Iniziamo
questo percorso sul pensiero femminile in media res, sul bordo della
cosa, essendo la cosa, l'oggetto, al centro, a metà della relazione con il
soggetto, partiamo in media res tra soggetto e oggetto. Un percorso intitolato 'Un'agorà al femminile 2' in cui parleremo non solo di filosofia, ma di letteratura, di
psicoanalisi, di linguistica.
Nella prima agorà avevamo seguito Luisa Muraro con la sua storia
della stregheria, Adriana Cavarero e il racconto posto come
esplorazione di chi siamo, Luce Irigaray che ribalta se stessa, la
filosofia e la psicoanalisi, infine Simone de Beauvoir con la prima
completa ossatura filosofica del pensiero femminista. La migliore
anticipazione delle tematiche che seguiremo in questa seconda
edizione, di nuovo sulle tracce del pensiero femminile, proviene da
una autrice nata in bulgaria nel 1941 ma vivente in Francia dal 1960,
Julia Kristeva, filosofa, psicoanalista e linguista naturalizzata
francese.
In Francia ritroviamo le sue coordinate filosofiche: Jaques
Derridà, Gilles Deleuze, Foucault, Lyotard, ma di riferimento sono anche filosofi tedeschi come
Husserl, Heidegger, Hannah Arendt. La sua analisi è attuata con gli
strumenti resi disponibili dalla filosofia, dalla linguistica, dalla
psicoanalisi, dalla letteratura, quest'ultima va intesa senz'altro come
il suo referente principale giacché, secondo l'autrice, qualcosa in
più è posto in particolare dalla poesia, qualcosa di veramente
rivoluzionario. Giocheremo perciò nei prossimi incontri di sponda
tra verità e senso, cercando ciò che differisce tra queste modalità
con cui linguisticamente nominiamo e descriviamo il mondo. Abbandoniamo
Krishnamurti che, se ricordate, ci invitava ad uscire dai giochi del
soggetto e del linguaggio; invece vi rientriamo decisamente per
cercare di capire cosa sia il soggetto, cosa la lingua, cosa
l'oggetto, argomenti di cui per alcuni incontri ha parlato proprio
Krishnamurti evidenziando alcuni problemi. La Kristeva ne parla coadiuvata in
particolare da alcuni filosofi, linguisti e psicoanalisti, per questi
ultimi la scuola di riferimento è quella materialista: cioè
Freud, Melanie Klein, Lacan. Per la letteratura si avvale dell'aiuto
di due scrittori, Lautremont e Mallarmé, più avanti, vedremo, anche
Colette. Il testo della Kristeva è intitolato 'La rivoluzione del
linguaggio poetico'. Testo complesso del quale cerchermo di risalire
controcorrente la forza con cui trascina via.
Così
inizia il libro: 'Una rivoluzione del
linguaggio poetico, nel senso dell'ostinata rotazione della terra
attorno al sole, c'è da sempre. Strumento della rimozione, il
linguaggio poetico ritorna sulle proprie tracce e a forza di
ripassare di là fa sì che avvenga il rimosso. Non come sintomo o
come angoscia consunta, analizzata. Ma quasi aurora sopra la notte,
quasi luce piena sul viso incavato, quasi iperbole di un fuoco
incessante. Eraclito è il sublime pensatore di questa poeticità che
ogni linguaggio cela, anzi ora si avverte come ciascun sema, ciascun
morfema sia già una metafora. Il linguaggio poetico è la messa a
nudo di questa logica, di questa rivoluzione che costituisce l'essere
parlante in quanto parla cioè ripete senza sosta le proprie rotture,
le proprie separazioni e le sposta indefinitamente, all'infinito, per
farne poi quel che risulta un senso.'
Cosa
di rivoluzionario hanno fatto i due poeti citati prima? Hanno
iniziato a scavare il verbo, cosa che finora spettava alla teologia.
Così oggi secondo la Kristeva per la prima volta questo scavo diventa
esperienza laica. In anticpo sui tempi Mallarmé e Lautremont
attaccano quello che è il punto più duro e resistente, inconscio e
comunitario, cioè su tutti i fronti il meccanismo della
significanza. La novità di questa rivoluzione è che la fanno a
partire dalla forma,
da
allora non sarà più apparenza o superficie ma snodo di strategie
eterogenee, semiotiche e simboliche. Il colpo di mano di questi
autori ancora oggi non cessa, secondo la Kristeva, di essere in anticipo
sui tempi. Nell'epoca dei mass media, quando ormai le masse esaltate
delle folle occidentali rinunciano a seguire le paranoie di un
folle, riassorbono la loro isteria nella noia di un delirio
banalizzato dove tutto è a portata di mano, il capitalismo ormai
trasforma qualsiasi sogno in banalità, non più sollecitate dal
fantasma (secondo Freud il desiderio è un fantasma che nel divieto
ha il suo opposto), ormai nessuno straniante distoglie o colpisce.
Né lo possono le ideologie giacché quale liberazione non ha
mostrato il suo risvolto totalitario? Ciò che rimane di misterioso è
il potere di nominare l'ignoto attraverso suoni, colori, parole
insospettate e imprevedibili. Se c'è qualcosa che può turbare la
coltre della sicurezza tecnocratica che conosce, riproduce e rende
scipiti tutti i segni cosa c'è se non l'innovazione dei linguaggi?
Arte e letteratura fino a qualche secolo fa erano asservite al
religioso, con Guglielmo d'Occam che separa fede e conoscenza si
trovano ad un bivio che le pone a disagio in entrambi i fronti,
seguono perciò una terza via, diventano immaginario, con un
progressivo distacco si umanizzano, si praticano come il linguaggio
più o meno realistico delle fragilità dell'individuo, delle sue
crisi interiori, dei suoi drammi sociali. Culmine di questo movimento
è il XVIII secolo con il monumento sadiano. Nel XIX secolo le
avanguardie, quasi con un contraccolpo dell'immaginario che ha
rivelato il suo limite istituzionalizzandosi con il culto dell'uomo,
della ragion di stato e del discorso realistico, sperimentano
linguaggi che cercano di evocare l'innominabile. Cosa rimane
innominabile se il cielo è vuoto? Dove rivolgono il loro gioco
simbolico se Dio non fa più da sponda? Si occupano del reale certo,
ma con un sovrappiù che costituisce la loro forma rivoluzionaria. Il
simbolico, di cui sono debitori all'arte sacra, lo rivolgono al
meccanismo del linguaggio, esplorano le scansioni cosa/senso/suono.
Testi che si interessano, Joyce dopo Mallarmé, della torsione
fantasmatica inflitta alla carica sessuale dalla censura. Una
letteratura che non ha più nulla di umano. Il soggetto è
interlocutorio, qual'è la soggettività in un linguaggio poetico che
non risponde ma produce il rimaneggiamento in corso? Linguaggio che
si curva al punto da produrre un senso che elevato nell'idea discende
nell'affetto che lo fa esistere, eclissando la significazione in un
infinito processo di nominazione, incessante e in perdita, sempre da
rifare. Kristeva lo chiama resurrezione piuttosto che rivoluzione.
L'attività della società capitalista reprime il processo che
attraversa il corpo e il soggetto, occorre uscire dalla nostra
esperienza intersociale e interpersonale per accedere a quel rimosso
del meccanismo sociale che è la generazione della significanza. Il
modo produttivo del capitalismo stratifica il linguaggio in
idioletti, cioè specializzazioni, che diventano luoghi chiusi e
incomunicabili, che vivono temporalità proprie e che si ignorano.
Una tipologia si deve fare di queste aree discorsive che entro
l'insieme sociale corrispondono a tipologie soggettive e
socioeconomiche. Così, dice Kristeva, una volta individuati i caratteri di
queste tipologie filosofiche, psicoanalitiche, linguistiche,
letterarie, vedremo come il processo della significanza è una
generazione mai conclusa delle pulsioni attraverso il linguaggio;
verso, entro e attraverso lo scambio tra i suoi protagonisti: cioè
il soggetto e le sue istituzioni. Questo processo eterogeneo, né
anarchico fondo spezzettato né blocco schizofrenico, è una pratica
di strutturazione e destrutturazione, un passaggio al limite
soggettivo e sociale e - solo a queste condizioni - godimento e
rivoluzione. Due sono le tendenze linguistiche moderne. La prima
pensa la cosi detta relazione 'arbitraria' tra significato e
significante esaminando alcuni sistemi in cui questa relazione è
motivata. Tale motivazione risiede nella dottrina freudiana
dell'inconscio, per cui pulsioni e processo primario sono le basi di
spostamenti e condensazioni (metafora e metonimia) che sostituiscono
all'arbitrarietà un'articolazione. Questo atteggiamento è in debito
con Melanie Klein che restituisce l'io alle pulsioni interne dentro
al processo primario, quello iniziale, a cui subentrerà via via
quello secondario, più mediato e in grado di rinviare il godimento.
L'io, già presente per la Klein appena nati, si va costituendo a
partire dalle pulsioni e da operazioni di spostamento, condensazioni
e differenze vocaliche poi scartate dalla teoria formale di Chomsky.
Secondo la Kristeva questa impostazione kleiniana è importante a capire il
processo della significanza nel suo insieme anche se fallisce con il
funzionamento sintattico-semantico del linguaggio. La seconda
tendenza, più diffusa, è quella del soggetto di enunciazione che
parte dalla fenomenologia di Husserl e dalla linguistica di
Benveniste. Il linguaggio è assunto da un soggetto che vuole dire
qualcosa. Una espansione del soggetto cartesiano che possiamo
riepilogare con Benveniste che scrive a proposito della polarità io
tu: 'ego ha sempre una posizione trascendente rispetto a tu'. Ego è
allora il principale motore che muove la significanza ed è il
soggetto dell'enunciazione o soggetto fenomenologico. Sul significato
di fenomenologico riporto dal suo inventore Lambert ciò che
intendeva con questa scienza, voleva studiare le apparenze illusorie.
Fenomenologia, che sarà ripresa da Kant, ricordate la divisione
fenomeno noumeno, da Hegel che a partire dai fenomeni che si
presentano storicamente cercherà di cogliere il progresso dello Spirito Assoluto,
ma diverrà un metodo veramente filosofico solo con Husserl. Il suo
maestro, Brentano, definiva la coscienza come intenzionale, cioè che
ha sempre uno scopo, un obiettivo. I fenomeni psichici sono sempre
sotto una intenzionalità. Husserl seguì inizialmente una
inclinazione psicologizzante che poi attaccò, divise allora la
noesis (l'atto mentale) dal noema (il fenomeno a cui è diretto).
Teorizzò che la conoscenza delle essenze o delle idee pure deve
eliminare tutte le assunzioni riguardo all'esistenza del mondo
esterno e indipendente, procedura che chiamò epoché. Il soggetto di
tale operazione è appunto l'Ego trascendentale. Cioè trascendente
il tu, ma sempre immanente a tutto il discorso. E' allora l'Ego una
finzione? Cioè un dispositivo su cui fa leva il linguaggio per
esprimersi? Esterno agli assi cartesiani sostituisce l'occhio di Dio?
Un Ego appunto con la E maiuscola, l'Ego trascendentale di Husserl.
Ego trascendente il tu ma immanente al linguaggio. Ora le due
tendenze che nella linguistica contribuiscono a definire il processo
della significanza sono il semiotico e il simbolico. Modalità
inseparabili nel linguaggio naturale che ne tollera diversi modi di
articolazione. A parte sistemi significanti non verbali che si
costituiscono solo a partire dal semiotico, come la musica.
Esclusività del tutto relativa proprio per la necessaria
articolazione dei due piani costitutivi del soggetto. Il soggetto è
cioè sempre simbolico e semiotico, non può essere altrimenti che
sempre in debito ai due piani. Per semiotico non possiamo che
riprendere il senso greco del termine: segno, traccia, indizio,
impronta, ma in tutti questi significati ciò che permette di
individuare il suo contributo al meccanismo della significanza è la
distintività o differenza. Questo è il varco strutturante la
disposizione delle pulsioni secondo Freud. Cioè, nei processi
primari, quei meccanismi che spostano e condensano sia le energie sia
la loro iscrizione. Quantità discrete di energia che percorrono il
corpo di quello che diventerà un soggetto secondo le disposizioni
imposte a livello familiare e sociale. Cariche energetiche e marche
psichiche, potremmo chiamarle engrammi, per ritornare a un termine familiare di
cui abbiamo sentito parlare dal Warburg, che costituiscono la chora
semiotica, definita da Platone nel Timeo come un ricettacolo
che in modo del tutto provvisorio mobile, plasmabile, registra i
movimenti e le loro effimere stasi. Così scrive Platone:
'Conviene
paragonare alla madre quello che riceve, al padre quello da cui
riceve, al figlio la natura intermedia, e considerare che, dovendo
l'impronta essere assai varia e di tutte le varietà, ciò in cui si
forma l'impronta sarà ben preparato a ricevere, a condizione che non
sia fornito di tutte quelle forme quante si appresta a ricevere da
fuori. Se infatti ciò che riceve fosse simile ad una di quelle cose
che entrano, e se dovesse accogliere quelle cose che fossero
sopraggiunte e che avessero natura contraria e del tutto estranea ad
esso, le rappresenterebbe male, perché accanto a quelle
rappresenterebbe la propria forma. Perciò bisogna che ciò che deve
accogliere in sé tutte le specie sia estraneo ad ogni forma, come
per gli unguenti odorosi ad arte si escogita prima di tutto il modo
per cui siano assolutamente inodori i liquidi che devono accogliere
gli odori, mentre quelli che cominciano a plasmare delle figure in
qualcosa di molle, non permettono che si manifesti affatto alcuna
figura, ma spianano prima la materia per renderla quanto più è
possibile liscia. Allo stesso modo, anche ciò che spesso deve
ricevere bene in ogni sua parte le immagini di tutte quelle cose che
sempre sono, conviene che per natura sia estraneo a tutte le forme.
Perciò la madre e il ricettacolo di tutto ciò che è generato
visibile e assolutamente sensibile non dobbiamo chiamarla né terra,
né aria, né fuoco, né acqua, né quante da queste sono nate, né
quelle da cui queste sono nate: ma se diciamo che è una specie
invisibile e priva di forma, che tutto accoglie, che prende parte
dell'intellegibile in modo assai oscuro e difficile a comprendersi,
non diremo nulla di falso.'
Bene, la disposizione, cioè la differenza è registrata nel ricettacolo, la madre dirà Platone, in cui si imprimono le forme, seppure prive di significato, che verranno tradotte poi dall'infante in modo vocalico e corporeo, con gridi, pianti, movimenti, ritmi spaziati, che costituiscono le prime relazioni del nuovo nato con il mondo. Melanie Klein fornirà quelle che sono le evidenze teoriche su cui basa la sua analisi dalla nascita all'adolescenza. Il neonato viene al mondo sotto la costrizione di un essere gettato, come dirà Heidegger, nel mondo, seguirà lo stato di angoscia che questa condizione traccia nella sua psiche. La relazione con la madre, o chi la sostituisce, è quindi, secondo Melanie Klein, fondamentale per superare l'angoscia. La relazione che il neonato avrà con gli oggetti e con gli altri dipende sostanzialmente da un primo oggetto, l'oggetto A dirà Lacan, cioè il seno, ma non solo, oggetto insomma del desiderio. Dalla sua disponibilità, dalla relazione che attraverso l'alimentazione si instaurerà con la madre dipenderà se le reazioni successive saranno vitali o mortifere. L'angocia sarà così superata se l'accoglienza è positiva. Alcune madri non sono così rapide a rispondere quando il bimbo fa i capricci, si innervosiscono, arrivano dopo che ha strillato un bel po', insomma possono marcare la relazione negativamente, in tal caso il bimbo avrà reazioni più o meno aggressive, comunque problematiche, in particolare per ciò che riguarda il cibo, ma anche nella sua relazione con gli oggetti. Una relazione con l'oggetto a, insomma, da negativa può diventare buona oppure peggiorare. L'oggetto a per Lacan ricorda forme (seno, feci, voce e sguardo) e ha una struttura topologica che può configurarsi come sfera, toro, cross-cap e bottiglia di Klein. Ad ogni forma dell’oggetto corrisponde una di queste strutture. Lacan aggiunge che ciò che fa dell’oggetto a qualcosa che può funzionare come equivalente del godimento è proprio questa struttura topologica. Struttura che, in ciascuna delle quattro forme che lui ha indicato, è caratterizzata dalla continuità del bordo. Questo fa sì che ci sia in ciascuna di esse un posto che congiunge l’intimo alla radicale esteriorità. L’oggetto a è quindi in postura di funzionare come luogo di cattura del godimento, un godimento che percorre il suo bordo che è continuo. Interno esterno senza soluzione di continuità, cioè senza interruzione. Il processo di costituzione della significanza per la psicoanalisi freudiana, kleiniana e lacaniana avviene in questo momento. In questo spazio ritmato ma senza tesi né posizione. Uno spazio ancora non unificato in un Universo, essendo assente Dio. La chora, in cui è assente Dio, non è unita, è priva di identità, però è sottoposta a regolazione, seppure non da quella della legge simbolica, effettua continuamente discontinuità articolandole provvisoriamente e ricominciando sempre di nuovo. Modalità della significanza in cui il segno linguistico ancora non è nato, privo quindi di oggetto e di articolazione tra reale e simbolico, ma sottomesso ad un ordinamento dovuto alle costrizioni naturali e sociostoriche. Ordina cioè una funzionalità preverbale che già si affaccia a guardare il simbolico sin dai primi mesi, quando il bambino chiama bau bau il cane indicandolo. Posizione non ancora cognitiva, cioè consapevole, posizione cinesica e semiotica ma non simbolica, poiché quest'ultima proviene dal linguaggio. Il soggetto di Melanie Klein è in questo senso preverbale, presimbolico, cioè già presente. Funzioni semiotiche preedipiche, scariche di energia che legano e orientano il corpo in relazione con la madre, pulsioni ambigue che contemporaneamente possono essere assimilanti o distruttive, rappresentate come una doppia elica, il DNA, una dualità che fa del corpo semiotizzato e desiderante un luogo di scissione permanente. Il corpo materno, secondo Melanie Klein, media le pulsioni anali e orali con la legge simbolica, cioè il linguaggio, con frasi, richiami, gridi, giochi che dovrebbero ordinare la chora semiotica e distoglierla dalla via della distruzione, dell'aggressività e della morte. Per Freud questa è la pulsione più forte, l'istinto di morte, il desiderio dell'organico di tornare all'inorganico. La sessualità sarà il desiderio inverso che contrasta l'istinto di morte. La civiltà il risultato del divieto a godere immediatamente, a rinviare cioè il godimento innalzando il desiderio. Il neonato dalla nascita prova angoscia e la pulsione di morte sarà, secondo Freud, subito dominante. L'oggetto buono può però strutturare la chora semiotica così come la successiva acquisizione simbolica in modo positivo. Come avviene allora che il simbolico nella chora semiotica taglia ciò che viene posto come senso? Questa è la domanda più difficoltosa. Sono andato alla ricerca della natura del linguaggio in alcuni testi di neuroscienze, Principi di Neuroscienze di Kandel, Schwarz, Jessel, Casa Editrice Ambrosiana, parte IX, ma anche Neuroscienze, esplorando il cervello, di Bear, Connors, Paradiso, edizioni Masson, per ciò che riguarda il linguaggio c'è da dire che la loro povertà è assoluta. Non ne sanno proprio niente. Sono in grado di indicare delle aree che per ablazione comportano danni più o meno gravi al paziente sotto il profilo linguistico. Ma al di là di queste osservazioni non sono andati. Deducono che alcune funzioni del linguaggio coinvolgono aree dell'emisfero destro o sinistro. L'area di Broca e di Wernicke in questo senso sono le più famose. Altre ne hanno individuate, così come sanno che l'emisfero sinistro è il più coinvolto, danni a quello destro comportano minori problemi linguistici, la separazione dei due emisferi porta comunque danni al linguaggio, quindi anche se in misura minore l'emisfero destro è coinvolto. Questo è quanto hanno da dire ed è solo dedotto. Se torniamo invece alla posta in gioco, come si forma questo benedetto soggetto, abbiamo già tutte le carte in regola per individuarlo. Il neonato è posto in un ricettacolo, il ventre materno, nel quale la fusione è completa. Dove l'aspetto semiotico è costituito da sensazioni, suoni, colori, toccamenti, scambi tra il nascituro e il corpo materno ma anche provenienti dall'esterno, quel fuori in cui sarà angosciosamente gettato. Una volta nato non cambia la situazione, il neonato vivrà nella fusione senza distinguersi dal corpo della madre o dalle cose che gli sono intorno. La fase tetica ancora deve arrivare. Sarà questa la svolta decisiva. Quando l'infante inizierà a tagliare quel ricettacolo semiotico in cui si sente ancora fuso. Il senso allora sarà il taglio di quella fusione. Il soggetto è il risultato del taglio fisico, corporeo, da quella massa di impressioni, suoni, colori, forme, oggetti, differenze senza nome in cui è fuso dalla nascita. Taglio che separa appunto il soggetto dall'oggetto, innanzitutto dal corpo materno, ricettacolo semiotico nel quale da sempre è immerso. Il simbolico avanza attraverso questa scissione, il bimbo già nell'indicare bau bau impone al segno un significato, attribuisce una posizione identitaria e di differenza, metaforica e metonimica (mi piace leggere Dante, la metonimia è prossima alla sineddoche che si distingue perché gioca con relazioni di vicinanza quantitativa, scafo invece che nave, la metonimia invece con relazioni di vicinanza più generali). La significazione insomma è solo quella che sviluppa la fase tetica e riguarda il rapporto tra la proposizione e l'oggetto, la loro complicità. Ogni segno è in questo senso tetico, già proposizione in germe, attribuisce significato a un oggetto, la copula svolgerà poi la funzione definitiva di significato, bau è bello, è nero, ecc., con il verbo essere come copula che unisce l'oggetto a qualche suo predicato. Ma dove avviene questa condizione per cui l'Ego trascendentale taglia la chora semiotica e produce la significazione? Per la Kristeva, Freud e il successivo sviluppo lacaniano la soluzione è chiara. L'operazione avviene a livello inconscio. L'inconscio è strutturato come il linguaggio dirà Lacan. L'inconscio allora produce il soggetto senza ridursi al suo processo. Come avviene questa processualità divisoria nell'inconscio lo vedremo però la prossima volta.
Franco
Insalaco
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