Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 21 maggio 2012

XXXIV incontro. Freud e la psicoanalisi. Un gioco per ometti?


Freud, Introduzione alla psicoanalisi


Luce Irigaray in Speculum decostruisce il pensiero maschile a partire dalla psicoanalisi freudiana. In particolare si sofferma ad analizzare nella Introduzione alla psicoanalisi di Freud il paragrafo che riguarda la femminilità. Luce contesta quello che pensa Freud, cioè che l'unica energia, che è poi quella sessuale, la libido, sia neutra, cioè maschile. Affermazione in diretta continuità con il pensiero aristotelico, chi c'era la volta scorsa sa perché. Chi non c'era può leggere il XXXIII incontro nel blog. 
Questo meccanismo energetico produce periodicamente accumulazioni, saturazioni e scariche e tenta poi di tornare alla omeostasi. Ma fallisce perché l'energia messa in campo non ritorna mai in equilibrio, non diventa stabile. Perché è energia che non potrà mai essere interamente mediata. La mediazione nella dialettica dell'idealismo avviene tra l'in sé e il per sé. L'in sé è ciò che, non essendo concetto, è esterno alla coscienza, il per sé è il suo concetto, nella coscienza, e corrisponde alla comprensione che abbiamo dell'oggetto. Già la tecnica prodotta dall'uomo è spesso fuori controllo. L'uomo crea un per sé che poi gli sfugge, una tecnologia che non sa dominare completamente. La techne sfugge al suo concetto e diventa un in sé a tutti gli effetti. Insomma, il dominio che l'idealismo di Hegel progetta con lo Spirito Assoluto è per la Irigaray impossibile. L'uomo ha creduto di poter dominare la natura ma non riesce neanche ad essere padrone della tecnica che produce. Il negativo allora deve essere ripreso come limite e non, come accade nell'idealismo, quale motore di tutto il processo, cioè in positivo. Il motivo è semplice, il negativo non può acquisire ciò che gli manca. Insomma, la dialettica negativa dei francofortesi è all'orizzonte. Ma l'autrice va ancora oltre, la duplica. Confronto a Hegel non è più una negatività disponibile per l'uomo secondo necessità, quindi in positivo. Secondo i Francofortesi nel modo negativo il negativo non deve essere pensato come lavoro per la sintesi, non serve a integrare l'altro al medesimo, è, invece, proprio il limite che l'uomo trova a sbarrargli la strada verso la conoscenza dell'oggetto. Così, già qui l'altro irriducibile, incomprensibile, riapre il dialogo verso una comunicazione più autentica. Ma Luce va oltre, perché attua uno sdoppiamento identitario. Giungere a questo risultato, lo abbiamo visto, richiede mutazioni del diritto, del linguaggio e dei processi simbolici. Altrimenti il nostro pensiero rimane paralizzato e incapace di pensare l'altro. L'altro per noi è sempre nella traiettoria del medesimo. Ciò provoca la paralisi del pensiero. Sogniamo l'altro privandolo di realtà e di contenuto. Ciò ha determinato una etica privata, sia nel senso di priva che nel senso di non pubblica, dell'altro. Perché il soggetto non stabilisce un piano negativo del limite, ma un piano negativo dimensionale. L'altro è più o meno povero, intelligente, furbo di me. L'invidia del pene descrive bene come il processo psicoanalitico sia interno a questa logica. La misura inizia a partire dal maschio, bianco, europeo, esso è metro e confronto con cui l'altro viene catturato. Ma chi è questo soggetto che si pone in tale posizione di vantaggio al punto da essere misura di tutto? Quale sogno o incubo lascia il soggetto egemone e privo di una vera alterità? Una risposta è che la dialettica è a una dimensione anziché a due, cioè, non è tra un uomo e una donna, tra il maschile e il femminile, è omosessuata. Una dialettica duplice in cui il medesimo/a sono posti in relazione con l'altro/a diventa eteronoma. Foucault propone l'eteronomia come una qualità incapace di giungere alla sintesi, per fare questo è però necessario trovare strategie sfuggenti all'idealismo. Anche per Luce Irigaray dobbiamo inventarci un modo per uscire dal medesimo. Un modo è questo: la filosofia e il pensiero devono tenere conto della negatività determinata dal limite non misurabile del genere sessuale. Se questo limite c'è, ed è riconoscibile nella sessualità, allora la dialettica si duplica. Il dialogo è multiplo. Maschio maschio, femmina femmina, maschio femmina, femmina maschio. Questo vuol dire che la relazione non è più biunivoca ma molteplice. La gabbia del linguaggio indicata dalla Cavarero in questo caso si riapre, il soggetto maschile ha allora una relazione autentica con un soggetto femminile indipendente da lui. Dunque, il posto del negativo della dialettica hegeliana, per la Irigaray, deve essere preso dal sesso. Questo passaggio mira anche a sostituire la morte con la vita. La domanda che si pone la filosofa è questa: come posso non essere più bersaglio della soggettività da cui prende avvio la definizione dell'altro? Cosa dice la Irigaray di fare per riaprire questa possibilità? Mentre Marx ribalta Hegel, Aristotele ribalta Platone, Nietzsche ribalta tutto, per Luce è necessario ribaltare se stessa. Prima era l'altro dell'uomo per l'uomo, dopo ha cercato di definire l'alterità oggettiva di sé per sé. Ha rovesciato la femminilità imposta dall'uomo cercando il femminile corrispondente al suo genere, l'in-sé/per-sé del genere femminile: 'Ho dunque tentato di delineare una spiritualità al femminile, certo imponendo un freno ai miei bisogni o ai miei desideri, alla mia immediatezza naturale, in particolare pensandomi come la metà e soltanto la metà del mondo, ma anche mettendo in questione la spiritualità che mi era imposta nella cultura appropriata al maschile o al patriarcato, cultura in cui ero l'altro del Medesimo'. Insomma, il fatto è che il genere femminile finché sarà definito genericamente dall'uomo non permetterà la costruzione di una vera identità femminile. Nella spiritualità la donna è originata dall'uomo, ma nella realtà l'uomo è partorito dalla donna. Finché questa situazione non è riconosciuta per la sua importanza la donna resterà una creatura dell'uomo. Questo le impedirà di crearsi un ideale suo, mancando così la possibilità di sviluppare una identità e delle mediazioni. Le donne, cioè, possono solo criticare la loro condizione ma non sanno creare una alternativa. Pare che la stessa cosa accada alla sinistra. Almeno per quanto riguarda le tecnologie governamentali descritte da Foucault. La sinistra è, come la donna, priva di identità propria. Questo aveva scoperto il filosofo francese nella sua analisi sul neoliberismo. Bene, capita che non solo gli uomini contestano questa direzione indicata dalla Irigaray, ma anche le donne. Esse chiedono l'uguaglianza senza saper definire una propria identità. Insomma, la difficoltà è che il modello è sempre un uomo, sia per i maschi che per le femmine. Lei è sempre dimenticata. Così scrive la poetessa statunitense Muriel Rukeyser in Myth. 'Molto tempo dopo, vecchio e cieco, camminando per la strada Edipo sentì un odore familiare. Era la Sfinge. Edipo disse: "Voglio farti una domanda. Perché non ho riconosciuto mia madre?". "Avevi dato la risposta sbagliata." Disse la Sfinge. "Ma fu proprio la mia risposta a rendere possibile ogni cosa." "No," disse lei. "Quando ti domandai cosa cammina con quattro gambe al mattino, con due a mezzogiorno e con tre alla sera, tu rispondesti l'Uomo. Delle donne non facesti menzione." " Quando si dice l'uomo" disse Edipo "si includono anche le donne. Questo, lo sanno tutti." "Questo lo pensi tu." Disse la Sfinge.' Se nasce un bambino diremo che essi hanno avuto un bel bambino, così la donna è cancellata, se fanno un viaggio, essi hanno fatto un lungo viaggio, la donna non c'è, insomma se sono presenti i due sessi anche la relazione tra madre e figlia diventa inesistente, essi, padre madre e figlia, hanno viaggiato, essi hanno avuto una bella bambina. Insomma, lui vince sempre su di lei. Addirittura le parole hanno più valore se maschili: segretaria si usa per lavori più o meno sottomessi, segretario per attività prestigiose, di Stato ad esempio, anzi vale di più un sottosegretario che una segretaria. Qualche scienziato potrà dire: il genere sessuale con la realtà e con le scoperte scientifiche non ha niente a che fare. Sia che li descriva un uomo o una donna i fenomeni scientifici, che li dica un maschio o una femmina, sono e devono funzionare allo stesso modo, sono indipendenti dal linguaggio e dal genere, devono essere per forza identici per entrambi i sessi. Certo, ma ricordiamo a tale scienziato, se ci fosse, che non abbiamo a che fare solo con la realtà inemendabile, abbiamo a che fare nella vita quotidiana, che scorre  lontana dalle galassie e dai microrganismi, soprattutto con oggetti sociali inventati dagli uomini. Irigaray dice: 'Il linguaggio e i suoi valori riflettono l'organizzazione sociale, e viceversa. la lingua si appropria di lei e di esse quando è presente lui risucchiandole in essi, proponendo una gerarchia invertita di quanto accade alla potenza di gestazione materna. Il padre-logos pretende di essere generante e inglobante rispetto alla madre-natura. Ma in questo gesto - simile a quello del fort-da del piccolo Hans con il suo rocchetto - l'uomo non ha realmente considerato la sua relazione con la generazione, con il fatto di essere generato; egli nega questo fatto in una affermazione di onnipotenza della parola, della sua parola, il che annulla la differenza dei sessi, dei generi, e si traduce nell'istituzione di una trascendenza assoluta, nella misura in cui è appropriata all'identità maschile, e comporta riduzioni relative alla costituzione dell'identità femminile. Se la trascendenza del maschile è problematica a causa di ciò che essa annulla della realtà del genere, la messa in atto di questa cultura, detta patriarcale, rifiuta la trascendenza al femminile. In tale logica, tutto ciò che è di genere femminile ha dunque meno valore, perché privo della dimensione possibile della trascendenza. Il culto madre-figlio presente nel Cristianesimo non è il segno del rispetto della trascendenza femminile, a meno di darne una nuova e diversa interpretazione. Di conseguenza è resa impossibile una relazione spirituale tra i generi'. Il fatto è che sussistono differenze linguistiche che pongono il sesso maschile come quello che prende distanza dall'in sé tramite la trascendenza del per sé. L'individuo maschio così si allontana dall'immediatezza naturale, dall'immediatezza sensibile, pone in essere un divenire spirituale schivando la comunicazione. Questo processo Luce lo indica come uno schizzare in avanti di un in sé individuale che riflettendo si spiritualizza e diviene sempre più un per sé. Si allontana così dalla natura spiritualizzandola sempre più. Dando origine a una natura sempre più per sé e sempre meno in sé. Ma con questo movimento ottiene anche un altro effetto, l'uomo comunica, certo, ma sempre all'interno di mediazioni che sono già sue. Per la Irigaray l'uomo abita prevalentemente la dimensione linguistica informativa più che quella comunicativa, insomma, commenta solo informazioni. Come se la struttura dei soggetti maschili, la loro identità, essendo medesimi, non fosse interessata all'intimità, che proprio perché è omosessuale danno per scontata, sono così più interessati a variazioni esterne, cioè, ai fatti che capitano, alle novità che avvengono. In questo senso gli uomini, a differenza delle donne, sono più anaffettivi. Qual è la possibilità di riaprire la comunicazione tra l'uomo e la donna? Riconoscere che c'è qualcosa di noi che ci caratterizza in modo inemendabile, che per quanto lo si voglia cancellare non possiamo farlo. La sessualità di un uomo, per esempio, può apparentemente cambiare, ma rimane pur sempre impossibile per lui procreare. Se partiamo da questa differenza assoluta riconosciamo all'altro uno statuto diverso dal medesimo. Il dialogo può iniziare dal riconoscimento di questa differenza. Ciò implica che l'uomo è partorito dalla donna. Questo è il pensiero più difficile da accettare per il logocentrismo. Non siamo partoriti spiritualmente dal logos, fisicamente prima del logos c'è nostra madre come genealogia. Riconoscere questa genealogia non esclude il fatto che siamo esseri spirituali. Il mio del soggetto maschile però non può appropriarsi del genere sessuale diverso dal suo. Per questo il soggetto non è assoluto. Questa limitazione fa appartenere ciascuno ad un universo a metà, cioè, al genere sessuale di appartenenza. Pertanto si tratta di riconoscere che siamo generati da due, un maschio e una femmina, partoriti poi da una donna e allattati da lei. Ma allora cosa dice Freud sulla donna? Ne parla proprio nella Introduzione alla psicoanalisi, nel testo troviamo una serie di conferenze in cui spiega in cosa consista la nuova scienza ai suoi interlocutori. Nel capitolo dedicato alla femminilità, parla delle donne come un mistero, vi tornerà sopra anche nei Tre saggi sulla sessualità. Come procede Luce? Fa parlare Freud e inserisce via via dei commenti. Ad esempio, nel capitolo riferito a questa conferenza sulla femminilità Freud inizia con queste parole: 'Sull'enigma della femminilità gli uomini si sono lambiccati in ogni epoca il cervello: "Teste in berretti geroglifici, Teste in turbante e berretta nera, Teste imparruccate e mille altre Povere, sudanti teste umane..." (1) Neanche voi, in quanto uomini, vi sarete sottratti a questo rompicapo; dalle signore qui presenti non ci aspettiamo questo: esse stesse sono questo enigma'. Le donne nel discorso sono escluse per principio, subito, non hanno voce in capitolo, sono l'oggetto e non il soggetto di questa domanda. Insomma, chi la donna sia può dirlo solo l'uomo, addirittura Freud in persona. Certo lui ha inventato la psicoanalisi e solo lui può dire quale sia la parte della donna nella economia del suo discorso. '"Maschile o femminile" è la prima distinzione che fate allorché incontrate un altro essere umano, e siete abituati a fare questa distinzione con assoluta sicurezza. La scienza anatomica condivide la vostra sicurezza in un punto e non molto più in là. Maschile è il prodotto sessuale maschile, lo spermatozoo e il suo portatore; femminile l'uovo e l'organismo che lo ospita. In entrambi i sessi si sono formati organi che servono esclusivamente alle funzioni sessuali e che si sono verosimilmente sviluppati dalla stessa disposizione, assumendo due diverse conformazioni. In entrambi, inoltre, gli altri organi, le forme del corpo e i tessuti mostrano un influsso da parte del sesso, ma l'influsso è incostante e la sua entità variabile: si tratta dei cosiddetti caratteri secondari del sesso. A questo punto la scienza vi dice qualcosa che contrasta con quanto vi aspettate e che probabilmente è fatta per confondere i vostri sentimenti. Vi fa osservare che parti dell'apparato sessuale maschile si riscontrano anche nel corpo della donna, benché in stato atrofizzato, e viceversa. In questa presenza essa vede un indizio di bisessualità, come se l'individuo non fosse uomo o donna, ma sempre l'uno e l'altra, e solo un po' più l'uno o l'altra. C'è qui un invito a familiarizzarvi con l'idea che la proporzione in cui il maschile e il femminile s'intrecciano nell'individuo è soggetta a oscillazioni assai rilevanti. Tuttavia, poiché in una persona, a prescindere da casi rarissimi, sono presenti prodotti sessuali di una sola specie - uova o cellule seminali, - non potete anche fare a meno di mettere in dubbio il significato fondamentale di questi elementi [maschile e femminile] e trarre la conclusione che ciò che costituisce la mascolinità o la femminilità sia un carattere sconosciuto, che l'anatomia non può afferrare. Può forse farlo la psicologia? Siamo avvezzi a impiegare "maschile" e "femminile" anche come qualità psichiche, e abbiamo parimenti trasferito nella vita psichica la nozione di bisessualità. Di una persona, sia essa maschio o femmina, diciamo che in una certa situazione si comporta in modo maschile, in quell'altra in modo femminile. Ma vi renderete conto ben presto che ciò significa semplicemente arrendersi all'anatomia e alla convenzione. Non potete dare alcun nuovo contenuto ai concetti di "maschile" e "femminile". La distinzione non è psicologica; quando dite "maschile" di regola intendete "attivo", e quando dite "femminile" intendete "passivo". Ora, è vero che una relazione di questo tipo esiste. La cellula sessuale maschile è attivamente mobile, cerca quella femminile, e questa, l'uovo, è immobile, attende passivamente. Questo comportamento degli organismi sessuali elementari è esemplare per la condotta degli individui nel rapporto sessuale. Il maschio insegue la femmina allo scopo dell'unione sessuale, la assale, penetra in lei. Ma con questo avete per l'appunto ricondotto, per quanto concerne la psicologia, il carattere della mascolinità al momento aggressivo. Il dubbio di non aver colto in tal modo nulla di essenziale sarà inevitabile, se considererete che in alcune classi di animali le femmine sono più forti e aggressive, mentre i maschi sono attivi unicamente nell'atto dell'unione sessuale. E' il caso, per esempio, dei ragni. Anche le funzioni di covare e di allevare, le quali ci paiono così squisitamente femminili, non sono negli animali regolarmente connesse col sesso femminile. In specie molto elevate, si osserva che i sessi si dividono il compito di covare o, perfino, che vi si dedica soltanto il maschio. Persino nel campo della vita sessuale umana vi accorgete presto quanto sia inadeguato far coincidere il comportamento maschile con l'attività e quello femminile con la passività. La madre è attiva in ogni senso nei riguardi del suo bambino; ciononostante l'atto stesso dell'allattamento si può indifferentemente concepire tanto in modo attivo come allattare, quanto in modo passivo come farsi succhiare il latte. Quanto più vi allontanate poi dallo stretto campo sessuale, tanto più chiaro diventa l"'errore di sovrapposizione".
Le donne possono esplicare una grande attività in diverse direzioni, gli uomini non possono
convivere con i loro simili se non sviluppano un alto grado di passiva arrendevolezza. Se adesso mi dite che questi fatti contengono precisamente la prova che tanto gli uomini quanto le donne sono bisessuali in senso psicologico, ne deduco che dentro di voi siete decisi a far coincidere "attivo" con "maschile" e "passivo" con "femminile". Ma ve lo sconsiglio. A mio parere non risponde al nostro scopo ed è certo che non ci insegna niente di nuovo.'
Allora chi ci insegnerà qualcosa di nuovo? Ma Freud in persona, a partire dalla struttura con cui studia la crescita di maschi e femmine. Cosa combina il medico austriaco? Si inventa un percorso a ostacoli in cui la donna deve superare quelli più grandi, sì perché gli ostacoli che deve superare sono per lei in numero superiore, seppure medesimi per i due sessi. La donna però deve fare delle giravolte per riuscire a trovare la sua femminilità. Insomma, come dice lo stesso Freud, la donna inizialmente, finché si rende conto di non avere il pene, cosa che capita abbastanza presto, si comporta come un ometto. Poi resasi conto del suo difetto ne fa un complesso, quello di essere castrata e, per non farsi mancare nulla, le viene l'invidia del pene. L'uomo dalla sua, invece, vista la bimba senza il coso ne verrà terrorizzato temendo a sua volta di essere castrato, così, detto in soldoni, si afferma il complesso edipico. Con il distacco del maschio dalla madre Freud rappresenta l'affermazione della legge del padre. Solo così si costituisce un Super io che potrà permettere di controllare le pulsioni e sublimarle, questo, ma non c'era da dirlo, riesce al maschio più facilmente. Cosa capita nel frattempo alla bimba? Odia sua madre colpevole della castrazione e che inoltre vale meno perché è castrata a sua volta. Dunque, si distacca dalla madre, con la quale in fase preedipica voleva dare un figlio o averlo da lei, e resasi conto che la madre è danneggiata quanto lei, non avendo il coso, rovescia il sentimento amoroso in odio, totalmente delusa mette sotto la mira del suo desiderio il padre. Ma la sua sessualità si attua, per Freud, solo se ritorna sui suoi passi, cioè, se compie un giro completo e, non desiderando più il padre, torna a relazionarsi con sua madre. In questi passaggi irti di ostacoli non sempre le cose vanno per il verso giusto. Così è facile una ricaduta nevrotica e isterica quando il complesso edipico, Jung lo ribattezzerà di Elettra, della bambina girata/voltata dalla madre al padre, non viene superato tramite il completamento del giro e il ritorno alla madre. Altrimenti continuerà a desiderare qualcosa che poi non può ottenere. Attenzione, perché tutto questo gioco descrive in modo efficace le sofferenze di chi è dentro a situazioni patologiche, ad esempio anoressico/bulimiche, in cui la soddisfazione è fare il vuoto, vuoto di desiderio al quale il malato non si è mai sentito assoggettato. Vuoto riempito dalla madre spesso con cose, con oggetti, con avere anziché essere. Quindi questa descrizione del soggetto femminile in molte patologie è efficace e necessaria alla loro comprensione e alla loro cura. Vedi Massimo Recalcati, L'Ultima cena, Anoressia e Bulimia. Ma tornando a Freud, in tutto questo passaggio l'esito finale è che la bambina, inizialmente considerata da Freud più sveglia, capace, intelligente del bimbo, dopo aver aggiunto però che è anche una questione personale, alla fine si troverà con un Super io meno sviluppato, più debole, incapace di sublimare, di trascendere, di pensare. In questa disanima l'organo sessuale femminile per Freud è limitato al clitoride. Non esistono le labbra, la vagina, il collo dell'utero, tutte appendici inutili. Leggete il testo di Freud e ve ne renderete conto. Dunque, ha facile gioco Luce a ironizzare sull'esimio dottore che scrive: 'Si potrebbe pensare di caratterizzare psicologicamente la femminilità con la preferenza per mete passive, il che, naturalmente, non è la stessa cosa della passività; per realizzare una meta passiva può essere necessaria una grande dose di attività. Forse succede che nella donna una preferenza per il comportamento passivo e per aspirazioni passive, proveniente dalla parte che le è riservata nella funzione sessuale, si protenda nella vita più o meno ampiamente, secondo i limiti, circoscritti o estesi, in cui la vita sessuale funge da modello. Dobbiamo però badare a non sottovalutare l'influsso degli ordinamenti sociali, che parimenti sospingono la donna in situazioni passive. Tutto questo è ancora molto oscuro. C'è una relazione particolarmente costante, tra femminilità e vita pulsionale che non vogliamo trascurare. Nella donna la repressione dell'aggressività prescrittale dalla sua costituzione e impostale dalla società, favorisce lo sviluppo di forti impulsi masochistici, i quali, come sappiamo, riescono a legare eroticamente le tendenze distruttive rivolte all'interno. Il
masochismo è dunque, come si suol dire, schiettamente femminile. Se però, come tanto spesso avviene, riscontrate il masochismo negli uomini, che altro vi resta da dire se non che questi uomini mostrano tratti femminili molto evidenti?
Avete ormai capito che neppure la psicologia è in grado di sciogliere l'enigma della femminilità. La spiegazione deve venire da qualche altra parte e non può venire se prima non abbiamo appreso come abbia avuto origine, in genere, la differenziazione degli esseri viventi in due sessi. Nulla sappiamo in proposito, eppure l'esistenza dei due sessi è un carattere assai appariscente della vita organica, mediante il quale essa si distingue nettamente dalla natura inanimata. Frattanto, contentiamoci di studiare quei caratteristici individui umani che, per il fatto di possedere genitali femminili, sono manifestamente o prevalentemente femminili. E' conforme alla natura della psicoanalisi proporsi non di descrivere ciò che la donna è - il che sarebbe un compito forse superiore alle sue forze - ma di indagare il modo in cui diventa tale, il modo in cui dalla bambina, che ha disposizione bisessuale, si sviluppa la donna.
Negli ultimi tempi abbiamo appreso qualcosa su questo argomento, grazie alla circostanza che
parecchie nostre esimie colleghe in analisi hanno cominciato a lavorare attorno al problema. La discussione è stata particolarmente stimolante a causa della diversità dei sessi, poiché
ogniqualvolta un confronto sembrava andare a scapito del loro sesso, le nostre analiste potevano esprimere il sospetto che noi analisti non avessimo superato certi pregiudizi profondamente radicati contro la femminilità e li scontassimo quindi con la parzialità della nostra ricerca. A noi per contro era facile evitare, invocando la bisessualità, ogni scortesia. Non avevamo che da dire: "Questo non vale per voi. Voi siete l'eccezione, su questo punto siete più maschili che femminili".'

Capite cosa intendo dire che Luce ha gioco facile, è che Freud se le tira proprio. Infatti scrive la Irigaray in Speculum: 'Lasciata al vuoto, alla mancanza di ogni rappresentazione, ri-presentazione, a rigore anche di ogni mimesi, del suo desiderio d'origine. Il desiderio allora passerà attraverso il desiderio-discorso-legge del desiderio dell'uomo: tu sarai la mia donna-madre, la mia donna se vuoi e puoi essere (come) mia madre = tu sarai per me la possibilità di ripetere-rappresentare-riprodurre il mio rapporto con l'origine. Ebbene questa operazione non è affatto uno spostamento del desiderio-origine della bambina, della donna, ma piuttosto un esilio, una sorta d'estradizione o espatrio fuori da questa (sua) economia del desiderio. Di ciò la colpa, per giunta, viene attribuita a lei: odia sua madre. Quello che si verifica è semmai altro, che per la donna viene abolita la rappresentazione, ed il significante, d'un tempo della sua economia libidica, tempo non di poca importanza, poiché è quello in cui viene tolto il segno del primo tempo per ricevere il contrassegno. Diciamo piuttosto che al principio la sua storia si fermerebbe, per lasciarsi dettar legge da quella di un altro, quella dell'uomo-padre. Non ci sarebbe dunque per la donna alcuna possibile rappresentazione né alcuna storia della economia della sua libido. Come non c'è per l'uomo significato alcuno della libido femminile. La libido è maschile, meglio neutra. "Qualificare la libido come femminile mancherebbe di qualsiasi giustificazione". Traducendo, questo risulta: in una certa economia del voler dire - di cui conosciamo il rapporto che ha con il desiderio del medesimo, con la ripetizione- rappresentazione-riproduzione del medesimo - le parole "libido femminile" non vogliono dire niente, non possono voler dire qualcosa poiché l'eventualità contraria e cioè che possano voler dire una cosa qualsiasi rimetterebbe in questione proprio il progetto e le proiezioni del voler dire. Il carattere "ingiustificabile", insopportabile, delle parole "libido femminile" costituisce uno dei sintomi di un fuori che minaccia, agli occhi del "soggetto" (maschile) della storia, le parole, i segni, il senso, la sintassi, i sistemi di rappresentazione del voler direo fare adeguatamente sempre lo stesso. Che l'espressione "libido femminile" sia senza giustificazione significa anche e insieme che la forza delle pulsioni nella vita sessuale della donna si trova diminuita. Cosa questa che Freud si sforza in tutti i modi di dimostrare attribuendone la responsabilità maggiore alla natura. L'a priori e il desiderio del medesimo non si reggono che sul dominio di un unico desiderato. Succede di conseguenza che ci si lamenti e si ironizzi, tra gli esperti di psicoanalisi, sul fatto che le donne siano inanalizzabili. Questo è del tutto esatto finché ci si attiene al discorso di Freud e si resta dentro lo spazio chiuso della rappresentazione di cui lui stesso su questo punto è prigioniero. Infatti la "libido femminile", come a rigore la stessa differenza sessuale di cui "l'essere castrato" della donna è il più vistoso contrassegno attuale, sono escluse dalla rappresentazione. Il fallo invece vi funziona tropo spesso come garanzia del senso, il senso del/dei senso/i, la figura, la forma, il significante ultimo nel quale ricompaiono, scaltrite le antiche figure dell'onto-teologia (cioè la metafisica di Aristotele). Senza più maschere. Nasce il sospetto che in questa nuova economia della significazione, organizzata e dominata dal suddetto Fallo, il postulato sia sempre il Medesimo."
Non è che vada molto meglio con Lacan, egli certo riconosce al seno femminile una maggiore autonomia simbolica nelle patologie, ma ruota ancora intorno al fallo e alla legge del padre con un modello economico che per Lacan è in vigore, è proprio il caso di dire, nell'inconscio. Anzi, di più. Cosa è l'inconscio per Lacan? Il linguaggio. Abbiamo visto come il linguaggio è, non solo per le filosofe femministe, ma anche per Derridà, Jam Luc Nancy e a seguire per la filosofia post-moderna, fallo-logo-crato-centrico, capite quindi che per Lacan analizzare le patologie vincola a questo stato di fatto. Come parte la potenza metaforica? Lacan lo descrive riprendendo il piccolo Hans e il Fort Da di Freud. Cosa scompare e compare dietro il rocchetto? La madre. Cosa rappresenta la madre? Il desiderio. Se è neutra, cioè maschile, la libido desidera in forma, figura di fallo. La donna, invece, castrata, desidera meno, in fondo ha solo una piccola (o piccolo?) clitoride, che è il suo piccolo fallo. Il linguaggio e il suo effetto mimetico, secondo Freud e Lacan, Fort, fuori, Da, qui, parte così. Lancia il rocchetto e scompare sotto il letto, lo tira e torna visibile. Noi non possiamo trascurare che nell'opera di questi autori ciò di cui parlano l'hanno osservato. Questo significa che siamo situati nelle condizioni di cui descrivono l'economia. Ma, bisogna anche aggiungere, come dice la Irigaray, che ne hanno subìto, più Freud che Lacan, tutta la gettata simbolica. Alla conclusione del suo discorso infatti Freud dice: 'Un uomo sui trent'anni appare come un individuo giovanile, non del tutto formato, che ci aspettiamo saprà sfruttare energicamente le possibilità di sviluppo apertegli dall'analisi. Una donna della stessa età invece ci spaventa di frequente per la sua rigidità e immutabilità psichiche. La sua libido ha occupato posizioni definitive e sembra incapace di lasciarle per altre. Non ci sono vie verso un ulteriore sviluppo; è come se l'intero processo avesse già fatto il suo corso e rimanesse d'ora in avanti inaccessibile a ogni influenza, o meglio, come se il difficile sviluppo verso la femminilità avesse esaurito le possibilità della persona. Come terapeuti questo stato di cose ci appare deprecabile, persino quando riusciamo a porre fine alla sofferenza risolvendo il conflitto nevrotico. Questo è tutto quanto avevo da dirvi sulla femminilità'. Hans ha intuito come funziona il linguaggio e come il suo meccanismo simbolico, in relazione al desiderio, porta alla presenza l'assente. L'invisibile è metaforicamente fatto tornare visibile tramite il Fort Da, gioco che riporta la madre assente alla presenza, davanti ad Hans e alla sua libido, energia sessuale neutra inclinata al maschile. Insomma, pare un poco semplicistico, ma per la psicoanalisi l'energia che dà forma alla vita degli uomini e delle donne è simbolicamente strutturata, Lacan direbbe inconsciamente, con un linguaggio il cui clinamen è decisamente maschilista. Il motore immoto di Aristotele, insomma, sempre più scoperto e visibile, sembra un fallo eretto. Si capisce, allora, perché Luce Irigaray sia stata cacciata dall'associazione freudiana presieduta da Lacan. Ha scoperto che anche la psicoanalisi è un gioco per ometti.


Franco Insalaco

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