasforma la critica d'arte in una scienza della cultura. Ora ciò che ha più rilievo in questa relazione che Warburg pone tra memoria, immagine e tempo è che si nega un inizio assoluto. Cioè le cose più antiche non vengono prima di quelle meno antiche, non esiste quindi una storicità assoluta, autonoma, delle immagini. La vita dell'immagine ha invece una sua temporalità interna. Esiste sì il passato, ma esso sempre si ricostituisce nel presente, nell'atto di chi lo pensa, altrattanto come il presente si costituisce a partire dal passato. Ciò vuol dire anche che non esiste forma senza contenuto, vale anche il contrario, inoltre che il contenuto è formato nel tempo. Tale tempo non è più perciò lineare ma complesso. Perché è dal suo presente che si proietta verso il passato, cioè verso il futuro. Questo il motivo per cui non esiste archetipo assoluto. Non esiste neanche l'originale e la ripetizione.

Già Goethe aveva messo in evidenza come l'immagine sia divenire, ma se fosse solo tale non sarebbe riconoscibile, perciò deve anche essere. Questa doppia condizione del'immagine la pone tra due poli, forma e contenuto, che non rendono mai possibile una classificazione definitiva. Ecco allora che aiuta il concetto di Warburg della sopravvivenza, nachleben, cioè della ricomparsa di significati antichi insieme a quelli nuovi. Impossibile una memoria senza immagini, ecco quindi il tentativo di Warburg di ricostruire tramite l'Atlante Mnemosyne la loro storia intrinseca. Tale opera viene concepita con una maglia concettuale larga, cioè tramite determinazione e traslazione di una classe, ricordate la crisalide e il suo potere di rinascita? Bene, è simile al concetto di somiglianza famigliare di Wittgenstein. Questa impostazione temporale fa sì che non sia più possibile distinguere tra originale e copia, la ripetizione ha in sé anche l'origine stratificatasi nel tempo, accade perché le immagini sono vive, in noi, nella nostra memoria, perciò nachleben, sopravvivono. Ciò porta a concludere che il passato apparentemente irrevocabile, per noi si rimette in movimento, cioè ridiventa possibile. Così l'immagine è come Giano bifronte, ha una doppia temporalità, una in entrata e una in uscita, come l'attimo, inizia, apre, ma già sta finendo, si chiude. Si apre e riapre. Eppure se l'attimo è pieno, cioè creativo, rimane eterno, vedi anche il problema dei fatti che stanno fatti di Jankalevich. Perciò è necessario elaborare un'altro concetto di tempo.

Warburg parla di polarità, Benjamin di 'immagine dialettica'. Emerge per entrambi la modalità contraddittoria come presenza e rappresentazione. Appare per rendere visibile. Per questo più che la continuità storica prevale la discontinuità, l'anacronismo, nella temporalità dell'immagine. Così Benjamin passa dalla concezione del passato come 'fatto obiettivo' al passato come 'fatto di memoria', come fatto cioè in movimento. Ciò non significa che i fatti non restino fatti, cioè che quanto è avvenuto sia emendabile. Ma significa che la traccia mnestica che quei fatti hanno tracciato può cambiare. Insomma, è nella memoria che noi ricostruiamo il passato, perciò si esclude che il lavoro dello storico possa fare a meno di una teoria della memoria. Ora si tratta di non andare verso la memoria volontaria, quando cioè andiamo razionalmente a ricordare i fatti, ma di orientarci verso quella memoria involontaria  di Proust in cui per il corpo si produce qualcosa di diverso da ciò che è. L'origine per Benjamin e il nachleben di Warburg, cioè sopravvivenza, entrambi sono per questa condizione produttiva, creativa e ricreativa. Un passato che ritorna come anacronistico, cioè senza tempo. Dunque ritorna come non è mai stato vissuto, torna allora anche come possibilità. I mass media danno sempre i fatti, ma come memoria volontaria, come memoria dei vincitori, senza la loro aura, cioè senza le possibilità. Un fatto questo che ci lascia impotenti, dal momento che si offrono come mero oggetto di constatazione. Ma l'idea di corso progressivo del tempo non è forse l'idea che la cultura dominante, cioè dei dominatori, impone? Tale cultura vuole l'esclusione di molteplici possibilità, voci e immagini. Ad esempio, quelle degli ultimi. Ed è lo sdegno per tale esclusione che porta Benjamin a concepire una rivoluzione rivolta al passato. Una redenzione che riguarda quel passato perduto e restituisce la parola a chi è stato escluso, a chi è stato dimenticato proprio dalla storia lineare dei vincitori. Per questo è necessario contrastare l'oggettività fattuale di ciò che è stato. In una lettera Max Horkheimer aveva scritto: "L'ingiustizia passata è avvenuta e definitivamente conclusa. Gli uccisi sono veramente uccisi... L'ingiustizia, l'orrore, i dolori del passato sono irreparabili'. Benjamin risponde: 'La storia non è solo scienza ma anche e non meno una forma di rammemorazione. La rammemorazione può fare dell'incompiuto (la felictà) un compiuto, e del compiuto (il dolore) un incompiuto'. Questa è l'immagine dialettica che tra scienza e rammemorazione porta con sé una salvezza non più illusoria e rivolta al futuro ma al passato. Costruisce cioè un nuovo rapporto tra presente e passato, lavora esclusivamente sulla traccia mnestica. Ma non si può accettare, come ricorda Hannah Arendt descrivendo la discussione tra due tedeschi nel dopo guerra, che uno dica che è la Russia ad aver attaccato la Germania richiedendo alla sua opinione la stessa dignità di quella opposta. Scrive Benjamin: "Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l'ora (Jetz) in una costellazione. In altre parole: immagine è la dialettica nell'immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, quella tra ciò che è stato e l'ora (Jetz) è dialettica: non di natura temporale ma immaginale. Solo le immagini dialettiche sono immagini autenticamente storiche (cioè non arcaiche)".

Allora, per ciò che riguarda la traccia mnestica il ricordo diventa anche un risveglio, quando finalmente per noi il passato acquista la sua piena intelleggibilità. L'immagine dialettica è un fermo immagine, dove il passato ancora non è completamente fatto e il suo sapere ancora non è giunto, perché solo ora può finalmente realizzarsi. Quel punto è il risveglio che interrompe il continuum storico, sono cioè le epifanie di Proust. Questo è lo spostamento che Warburg pone nel nachleben, la sopravvivenza, ed è anche, forse, il motivo per cui lui stesso guarisce dalla schizofrenia. Perché il passato riletto alla luce delle nuove acquisizioni sprigiona una energia che porta alla conversione. Si dà conversione quando non sono più i modelli a condizionarci, il loro posto lo prende l'immaginazione attiva, cioè la creazione, ricreazione. Questa la distanza che Warburg marca dal metodo stilistico-formale, quello che invece è inclinato a seguire anche il Gombrich, cioè imperante nella storia dell'arte alla fine del diciannovesimo secolo. Spostamento dalla valutazione estetica dello stile dal formalismo estetico, per seguire la sopravvivenza nella memoria, nella cultura, delle pathosformel che come engrammi energetici parlano ancora al nostro presente. Warburg più che un investigatore è allora un cacciatore di perle, termine con cui Hannah Arendt definisce la filosofia poetica del cugino, Walter Benjamin. Perché non è possibile quadrettare mnemosyne, occorre immergersi con i pericoli che questo comporta, come in un oceano senza limiti noti, cioè: ineffabile, invisibile, indicibile, inimmaginabile, inquadrettabile, indivisibile, imparcellabile, impartizionabile.

Shakespeare:

A cinque tese sott'acqua
Tuo padre giace
Già corallo
Son le sue ossa
Ed i suoi occhi
Perle.
Tutto ciò che di lui
Deve perire
Subisce una metamorfosi marina
In qualche cosa
Di ricco e di strano.
Ad ogni ora
Le ninfe del mare
Una campana
Fanno rintoccare.

Allora ci immergiamo di nuovo e capiamo che lì dove tutto è naufragato, nel tempo, ci sono degli autentici tesori. Scoprendo anche che il più ricco, quello che si mostra ogni tanto per poi sparire, come dice Hannah Arendt, lì si nasconde, nell'immagine. Cioè, la possibilità che riapre la libertà. Se l'immagine infatti non è mai chiusa, l'immaginazione creativa può rendere pieno ogni attimo della sua energia, ricreare ogni volta un senso che ci libera del passato e dai suoi condizionamenti. 

Franco Insalaco

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