Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


domenica 22 gennaio 2012

XXXI Incontro, Foucault e il neoliberismo


Foucault, lo abbiamo visto, pone al centro della sua analisi una serie di strumenti che operano in modo anti dialettico, mutuando spesso da Nietzsche il metodo. Ad esempio, l'archeologia del sapere non è forse in linea con la genealogia che abbiamo visto in atto nel pensiero nicciano? Cosa è l'archeologia se non l'origine che fa emergere ogni discorso e contemporaneamente archiviandoli  conserva proprio traccia dei micropoteri? Ricerca dell'origine dei discorsi e della loro archiviazione, cioè dei testi, delle opere, degli studi, al di fuori della soggettività degli autori per vedere come intersecandosi formano micropoteri, dispositivi, tecnologie che danno luogo alla governamentalità. Non spiegare tramite concetti universali cosa significano, che senso hanno, ma mostrare come funzionano. Ogni governamentalità non ha all'esterno l'origine che
la decide, essa stessa è potere in atto. Come agisce il potere? Con l'esclusione, la divisione, limitando le possibilità dei corpi tramite la discorsività politica. Dove questi discorsi mettono mano ai corpi è in atto un dispositivo biopolitico. Come emerge questo modo in un certo senso nuovo di gestire la politica? Foucault analizza manicomi, ospedali, carceri, scuole, e come la Arendt vede nei lager la massima sperimentazione del biopotere. Insomma, la griglia individuata da Foucault descrive il modo in cui sono stati guidati i folli, i malati, i delinquenti, i bambini, gli internati e ritiene sia funzionale anche qualora si affrontino fenomeni più ampi come la politica economica e la gestione di un intero corpo sociale. L'analisi dei micropoteri non riguarda una specifica dimensione di scala, o settoriale, ma tutta la scala, è una questione prospettica. Non è lo Stato l'origine del problema, lo Stato è solo l'effetto. Non è che lo Stato ha in sé il germe fascista, imperialista, che lo porta ad allargare e approfondire il dominio prendendo in carico il bersaglio e l'oggetto altro da lui, cioè, la società civile. Questa fobia dello Stato porta a vedere una continuità tra lo Stato amministrativo, lo Stato assistenziale, lo Stato fascista, lo Stato totalitario, come rami successivi di uno stesso albero, ma queste prospettive che identificano nello Stato l'organo di una crescita infinita il cui bersaglio è la società civile, per Foucault, è un luogo comune critico di tipo inflazionistico. Perché permette una intercambiabilità dell'analisi facendone perdere la specificità, diluendo tutto in uno stesso calderone. Insomma, non si possono analizzare i sistemi di sicurezza dello Stato e il suo sistema amministrativo e poi con pochi slittamenti semantici passare ai campi di concentramento. La specificità dell'analisi così viene diluita e persa. Non andare, insomma, dall'universale al particolare, ma rimanere nel particolare, ecco cosa significa micropotere. Inoltre, con il metodo inflazionistico si genera un orientamento al peggio che non aiuta la comprensione, dall'amministrativo siamo già al lager. La critica dello Stato è il bersaglio che via via i neoliberisti e gli ordoliberali pongono sotto il loro mirino, criticano ogni politica dirigista come il New Deal negli anni 30, il fronte popolare di Lèon Blum e le politiche keynesiane, arrivando a concludere, nella loro analisi contro i totalitarismi, che proprio quelle premesse provocarono alla fine il nazional-socialismo e il socialismo sovietico. Il rischio che paventavano in tutti questi interventi sull'economia era quello della socializzazione del lavoro, dell'economia diretta e pianificata all'interno di un sistema di controllo e sicurezza sociale. Insomma l'ascesa del fascismo e del nazismo non è una reazione contro le politiche socialiste precedenti, ma un risultato inevitabile delle stesse. Così sosteneva Von Hayek, esponente insieme a Von Mises della scuola liberale austriaca, che poi nel 1974 viene premiato con il Nobel per l'economia. Ora, contro questa diluizione dell'analisi operata dai liberali, Foucault dice che lo Stato assistenziale, o Stato di benessere, non ha la stessa forma né la stessa matrice o origine dello Stato totalitario, nazista, fascista o stalinista che sia. Cioè, segnala come lo Stato totalitario sia una diminuizione, una limitazione, una subordinazione dell'autonomia dello Stato. Rispetto a cosa? Rispetto al partito. Dunque, non è confronto alla governamentalità dello Stato amministrativo nato nel XVIII secolo e la sua polizia che dobbiamo immaginare l'estensione del dominio totalitario, ma verso una governamentalità non statale ma di partito. E', secondo Foucault, questa la nuova governamentalità che appare alla fine del XIX secolo e che rappresenta l'origine storica dei sistemi totalitari. In realtà quello che accade è che la governamentalità dello Stato sia sotto scacco, limitata da un lato dalla governamentalità dei partiti e dall'altro da quella liberale, cioè economica. Non si vuole dire che non si debba detestare lo Stato, ma chi se la prende con lo stesso accusandolo di tutti i fenomeni di fascismo e di instaurazione di violenza sbaglia perché i giochi in atto sono altri. Il processo di fascistizzazione è esterno allo Stato, anzi in gran parte dipende proprio dalla limitazione della sua governamentalità, vedi la Lega nord. In realtà ciò che si va sempre più diffondendo è la governamentalità neoliberale. A partire dalla Germania questo modello va sempre più diffondendosi in Europa e nel mondo. Quello statunitense, della scuola di Chicago, e il tedesco, della scuola di Friburgo, hanno certamente molte connessioni e anche differenze. Comunque, il liberismo tedesco si diffonde anche negli Stati Uniti. Insomma se andiamo a vedere il modo in cui il modello tedesco entra in Francia e come incide nel neoliberismo degli Stati Uniti le cose sono molto differenti. Ma in entrambi i casi è sempre un modello della economia sociale di mercato. In Francia questo modello si presenta a fronte di una crisi, quella del 1973, che però già dal 1969 vedeva un costante aumento della disoccupazione, della riduzione del saldo della bilancia dei pagamenti e una inflazione crescente. Su questa crisi si scatena quella petrolifera che vede allineare i prezzi a favore dei produttori. La scelta liberale a questo punto sembra l'unica possibile. Perché è necessario integrare l'economia francese a quella europea e mondiale. Solo così le decisioni sbagliate prese dai governi precedenti, maggiormente dirigisti in senso economico, potevano essere corrette. La posta in gioco non è se iniettare un poco più di liberismo o no. Oggi la posta in gioco è quella di seguire globalmente una politica neoliberale. Con Giscard come si orienta la politica sociale? Intanto nel dopoguerra la politica prevedeva da un lato il pieno impiego poiché gli si attribuiva la crisi economica del 29, e le conseguenze che si erano poi rilanciate in Europa e in particolare in Germania. Inoltre si doveva evitare la svalutazione che segue ai periodi di crescita. Rendere stabile l'occupazione e il valore della moneta erano i due obiettivi. Le tecniche per giungere a questi obiettivi sono le stesse di una economia di guerra, cioè il modello della solidarietà nazionale. Ciò che capita agli individui deve essere sotto la responsabilità collettiva in nome della solidarietà nazionale. I rischi degli individui e soprattutto della famiglia sono collettivizzati. Ora una politica così intesa non trascina con sé una serie di effetti economici? Infatti una politica sociale di questo tipo funziona solo se inserisce a livello economico una serie di redistribuzioni e livellamenti che la politica liberale e l'economia in sé non sarebbero in grado di garantire. In effetti già il modo in cui si concepiva la previdenza nel 1947, secondo il suo inventore, non doveva incidere economicamente. Si tratta di garantire ai salariati con un prelievo dal salario sicurezze a loro e ai familiari consentendo minori rischi nella vecchiaia o in caso di eventi imprevisti. Essendo in gioco il solo salario questa condizione non implica altri elementi economici. Trent'anni dopo invece allievi dell'ENA studiano trent'anni di previdenza sociale e constatano che essa ha incidenze economiche rilevanti. Di fatto l'incidenza è sul costo del lavoro che è più caro, ciò induce una diminuzione dell'impiego e un aumento della disoccupazione. I diversi regimi previdenziali incideranno sulla concorrenza internazionale alterandola a danno dei paesi con previdenza più completa. Inoltre, a causa del costo del lavoro, risulteranno accelerati lo sviluppo monopolistico e quello delle multinazionali. Dunque, per come ha funzionato in trenta anni la previdenza francese induce modifiche all'economia. Invece la previdenza sociale deve rimanere economicamente neutra. La domanda allora è come rendere impermeabili le due sfere, quella economica e quella sociale? Si inizia a ragionare in questi termini, il mondo economico è uno spazio di gioco in cui devono partecipare più operatori possibile, la società deve essere attraversata da questo gioco. Lo Stato deve limitarsi a indicare le regole del gioco. Regole che dovranno lasciare al gioco di svilupparsi il più possibile, coinvolgendo cioè più giocatori possibile. La regola principale deve garantire che nessun giocatore cada fuori gioco, questo unisce il sociale con l'economico. Una sorta di contratto sociale alla rovescia. Mentre il contratto sociale richiede un accordo da parte di chi partecipa, il gioco economico è aperto a chiunque voglia giocare. Questa idea Giscard la esprime dicendo che ciò che caratterizza l'economia di mercato è il fatto che esistono regole del gioco, queste permettono però di prendere decisioni in maniera decentralizzata, queste regole sono le stesse per tutti. Tra la regola della concorrenza della produzione e quella della protezione dell'individuo si deve instaurare "un gioco particolare", affinché nessun giocatore possa rischiare di perdere tutto. Ora che esiste, una regola di non esclusione si trova in tutta una serie di decisioni. Ad esempio, il progetto di una imposta negativa, impostazione di derivazione statunitense, cosa dice? Che una prestazione sociale per non impattare economicamente non si deve presentare sotto forma di consumo collettivo. Altrimenti chi se ne avvantaggia sono solo i più ricchi, che ne usufruiscono con modica spesa sul loro reddito quando potevano affrontarla autonomamente. Le forme di assistenza generali vanno abolite. L'imposta negativa allora è un sussidio monetario che viene erogato a tutti coloro che non raggiungono un livello ritenuto minimamente decente integrandone il reddito. Solo a loro vanno i sussidi compensatori, disoccupati o pensionati che siano. Al di sotto di un livello di reddito saranno versati i contributi complementari a patto di dimenticare che la società debba fornire nel suo insieme servizi come la sanità o l'educazione. L'imposta negativa francese non è così drastica ma gli somiglia molto. Il livello di questo sussidio deve convincere chi lo riceve che è comunque meglio cercarsi da lavorare. Ora, lasciamo da parte se questo livello di risarcimento nella difficoltà sia effettivamente adeguato, guardiamo invece cosa cerca di realizzare. Cerca di attenuare gli effetti della povertà. Non sulle cause ma solo sugli effetti è orientata l'imposta negativa. I bisogni fondamentali è necessario che siano raggiunti da tutti, chi non è in grado deve essere aiutato. Non ci si deve neanche preoccupare perché uno cada sotto il livello minimo della soglia sociale. Non ci si chiede come mai, se perché è un pessimo lavoratore o un buon lavoratore sfortunato. Tutto questo è indifferente. L'imposta negativa così evita una serie di implicazioni che non fanno che redistribuire il reddito. Cioè, tutto ciò che è posto sotto il segno della politica socialista. Se politica socialista è quella che cerca di limitare lo scarto tra i ricchi e i poveri, l'imposta negativa è esattamente il contrario. La povertà relativa non rientra nell'ambito della imposta negativa. L'unica soglia che interessa è quella della povertà assoluta, bisogna evitare solo questa caduta. Naturalmente questa soglia è relativa tra un paese e l'altro, assoluta per il singolo paese. Così l'ingerenza della imposta negativa tocca solo chi sta sotto la soglia di povertà, ma non incide sul gioco economico degli altri strati sociali. Questa è la ragione semplice per cui i paesi con maggiore peso sociale non sono competitivi. Dedicano maggiore risorse al sociale anziché ai giochi del mercato (confronto al tempo in cui scrive Foucault, oggi sempre più questi giochi si fanno finanziari diventando infine semplici scommesse). Gli altri strati sociali saranno quindi indipendenti e concepiti come se la propria famiglia fosse una sorta di impresa. Quindi, sopra la soglia sarà possibile avere una società formalizzata secondo il modello dell'impresa concorrenziale. Ci sarà così una sorta di popolazione fluttuante che passa al di sotto e al di sopra della soglia. Scrive Foucault: 'In questo modo, con un sistema simile - che, lo ripeto, ancora una volta, per determinate ragioni non è stato applicato, ma di cui potete vedere molto bene i lineamenti di politica congiunturale che Giscard e Barre attualmente stanno conducendo - assistiamo alla costituzione di una politica economica che non è più incentrata sul pieno impiego, che non si può integrare all'economia generale di mercato se non rinunciando all'obbiettivo del pieno impiego e al suo strumento essenziale che è una crescita deliberatamente perseguita. Si rinuncia dunque a tutto questo per integrarsi a una economia di mercato. Ma ciò implica un fondo di popolazione fluttuante, al limite, al di sotto, o appena al di sopra di questo limite, i cui meccanismi di assicurazione consentiranno a ciascuno di sussistere, e sussistere in maniera tale da poter essere sempre candidato a un possibile impiego, se le condizioni di mercato lo esigono. Si tratta di un sistema completamente diverso di quello attraverso cui si è costituito e si è sviluppato il capitalismo del XVIII e XIX secolo, quando questo aveva a che fare con una popolazione contadina che poteva costituire una perpetua riserva di manodopera. Da quando l'economia funziona come funziona oggi, da quando la popolazione contadina non può più fornire questa sorta di serbatoio perenne di manodopera, bisogna costituirlo in qualche altro modo. E quest'altro modo è quello della popolazione assistita secondo un modello in effetti molto liberale, molto meno burocratico, molto meno disciplinare rispetto a un sistema incentrato sul pieno impiego, che mette in atto meccanismi come quelli della sicurezza sociale. Alla fine si lascia alle persone la possibilità di lavorare se lo vogliono o di non farlo, se non vogliono. Ma sopratutto si offre la possibilità di non farle lavorare, se non si ha interesse a farlo. Si garantisce loro semplicemente la possibilità di sopravvivenza minimale a una certa soglia, ed è così che questa politica neo liberale potrà funzionare. Un progetto come questo non è che la radicalizzazione dei temi generali di cui vi ho parlato a proposito dell'ordoliberismo. Gli ordoliberali tedeschi avevano infatti spiegato che l'obiettivo principale di una politica sociale non consisteva nel farsi carico di tutti i rischi che potevano capitare alla massa globale della popolazione; una vera politica sociale, invece, dovrebbe lasciare intatto il gioco economico, dovrebbe pertanto lasciare che la società si sviluppi come una società di impresa, mentre dovrebbe predisporre contemporaneamente un certo numero di meccanismi di intervento per assistere coloro che ne hanno bisogno nel momento, e soltanto nel momento, in cui ne hanno bisogno'. Il liberalismo americano è invece molto più di quello tedesco un modo di essere. Hayec prima di tornare in Germania scrive che il liberalismo deve essere un pensiero vivente. Per questo non deve lasciare le utopie al socialismo ma deve farsi utopico esso stesso. A noi, nel senso di studiosi, spetta di costruire utopie liberali, dice. In questo senso i due aspetti più rilevanti riguardano la teoria del capitale umano e quello della criminalità. Per ciò che riguarda il primo, ai neo liberali è parso strano che i liberali classici indicassero la produzione dei beni dipendere da tre fattori: terra, capitale e lavoro. In realtà accusano l'economia classica di non avere mai analizzato il lavoro in modo adeguato. Adam Smith si limita a indicare il lavoro come una delle variabili in gioco, poi Ricardo cerca di approfondire, ma lo fa sempre e solo in modo quantitativo, basandosi su variabili temporali, aumentando i lavoratori e le ore disponibili alla produzione e al capitale. Anche Keynes non va molto più avanti. Ora c'è invece Marx che ha fatto una analisi attenta, ma i neo liberali non si confrontano con lui. Foucault azzarda che se si confrontassero direbbero così. Certo, per Marx l'operaio vende il suo lavoro, la sua forza lavoro, che viene remunerata da un salario di mercato che corrisponde alla domanda e all'offerta di forza lavoro. Ma il lavoro che l'operaio compie ha un valore maggiore della sua retribuzione che così viene sottratta. Questa è la quota che remunera il capitale. Allora per queste ragion Marx dice che il lavoro diviene astratto, cioè separato da tutta la sua realtà umana, di tutte le sue variabili qualitative. Marx così mostra come il capitale riduce il lavoro alla forza e al tempo, cioè a quantità, a merce. Ora, direbbero i neo liberali, chi è responsabile di questa astrazione? Non il capitalismo, come pensava Marx, ma la teoria economica che gli è stata costruita intorno. L'astrazione non deriva dai processi economici in sé ma dal modo in cui sono stati oggetto di riflessione nella economia classica. Il fatto è che i liberali vedevano il capitalismo solo in termini di processo: capitale, investimento, macchina, prodotto. Ora, la pretesa dei neo liberali è quella di cambiare l'oggetto dell'analisi economica. Per i neo liberali non si deve seguire la traccia lasciata dai classici, ma si devono studiare la natura e le conseguenze delle scelte sostituibili. In altri termini di fronte a risorse limitate si deve studiare come possano essere impiegate sulla base di fini differenti. Così, secondo Foucault, accettano la seguente definizione: 'L'economia è la scienza del comportamento umano, inteso come una relazione tra fini e mezzi rari i quali hanno utilizzazioni che si escludono reciprocamente.' Dice ancora Foucault: 'Come vedete, questa definizione dell'economia non le propone come compito l'analisi di un meccanismo relazionale tra cose o processi, come il capitale, l'investimento, la produzione, e così via, in cui il lavoro a quel punto, si trova inserito solo a titolo di ingranaggio; le assegna, piuttosto, il compito di analizzare un comportamento umano e la razionalità interna a tale comportamento. L'analisi deve cercare di mettere in evidenza quale sia stato il calcolo - il quale, a sua volta, potrà essere anche irragionevole, cieco, insufficiente - attraverso cui, date delle risorse rare, un individuo o più individui hanno deciso di destinarle a un fine piuttosto che a un altro. L'economia non è più, dunque, l'analisi dei processi, ma è diventata l'analisi di un'attività; non è più l'analisi della logica storica dei processi, bensì l'analisi della razionalità interna, della programmazione strategica dell'attività degli individui. Ma allora a questo punto che cosa vorrà dire fare l'analisi economica del lavoro, cosa significherà reintrodurre il lavoro all'interno dell'analisi economica? Non certo sapere dove il lavoro si collochi, diciamo, tra il capitale e la produzione. Il problema della reintroduzione del lavoro nel campo della analisi economica non consiste nel chiedersi a quanto si compri il lavoro, o che cosa produca tecnicamente, o quale sia il valore che il lavoro aggiunge, il problema fondamentale, essenziale, e in ogni caso il primo che si pone nel momento in cui si vorrà fare l'analisi del lavoro in termini economici, sarà di sapere in che modo chi lavora utilizza le risorse di cui dispone. Vale a dire che, per introdurre il lavoro nel campo dell'analisi economica, ci si dovrà mettere nella prospettiva di chi lavora; si dovrà studiare il lavoro come comportamento economico, e come comportamento pratico, messo in atto, razionalizzato, calcolato, dallo stesso individuo che lavora. Che cosa significa lavorare per colui che lavora? E a quale sistema di scelte e razionalità obbedisce questa attività di lavoro? Ecco allora che improvvisamente, a partire da questa griglia che proietta sull'attività di lavoro un principio di razionalità strategica, diventa possibile vedere in che cosa e come le differenze qualitative del lavoro possono avere un effetto di tipo economico. Porsi, dunque, dal punto di vista del lavoratore e far sì che per la prima volta il lavoratore sia, nell'analisi economica, non un oggetto - l'oggetto di una domanda e di una offerta in forma di forza lavoro -, ma un soggetto economico attivo. E una volta stabilito questo compito, in che modo viene svolto? Schultz o Becker, si chiedono: perché, in fondo, le persone lavorano? Naturalmente per avere un salario. Ma che cosa è un salario? Un salario, molto semplicemente, è un reddito. Dal punto di vista del lavoratore, il salario non è il prezzo di vendita della sua forza lavoro, ma è un reddito. E allora, ecco che i neo liberali americani si rifanno alla vecchia definizione di Irving Fisher, che diceva: che cos'è un reddito? Come lo si può definire? Un reddito è semplicemente il prodotto è il rendimento di un capitale. E inversamente, si chiamerà "capitale" tutto ciò che può essere, in un modo o nell'altro, fonte di redditi futuri. Di conseguenza, se si ammette che il salario è un reddito, sarà dunque il reddito di un capitale. Ora, in cosa consiste il capitale di cui il salario rappresenta il reddito? Ebbene, consiste nell'insieme di tutti i fattori fisici e psicologici, che rendono qualcuno capace di guadagnare un certo salario piuttosto che un altro, di modo che, visto dalla prospettiva del lavoratore, il lavoro non è una merce ridotta per astrazione alla forza lavoro e al tempo impiegato per utilizzarla. Scomposto in termini economici, dal punto di vista del lavoratore il lavoro comporta un capitale, vale a dire un'attitudine, una competenza; come dicono gli autori che stiamo considerando, si tratta di una "macchina". Ma da un altro punto di vista è un reddito, cioè un salario, o piuttosto un insieme di salari: un flusso di salari, come lo definiscono'.

Allora il lavoratore è diventato una macchina in grado di produrre flussi finanziari, reddito, che all'inizio, meno competente, riceverà redditi minori che aumenteranno fino al suo pensionamento. Siamo agli antipodi dell'analisi classica. Non è più la prospettiva di forza lavoro che vende se stessa, ora è capitale umano che riceve reddito in base alle sue competenze. Insomma, l'individuo è visto sempre più come impresa. L'economia è fatta di unità imprese. L'homo economicus classico era il partner dello scambio, il nuovo modello è invece l'imprenditore di se stesso, che è il proprio capitale. Anche quando consuma egli produce, e cosa produce? La soddisfazione per se stesso. Il salario è la remunerazione di un certo capitale, il capitale umano. Da cosa è costituito il capitale? Da elementi che vengono da sé e che possiamo immaginare anche avendo una vaga infarinatura di biologia. Il capitale umano si eredita, poi è necessario formarlo, perché, sempre per i neo liberali, la sua costituzione è interessante dove si forma grazie all'utilizzazione di risorse rare. Per ora non costa nulla ma si tratta di vedere gli sviluppi che avrà la genetica. Con i suoi inevitabili risvolti razzisti. Perché implica scelte da fare sul corredo genetico delle persone, far nascere individui con migliore capitale innato vuol dire essere obbligati a scelte che partono da un giudizio di valore. Poi, oltre l'innato, si tratta di formare il capitale umano, questa la ragione per cui le famiglie ricche hanno meno figli secondo i neo liberali, esse si occupano molto di più dell'educazione e questo richiede uno sforzo unitario maggiore, perché è necessario dedicare molto più tempo a loro. Ma tutta questa analisi dove porta? Se vogliamo vederne le connotazioni politiche esse sono di per sé evidenti e non ci sarebbe altro che da denunciarle. Invece, il centro di questa analisi è che è in gioco il concetto di innovazione. Ecco, ciò che si è trascurato nell'analisi classica e anche in quella marxiana, il fatto che è dal capitale umano che ha origine l'innovazione. Questo è un salto quantico. La caduta del saggio di profitto è in questo modo continuamente corretta secondo Schumpeter. Non è solo per l'imperialismo che il saggio di profitto non cade, come pensava Rosa Luxemburg, insisterà Schumpeter, ma è grazie all'innovazione che il profitto non viene meno. Si scoprono nuove tecniche, nuove fonti, nuove forme di produttività, nuovi mercati e nuove riserve di manodopera, questi sono i prodotti del capitale umano, cioè gli investimenti fatti in relazione all'uomo in quanto tale. Altro aspetto che Foucault mette a fuoco è il rovesciamento dei rapporti tra economico e sociale. Si era sempre concepito l'ambito sociale e economico come complementare, al più, il secondo interno al primo. Ma nell'analisi neo liberale avviene una inversione dei rapporti. Cosa deve fare ora un governo? Facilitare nella politica sociale la formazione di un mercato. Inserire nella politica gli obiettivi che portano il tessuto sociale alla formazione non di individui che lavorano in azienda ma di individui impresa che come artigiani, coltivatori, piccole imprese trasformano il tessuto sociale non secondo la grana degli individui, bensì secondo quella delle imprese. Imprese a misura degli individui. Imprese in relazione tra di loro in cui la grana degli individui possa influire nelle decisioni e in cui ognuno possa concatenarsi e non dipendere soltanto da una. Poi, la vita individuale, la vita familiare, il rapporto con la proprietà privata, con la conduzione della vita, con le assicurazione, banche, pensione farà di ognuno una sorta di impresa permanente e multipla. Questo nuovo modo di fare società secondo il modello dell'impresa costituisce la politica sociale anche degli ordoliberali tedeschi. Così il modello economico si moltiplica fin nelle cellule del singolo essere vivente. Gli ordoliberali tedeschi e i neo liberisti americani da un lato demoltiplicano i valori economici all'interno del corpo sociale ora cooptato dal modello capitalista della domanda offerta, investimento, costo, profitto, trasformando tutti i rapporti sociali e l'esistenza stessa. Inoltre iniettano nel modello economico tutti i valori caldi dell'ambito sociale rispetto al meccanismo freddo della concorrenza. Tutta una trasformazione della soggettività che incide nella trama sociale che la costituisce. Così l'individuo non sarà più alienato nel suo tempo lavorativo, secondo i neo liberali, rispetto all'ambiente di lavoro e alla casa, alla famiglia, al suo ambiente naturale. Questi sono punti di ancoraggio concreti che costituiscono la vitalpolitik, come dice Rustow. Il ritorno, cioè, dell'impresa in ogni spazio allarga l'ambito economico a ogni aspetto della vita sociale. Rustow dice "L'economia del corpo sociale organizzato secondo le regole dell'economia di mercato, è questo che bisogna fare, ma ciò non toglie che si debbano ancora soddisfare nuovi e accresciuti bisogni di integrazione". Ecco la vitalpolitik. La concorrenza come principio d'ordine economico su cui edificare l'intera società però, dirà Ropke, non può funzionare, perché è disgregante. E' per questo necessario un quadro politico e morale. Cosa deve fare allora la politica? Assicurare una società non disgregata ma cooperativa tra gli uomini, naturalmente radicati e socialmente integrati. Nel neo liberismo americano le cose sono leggermente diverse. Sostengono che anche la soddisfazione di un bisogno può rientrare nel calcolo economico, se l'educazione dei figli è necessaria a valorizzare il capitale umano, cosa ne ricava la madre? Soddisfazione personale. Ma anche all'interno del matrimonio i neoliberisti americani applicano le loro griglie di intellegibilità mostrando tutta una serie di transazioni di tipo economico. Io vengo a letto con te se tu mi zappi il campo, dicevano i genitori di Pierre Riviere, prima di essere uccisi dal figlio. Alla griglia familiare i neo liberali americani aggiungono una griglia di valutazione politica. Tutta questa attività viene filtrata attraverso il gioco della domanda offerta. Istituendo una critica che non è semplicemente giuridica o politica, ma valutando in termini di costi benefici tutte le attività pubbliche. Iniziano così le agenzie di rating etici, che non sono da confondere con quelle finanziarie, queste ultime valutano lo stesso la sostenibilità sociale ed ambientale ma di emittenti di titoli, come  aziende, banche, Stati. Aree diverse e contigue. Ma sempre si tratta di valutare secondo un calcolo economico le politiche o le imprese. Tutta una serie di commissioni saranno create a questo fine. In questo modo il lassaize faire si capovolge, non è più la politica che non deve ingerire nell'economia, è l'economia che non lascia più fare la politica. Ha luogo il nuovo tribunale economico che vaglia le governance. Lo stesso slittamento accadrà per la definizione del criminale. Il criminale non sarà più oggetto ma soggetto. Prima era criminale ogni atto che portava a una condanna. Ora il crimine è ciò che fa correre il rischio all'individuo di essere condannato a una pena. La stessa soggettivazione del capitale umano è messa qui in atto. Si adotta il punto di vista del soggetto senza psicologismi o analisi antropologiche. Si tratta anche qui di una valutazione di tipo economico che viene attuata. Cioè, è sempre l'homo economicus a essere tirato per la giacchetta. Egli dovrà saper valutare il rischio che gli atti comportano nella sua vita, dovrà mettere in conto una sorta di rischio nelle sue intraprese. Dovrà saper valutare questo rischio che può estendersi anche in ambito penale. Egli, dunque, può accettare questo rischio. Criminale è allora l'atto di un individuo che accetta il rischio di essere punito dalla legge, questo non comporterà più differenza tra un infrazione al codice della strada e un omicidio premeditato. Il criminale non è più da interrogare sotto profili psicologici o antropologici. Il criminale è una persona qualunque che agisce per un profitto correndo dei rischi. Ora il sistema penale dovrà reagire ad un offerta di crimine. La punizione sarà allora il mezzo utilizzato per limitare le esternalità negative di determinati atti. Non è possibile sopprimere i crimini, però si può ridurre l'offerta del crimine. Se liberalizzo la droga ho un diminuzione dei reati, ma anche altri effetti che considero più costosi, quindi non lo farò, in questo caso conviene, secondo i neo liberali, mantenere alta l'offerta del crimine. La domanda è quanti crimini si devono tollerare, quanti criminali devono rimanere liberi? Ma se andiamo a vedere anche in altri ambiti l'homo economicus influisce, ad esempio, anche sulla psicologia dove il comportamentismo alla Skinner risponde perfettamente ad una analisi di tipo economico. I comportamenti sono cioè prevedibili o spiegabili tramite analisi e griglie orientate dall'interesse. Quando compare l'homo economicus? Foucault lo fa risalire alla posizione di Locke, che individua per la prima volta un soggetto portatore di interessi irriducibili. Hume ne farà un esempio semplice: quando un individuo fa delle scelte bisogna chiedersi qual è l'elemento irriducibile. Se chiediamo a una persona perché fa esercizi, risponderà per rimanere sano, se chiediamo come mai preferisci rimanere sano? Dirà che preferisce la salute alla malattia, se insistiamo sul perché la preferisce, dirà perché non voglio star male, se infine chiediamo come mai la malattia sia dolorosa, probabilmente non risponderà trovando la domanda insensata. Il carattere doloroso o non doloroso costituisce un carattere in sé della scelta oltre la quale non si può andare. Non c'è possibilità ulteriore di calcolo, questo punto è irriducibile a qualsiasi ragionamento, giudizio, calcolo, rappresenta un punto di fermo regressivo dell'analisi. Inoltre, se devo scegliere di farmi tagliare un dito per salvare la vita di un altro, anche se fossi obbligato a farlo, nulla mi convincerebbe che sia preferibile tagliarmi un dito alla sua morte. Insomma, questo punto oltre il quale non si può andare, che indica una scelta irriducibile, individuale e non trasferibile, principio di una scelta atomistica e incondizionatamente riferita al soggetto stesso è quanto viene chiamato interesse. Questa analisi degli empiristi inglesi fa comparire per la prima volta un concetto fino ad allora inesistente, cioè l'idea di un soggetto di interesse. Interesse come volontà immediata e assolutamente soggettiva. Il problema allora per Foucault è se questo interesse che dà la nascita all'Homo economicus sia sovrapponibile alla volontà giuridica o sia ad essa articolabile. Se queste due volontà sono, insomma, conciliabili. Sembra di sì se pensiamo che due individui firmano un contratto poiché hanno interesse a farlo. Per rispondere al rischio gli individui cedono una parte della loro possibilità, la limitano accordandosi tra di loro. Chi si accorda è un soggetto che calcola il proprio interesse come cessione di una parte di ciò che è nelle sue prerogative. Posso vivere libero ma senza una casa, se mi accordo con altri costruiamo le case, facciamo una comunità e ci diamo delle regole, le regole limitano la mia possibilità. Calcolo se mi conviene. Hume però contesta che le cose siano così semplici. E' vero che il soggetto di diritto calcoli la convenienza a rispettare il contratto che ha stabilito i limiti della sua libertà. Ma per Hume non lo fa in quanto rispetta il contratto diventando soggetto di diritto. Se rispettiamo un impegno è solo perché abbiamo interesse che sussista. Vale a dire che l'homo economicus sopravanza sempre quello del diritto. Dunque, interesse e volontà giuridica non si sostituiscono l'uno all'altra. Il soggetto di dritto non è installato dentro il soggetto di interesse. Per tutto il tempo che c'è una legge sussiste il soggetto di interesse, sussiste finché c'è una legge e sopravanza continuamente il soggetto di diritto, è irriducibile al soggetto di diritto, non viene assorbito da questo. Rispetto alla volontà giuridica l'interesse è irriducibile. Inoltre non risponde della stessa logica. Infatti il soggetto di diritto è disponibile a cedere qualcosa, è un soggetto negativo, accetta di rinunciare, trasferisce delle prerogative, rinuncia a se stesso. La dialettica del soggetto di diritto è la sua divisione, la sua negazione, all'interno di questi limiti si presenta la legge e l'interdetto. Il soggetto di interesse non risponde alla stessa meccanica. La meccanica che gli economisti pongono in essere è egoista. Se ognuno fa il suo interesse egoisticamente la ricaduta sarà per tutti positiva massimizzando l'interesse di ciascuno. Non solo ciascuno deve seguire il proprio interesse, ma è necessario che lo faccia. Sono, insomma, due strutture opposte, eterogenee. Il mercato e il contratto funzionano in modo contrario. Quindi ciò che nell'analisi del contratto apparentemente è costituito dall'interesse appaiandoli, in realtà nasconde dinamiche opposte. Così scrive Foucault: 'Al sovrano giuridico, al sovrano detentore di diritti e fondatore del diritto positivo a partire dal diritto naturale degli individui, l'homo economicus è qualcuno che può dire: tu non devi, ma non perché io abbia dei diritti e tu non abba il diritto di intaccarli. Questo è piuttosto ciò che dice l'uomo di diritto. L'homo juridicus, infatti dice al sovrano: io ho dei diritti, te ne ho affidati alcuni, e non devi toccare gli altri, oppure: ti ho affidato i miei diritti per questo o quel fine. L'homo economicus non dice questo. Certo, anche lui dice al sovrano: non devi. Ma glielo dice in questa forma: non devi, perché non puoi. E non puoi nel senso che "sei impotente". E perché sei impotente, perché non puoi? Non puoi, perché non sai e non sai perché non puoi sapere.'

L'homo economicus e l'homo legalis sono in contraddizione. Tuttavia l'emergere dell'homo economicus nel XVIII secolo è diretto a fare l'interesse di tutti senza saperlo, se è vero che il suo egoismo porta a generare una ricchezza comune agli altri. Cioè, "la mano invisibile" di Adam Smith. L'analsi di Foucault ne metterà in evidenza un aspetto ulteriore. Oltre alla mano, che possiamo immaginare un poco come la provvidenza che si mette in atto distribuendo doni a tutti tramite l'egoismo di pochi, è soprattutto l'invisibile che interessa Foucault. Cosa significa invisibile? Che non si può vedere. Che non deve essere visto. Il fatto è che l'economia funziona solo se non si vede il moto complessivo del suo funzionamento, la sua totalità. Funziona solo se ignoriamo come funziona. Funziona solo se la lasciamo alla sua spontaneità. Se invece la vogliamo controllare e regolare ne viene l'opposto di quanto desideriamo. Perché la mano invisibile distribuisca i suoi doni a partire dall'egoismo dei singoli individui è necessario che questi siano ciechi rispetto alla totalità dei loro giochi. L'invisibilità non solo è necessaria ma fa sì che nessun agente economico possa andare a cercare il bene collettivo. Non solo nessun agente economico ma anche politico. Il mondo dell'economia deve restare oscuro al sovrano. Il potere politico non deve intervenire. Ogni volta che dai propri interessi si distoglie lo sguardo per fare l'interesse del paese arrivano le chimere. Di conseguenza per l'economia è necessario che la politica abbia la vista corta. Insomma, il risultato è che l'unico soggetto che può decidere qualcosa è il detentore di interesse, l'uomo dell'economia è l'unico detentore della ragione. Il suo mondo è e deve essere opaco, non tollera alcun tipo di governo. Il sovrano giuridico è sempre sopravanzato dal soggetto economico. L'economia dunque si presenta come critica del pensiero politico. Anche Kant dirà all'uomo che non può conoscere la totalità del mondo. Però gli economisti avevano anticipato i filosofi, avevano detto per primi al sovrano che non poteva conoscere la totalità del processo economico. Ecco ciò che viene sollevato contro tutte le forme di piano e controllo che ritengono sia meglio orientare le dinamiche del mercato. La mano invisibile ha il ruolo di screditare qualsiasi sovranità politica. Squalifica qualsiasi ragione politica ancorata allo Stato e alla sua sovranità. Cancella Adam Smith in un solo colpo il mercantilismo, lo Stato di polizia, ma anche i fisiocrati. In fondo il quadro economico secondo i fisiocrati dava al sovrano una idea precisa di ciò che avveniva nel proprio territorio. Dunque, si deve concludere che l'economia non può essere la ragione del governo, si possono ascoltare i consigli degli economisti ma non si possono dare loro deleghe, perché essi per principio non possono riceverle, sono ciechi rispetto ai loro propri fini.

Franco Insalaco

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