Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 17 settembre 2012

XXXIX Incontro. Guglielma e Maifreda.


Luisa Muraro dopo la laurea in filosofia delle scienze fa  una esperienza didattica antiautoritaria con Elvio Facchinelli. Esperienza raccontata nel libro 'L' Erba voglio: pratica non autoritaria nella scuola'. Ne nascerà la rivista 'L'Erba voglio'. Tra i '60 e i '70 fonderà a Milano il gruppo DEMAU (Demistificazione autoritarismo patriarcale). Poi con Lia Cigarini fonda il "Collettivo di Col di Lana", con la stessa inaugura la 'Libreria delle Donne' a Milano, ancora aperta. In libreria le riunioni che si tengono daranno luogo alla edizione del libro 'Non credere di avere diritti. La generazione della libertà femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne'. Nel frattempo va a insegnare a Verona dove con Chiara Zamboni, Wanda Tommasi e Adriana Cavarero dà luogo alla comunità filosofica femminile 'Diotima'. 

Il suo pensiero si ispira alla filosofia della differenza sessuale di Luce Irigaray, le opere più importanti della filosofa francese sono state tradotte proprio da Luisa Muraro. Noi seguiremo il pensiero di Luisa Muraro a partire dal libro intitolato 'Guglielma e Maifreda. Storia di una Eresia Femminile'. In realtà il testo esce a 24 anni di distanza dal suo primo libro sulle streghe, appunto 'La signora del Gioco. Episodi della caccia alle streghe', Milano, Feltrinelli 1976. Sarà seguito poi da un libro dal titolo simile al primo, 'La signora del Gioco. La caccia alle streghe interpretata dalle sue vittime'. Parleremo degli ultimi due testi editi nel 2003 e nel 2006. Il primo narra una storia accaduta nel 1262, epoca in cui arrivò a Milano Guglielma con il figlio, forse solo una tappa del suo viaggio ma poi vi rimase. Guglielma era la figlia primogenita di Costanza d'Ungheria regina di Boemia. Mai era stata così grande la Boemia come allora, al punto che l'imperatore Rodolfo d'Asburgo, appena nominato, chiese indietro a Ottocaro I alcuni territori che si era annesso. Ottocaro I finse di accettare, ma poi con il suo esercito entrò in Austria e sfidò l'imperatore, ne seguì una battaglia in cui morì. Fu la fine della grandezza boema. Comunque, tutto quel che sappiamo di Guglielma deriva dal processo contro i suoi seguaci che avvenne nel 1300 quando lei era già morta. Quasi nessuno a Milano e intorno all'Abbazia di Chiaravalle, frequentata da Guglielma, sapeva chi esattamente fosse, nessuno era a conoscenza della sua origine regale. Solo Andrea Saramita sapeva che era figlia di una regina. Ma era anche sorella di Santa Agnese da Praga. Del figlio di Guglielma nessuno parla. C'è solo la citazione nel processo di una irata reazione di Guglielma che affermò di essere giunta a Milano con un figlio, proprio a dimostrare che era una semplice e comune donna. Di Guglielma Andrea Saramita nel processo dirà che aveva come primo nome Blazena, che significa felixcioè donna felice, donna che rende felici, poi Vilemina, per questo i figli dei guglielmiti erano spesso chiamati Felicino o Felicina. Saramita nel processo parla della origine di Guglielma come se fosse poco importante, forse perché poca importanza le aveva dato lei durante la sua vita. L'Inquisizione, pur avendone i mezzi, preferì glissare, forse anche per motivi politici, e lasciò nell'oscurità tale questione. Nella Milano di Guglielma, tra il 1260 e il 1280, dominava la famiglia Torriani,  insediata dai Visconti. La situazione era burrascosa, le lotte per il potere tra le fazioni e contro le vicine città di Pavia, Lodi e Crema infiammavano le campagne con continue scaramucce. Milano era pure in conflitto con Roma perché aveva rifiutato l'arcivescovo indicato dal Papa. Abitata da 200.000 abitanti, nonostante i conflitti era una città ricca, vivace, aperta al nuovo. Gli eretici erano presenti in tutte le salse, valdesi, catari o albigesi, patarini, begardi, tutti tollerati nonostante la contrarietà dell'Inquisizione che accusava l'autorità secolare di scarsa collaborazione. Così i cristiani a Milano usavano la persuasione e l'esempio per convertire, anziché i mezzi più persuasivi del tribunale Santo. Giunta a Milano Guglielma prese a frequentare l'Abbazia di Chiaravalle. Essa, fondata dai benedettini Cistercensi ed eretta in stile gotico, è posta poco fuori Porta Romana, in aperta campagna. Forse Guglielma vi divenne terziaria, cioè laica che senza abbandonare la vita mondana accetta le regole spirituali dell'ordine per averne benefici morali e materiali. I Cistercensi erano contrari, ma lo era complessivamente la Chiesa, alle aspirazioni religiose femminili. La Chiesa, insomma, osteggiava gli ordini femminili, per questo motivo le donne spesso si appoggiavano a quelli maschili. Guglielma visse una vita solitaria, costellata però da una frequentazione assidua di tutti coloro che videro in lei una interlocutrice di Dio. Anche il tribunale dell'inquisizione durante il processo si fece di Guglielma l'idea che avesse avuto in vita una grande fede e una grandezza femminile rare, tanto che chi la frequentava vide in lei una incarnazione di Dio. Guglielma non portò la sua ricerca in una condizione di isolamento, né dava mai l'impressione che avesse trovato la sua fine. La solitudine le serviva solo per pregare, ma senza isolarsi. Scelse Milano come città dove vivere lasciando la porta di casa sempre aperta a chiunque, la gente era libera di entrarvi e entrando non perdeva la libertà di uscirne. Infatti, se invece di posare lo sguardo su di lei osserviamo chi la frequentava scopriamo che i suoi devoti erano molto diversi tra loro per condizione sociale, carattere personale, aspirazioni e problemi. Così Guglielma era per le donne del popolo lo stimolo e la speranza di divenire di più di ciò che erano, per il commerciante in conflitto con se stesso era la voce della coscienza, per il cristiano offeso dalla corruzione ecclesiastica rappresentava la speranza di una Chiesa santa. Ognuno poteva trovare una motivazione per cui sentirsi seguace di Guglielma, perché presentava prospettive diverse unite coerentemente, non tramite una unica idea ma sotto il significato spirituale di una comprensione amorosa. Insomma, l'atteggiamento di Guglielma era percepito dai suoi devoti ricordando due aspetti teologali e religiosi, Gesù e lo Spirito santo, il Paraclito. Troviamo le tracce di queste inclinazioni nel culto della sua santità dopo la morte, ma sappiamo anche da alcuni che era considerata divina già durante la vita. I seguaci avvertivano la sua somiglianza con Cristo, che era un uomo,  ma così differente dai suoi simili. Dicevano anche che faceva i miracoli e aveva le stigmate. In effetti due miracolose guarigioni sono registrate nel processo, dunque ella manifestava la capacità di confortare e guarire. Dal processo sappiamo che guarì un medico dalle sue sofferenze agli occhi e un altro, tal Novati, da una fistola. Guglielma non voleva però che la cercassero per questo. Quando si facevano insistenti le richieste, allora diceva: ite ego non sum deus. Non amava neanche dicessero che aveva le stigmate. Più profondamente Guglielma aveva la consapevolezza di portare la sapienza dello Spirito santo in modo tale che i cristiani del suo tempo riconoscendolo lo nominavano. Danilo Cotta era della più alta nobiltà, alla richiesta dell'inquisizione sul motivo per cui pranzasse con grande familiarità insieme a gente del popolo che non era simile a lui e neanche imparentata, rispose che prima di morire Guglielma raccomandò ai fedeli che dovevano restare uniti, amarsi e onorarsi a vicenda. Aggiunge infine, che mai era disperato come quando andava a trovarla senza ripartire lieto e confortato da lei. Così Guglielma, come il Cristo dell'ultima cena, invitava i suoi a sciogliersi dalle convenzioni sociali e a legarsi nell'amore e nel rispetto reciproco. Il tema dello Spirito compare, invece, quando il Cotta accenna alla consolazione che ricavava dal frequentarla. Paraclito è il consolatore, dice Luisa Muraro, più esattamente  in greco significa avvocato, consigliere, insomma, chi assiste e difende la persona affidatagli aiutandola a superare la prova in tribunale. L'inquisitore, dice la Muraro ironicamente, non capisce bene questo secondo aspetto. Infatti nel 1300 nella Chiesa ufficiale allo Spirito santo si dedica poca attenzione, Dio parla più attraverso le gerarchie e, quando occorre, la forza distruttiva del dominio. Invece, il fatto che i guglielmiti usavano felix come nome dei propri figli indica il valore dello Spirito che sentivano incarnato in Guglielma. Essa rappresentava una potenza benefica e beata. Il medico Giacomo da Ferno, discepolo con tutta la sua famiglia, nella sua discendenza indica proprio con 'paraclitolus', piccolo paraclito, Paraclitino, il nome di uno dei figli, Felicino l'altro. Il medico Giacomo riteneva che lo Spirito santo fosse presente e incarnato in Guglielma. Questa credenza di incarnazione femminile di Dio è il fondamento del principio eretico guglielmita. Tale credo, seppure si diffuse ancora in vita Guglielma, non era lei a insegnarlo. Una sua amica sentì Andrea Saramita affermare che Guglielma era lo Spirito santo. Allora Allegranza andò a riferire questa cosa a Guglielma che se ne ebbe a male e disse che lei era una donna comune, un povero verme. L'idea era dunque insegnata dal Saramita. Anche altri interrogata Guglielma ne ricavarono la stessa risposta, che lei era donna in carne e ossa, che era nata da uomo e da donna, come tutti, e che aveva messo al mondo un figlio. Andrea Saramita era povero, padre di famiglia, destinato a una esistenza oscura, gli scritti di Gioacchino da Fiore ne aveva infiammato la mente, acceso la speranza della venuta dello Spirito santo, così nella straniera boema vide incarnate le sue attese. Ma non aveva alcuna autorità nel convincere altri di ciò che Guglielma stessa respingeva. Dunque, Saramita doveva aver trovato anche qualche conferma in ciò che Guglielma diceva. Difatti vedremo cosa lo confermasse nella sua interpretazione. Di sicuro, va aggiunto, Guglielma amava quel suo discepolo infervorato, nonostante lo correggesse continuamente, eppure, anche se non era fedele al suo dire, lei e il suo spirito libero lo amavano. Guglielma amava tutti, come se non ci fossero mai contraddizioni. Una sapienza rarissima la sua, più che medioevale o scolastica, una sapienza greca senza polemos,  una sapienza cristiana delle origini. Il suo insegnamento era legato alla Abbazia di Chiaravalle che era frequentata dai suoi seguaci. I monaci di Chiaravalle desideravano una riappacificazione dei Milanesi, volevano vivessero come nel loro cimitero i nemici, simbolicamente riposando vicini gli uni agli altri. Così come anche le famiglie che si contendevano il potere e militavano in partiti diversi le vedevano riunirsi intorno a Guglielma. Nella cerchia di frequentatori c'erano anche delle religiose della Casa di Biassono, convento milanese dell'ordine delle umiliate. Suor Maifreda ne faceva parte, aveva frequentato e conosciuto Guglielma, ma mai intimamente come Andrea Saramita, dirà all'inquisitore. Tuttavia l'incontro con Guglielma cambiò la sua vita. Una passione interna che non si consuma la prese assumendo nella suora una determinazione che durante il processo, prova dopo prova, non verrà mai meno. Se Danilo Cotta si scalda alla presenza di Guglielma, Maifreda vi si tempra. 'Guglielma aveva infatti la capacità di essere per ciascuno una strada verso il vero nella fedeltà a sé, capacità che vediamo rilucere perfino attraverso le costrizioni di un processo penale. In lei trovò conforto chi sapeva portare il peso della vita, slancio chi voleva di più. Essa infiammò gli entusiasti e lasciò in pace i tranquilli, non scandalizzò i semplici e sostenne gli audaci.' Così Luisa Muraro. Nel processo si parla di devoti, di amici, di fedeli, in alcuni casi anche di seguaci, indicando così un insegnamento provenire da lei. Un insegnamento non dottrinale ma sapienziale. Nel processo si parla poco di Guglielma, per il tribunale la maggiore preoccupazione era scardinare il suo pensiero, provare che era eretica. Per questo poco sappiamo delle idee originali di Guglielma. Luisa Muraro prova a ricostruirle sottolineando che alcune zone d'ombra sono colmate da semplici ipotesi. Si diceva di Guglielma che era Dio, cioè, Spirito santo incarnato. Si diceva anche che era venuta a salvare tutti; ebrei, mussulmani, donne, compresi coloro che erano fuori dalla Chiesa per ignoranza o rifiuto. Cose che si dicevano ancora in vita Guglielma. Carmeo da Crema, si legge nei verbali, lo insegnava, è riportato nel testo Profezia di Carmeo da Crema, scritto da Andrea Saramita. Così come Guglielma era a conoscenza della prima tesi, quella della sua divinità e la respingeva, si pensa che fosse a conoscenza anche della seconda, però non risulta che da lei sia mai stata respinta. Dunque, le cose stanno in questo modo. Pare che alcune delle idee erano sicuramente provenienti da Guglielma, soprattutto la seconda tesi, cioè, che era venuta a salvare tutti. Nel processo noi le veniamo a sapere soprattutto da Andrea Saramita e da suor Maifreda, le conosciamo solo attraverso la loro interpretazione. Ciò che colpisce Luisa Muraro, senza che pretenda di darne una spiegazione, è il fatto che anche dopo morta il culto della santa era condiviso da persone tanto differenti. Forse ciò costituiva il cuore della dottrina di Guglielma, il fatto che a noi pare nemico quello che non lo è. Guglielma trasmetteva questa certezza, che le molte strade sono la vera figura della verità. Un altra filosofa del Novecento vedrà questa unità spirituale nascosta nelle diverse religioni. Simone Weil dietro ogni dottrina avverte la stessa tensione, lo stesso Dio. Dopo la morte di Guglielma, avvenuta nel 1281 o 1282, non se ne ha certezza, una prima tumulazione avvenne per ragioni di sicurezza a San Pietro dell'orto, vicino a casa sua. Poi un drappello militare, qualche anno dopo, la traslò a Chiaravalle, dove, come a casa sua quando era in vita, i pellegrini continuarono ad andare in visita alla nuova tomba. Tomba che oggi è vuota poiché l'Inquisizione nel 1300 ordinò al braccio secolare di bruciarne i resti, il rogo avvenne insieme agli altri eretici guglielmiti condannati. I monaci avevano iniziato ad offrire a chi visitava la santa dei pasti semplici, vino, pane, ceci, e in due occasioni, in ricorrenza della morte e della traslazione, organizzavano cerimonie in cui predicavano le idee di Guglielma. Alcuni monaci saranno poi coinvolti dai testimoni nel processo. In effetti alcune testimonianze piene di acredine parlano dei monaci che paragonavano Guglielma alla luna e alle stelle. Nel 1300 i monaci di Chiaravalle ancora predicavano il messaggio della santa, così tentarono, tramite l'arcivescovo di Milano, di sfilare la causa alla Santa Inquisizione per svilupparla loro. La salma di Guglielma, dopo la sepoltura a Chiaravalle del corpo, come accadeva nella tradizione di chi era in odore di santità, venne tolta dal sepolcro, portata in chiesa e davanti ai frati, da Andrea Saramita e dai suoi aiutanti, fu lavata con acqua e vino, liquido che venne poi raccolto e mandato a Milano a suor Maifreda. Dopo lavato, il corpo venne rivestito da Andrea con paramenti di seta, Graziadeo da Operno, un monaco presente, offrì il suo scapolare, un rettangolo di stoffa con un buco per infilarvi la testa, lo donò a Guglielma come se fosse una terziaria cistercense. Andrea Saramita e il pittore Mirano, dopo l'inverno, partirono verso la Boemia per portare a corte la notizia della morte di Guglielma e per chiedere indietro i soldi spesi da Andrea per la sepoltura. Giunti a Praga scoprirono che il re Ottocaro I era morto. L'inquisitore chiederà ad Andrea se lo scopo non fosse anche di cercare aiuto dal re di Boemia per la promozione a Roma della canonizzazione di Guglielma. Andrea rispose che allora non ci pensava. Andrea Saramita si dedicava con tutte le sue energie a promuovere la conoscenza di Guglielma organizzando feste, incontri, banchetti, pellegrinaggi, insomma, non mancava occasione per parlare, pensare, discutere, scrivere intorno al suo pensiero. Quando il Saramita va a Praga per recuperare dei soldi ne parla come se fossero suoi, in realtà erano le offerte che una intera comunità dedita a Guglielma gli versava per i paramenti e le iniziative sulla santa. Spesso si trovavano tutti convivialmente in pranzi in cui partecipavano i devoti che suor Maifreda allietava con le sue musiche. Avevano anche individuato delle sante di copertura per rappresentare Guglielma, sempre dipinte da Prete Mirano, ad esempio, Santa Caterina nella chiesa di Sant'Eufemia ha le sue fattezze. Questi dipinti poi durante le feste ricevevano particolare illuminazione. Ser Danilo Cotta in Santa Maria madre di Dio, faceva tenere due lampade sempre accese  in suffragio del fratello sepolto sotto il ritratto di Guglielma. Due sante erano spesso nominate da suor Maifreda per parlare di Guglielma, Santa Caterina d'Alessandria,  protettrice dei filosofi, messa a morte sotto l'imperatore Massenzio, probabilmente dietro c'è la figura di Ipazia, e Santa Margherita, vergine e martire del III secolo, la leggenda racconta che fu divorata dal drago, il diavolo, ma ne uscì viva, allegoria di una salvezza miracolosa dalla morte. Entrambe le sante appariranno anche a Giovanna d'Arco, un secolo e più dopo, guidandola nella difficile prova del suo processo. L'idea della divinità di Guglielma era già presente, abbiamo visto, quando era in vita, anche se lei non l'approvava. Ora Saramita, dopo la morte, iniziò a dire anche che presto sarebbe risorta. Saramita ne era così convinto che organizzò il ritorno di Guglielma. Una parte delle offerte fu dedicata all'acquisto di abiti regali che Guglielma avrebbe messo appena risorta. Alcuni alle domande dell'inquisizione risposero che erano paramenti con cui il corpo avrebbe dovuto essere riportato in Boemia, ed era necessario farlo con tutti gli onori dovuti ad un membro della famiglia reale. In realtà nessuno a Milano pensava di distaccarsi dal corpo della santa. Saramita quegli abiti li teneva a casa e li mostrava a tutti. Così il loro valore avvalorava la fede, l'invisibile diveniva visibile toccandosi con mano. Albertone Novati racconta di una visione che ebbe al cimitero di Chiaravalle, Andrea Saramita è legato mani e piedi dalla Inquisizione e Guglielma affettuosamente gli scioglie i legami, poi gli inquisitori cercano di prendere Maifreda ma un Angelo con la spada insanguinata lo impedisce. Nella visione si mischiano motivi dottrinali e il timore di ciò che in seguito avvenne davvero. Guglielma vi è rappresentata come paraclito, avvocato che difende il suo preferito perseguitato ingiustamente. Ma anche il motivo dell'Angelo che difende suor Maifreda indica che era considerata anche lei da Albertone persona sacra. Guglielma apparve anche allo stesso Saramita e a suor Maifreda. A Chiaravalle si praticava il culto della santità di Guglielma e a Casa di Biassono, dove viveva Riccadonna, madre del Saramita, e suor Maifreda, si celebrava il culto segreto della sua divinità. Suor Maifreda non andò mai, secondo Luisa Muraro, a Chiaravalle, o almeno nessun documento lo testimonia, ciò prova che non era tanto un rapporto affettivo a legare Maifreda a Guglielma, la suora però si sentiva una sostituta della santa, l'unica che poteva svilupparne gli esiti spirituali. Perciò suor Maifreda portava avanti con assoluta determinazione questo compito. A Casa Bissona Maifreda non predicava in Chiesa, sarebbe stata una provocazione per la gerarchia maschile, ma parlava nell'oratorio, nel parlatorio, nell'infermeria, nel cortile interno, nel porticato. Nelle sue predicazioni raccontava dei Vangeli, delle lettere degli Apostoli, dei santi, tra i quali Caterina e Margherita. Ma quando l'inquisizione supererà le resistenze iniziali si capirà che Maifreda istruiva particolarmente le donne. A poche e in privato, massimo una decina, Maifreda raccontava che Guglielma era lo Spirito santo, parlava della sua natura divina e delle idee portate da lei. Amministrava anche i sacramenti, in forme semplici di devozione a santa Guglielma, con l'acqua dei lavacri del suo corpo e le ostie depositate sul suo sepolcro. Erano i sacramenti tradizionali che Maifreda operava, cresima ed estrema unzione, ma anche comunione eucaristica. Il tribunale non approfondirà particolarmente la questione della legittimità dei sacramenti, non gli interessava, anche perché era terreno minato. Per alcuni, pochi, seppure amministrato da una donna il sacramento era valido, non per Tommaso, allora il più autorevole, per lui il sesso femminile non era capace di esercitare il ministero sacro. Comunque, il diritto canonico non consentiva alle donne il sacerdozio, tuttavia, badesse a capo di monasteri celebravano e esercitavano il governo anche sui preti, al pari di un vescovo. Maifreda fa appendere nella chiesa della casa di Biassono un dipinto che raffigura la sua dottrina, ne intuiamo il significato, vi sono tre persone, due a destra e una a sinistra che liberano dei prigionieri. Aveva così grande autorità per i seguaci Maifreda perché rappresentava in terra proprio il Dio incarnato da Guglielma. Adelina Crimella tornando da Chiaravalle con altri pellegrini dice che Maifreda aveva in terra grazia, virtù e autorità superiori a quella dell'apostolo Pietro. Carabella Toscano la rimprovera per l'imprudenza di quelle parole. I guglielmiti a partire da Saramita, poco prudente per se stesso, erano molto attenti a non esporre suor Maifreda. Le davano il titolo di vicario, cioè di sostituta dell'autorità che era assente. Insomma, la onoravano di segni di rispetto, si inginocchiavano baciandole la mano e a volte il piede, come un papa. Ma baciare il piede ricorda anche il gesto con cui i primi credenti adoravano Gesù. Nel 1073 quel gesto Gregorio VII prescrisse fosse dovuto solo al papa. Così nel 1284 l'Inquisizione ebbe notizia della nuova eresia. Nel confidarsi con donne esterne al gruppo, forse per coinvolgerle, accade che una certa Bellafiore, madre di un frate, Enrico da Nova, confida al figlio ciò che le avevano detto le Guglielmite. Poco dopo fra Manfredo da Dovaria, inquisitore, ordinò ad Andrea Saramita con sorella, madre e figlie, e poi a suor Maifreda, a suor Giacoma dei Bassani e a Bellacara Cerentano di presentarsi da lui. Alla fine del primo processo gli inquisiti abiurarono ai loro errori, giurarono nelle mani dell'inquisitore, ebbero una penitenza, un colpo di bastone sul coppino e furono assolti. Dopo il processo si fecero più accorti. Le compagne di suor Maifreda la rimproveravano perché continuava a frequentare i guglielmiti e temevano per loro e la loro Casa. Fatto è che l'inquisizione perdonava il cristiano caduto in errore, se si pentiva, solo una volta, la seconda c'era il rogo. Seppure nulla cambiò, la maggiore prudenza fece vivere senza contraccolpi e tranquillamente il gruppo fino al 1296. Come disse l'inquisizione in apertura dell'ultimo processo del 1300: 'le persone già processate e perdonate, dopo le abiure per molto tempo ancora fecero riunioni segrete e riunioni pubbliche di molti uomini e donne, e perfino prediche.' Cosa era accaduto? In particolare il fatto che il papa Bonifacio VIII in una bolla descrive persone che come nuvole senza acqua portate dal vento disseminano credenze secondo cui possono legare e sciogliere, cosa che può solo Pietro e i suoi successori. Queste persone vivono in comunità miste, fanno comunioni, prendono la tonsura e trasformano un laico in chierico, predicano, insomma, vanno contro il rito ecclesiastico, trasmettono lo Spirito santo con l'applicazione delle mani e rispondono di sé solo a Dio. Altre pratiche riguardano il fatto che le preghiere sono, per questi eretici, più efficaci se fatte nudi, poi si scambiano le donne e non hanno rispetto per il sacramento del matrimonio. Non si dice di quale setta si tratta nel documento, ma porta come conseguenza che le autorità locali faranno molta più attenzione, soprattutto se nei gruppi osservati sono presenti molte donne, come per i guglielmiti. Così nel 1296 frate Tommaso da Como, inquisitore, riapre il fascicolo contro di loro. Il primo a essere interrogato, Girardo, non dice molto, ma è talmente terrorizzato dalla Inquisizione che esce dicendo a Saramita che non vuole più saperne di Guglielma. Quindi esorta anche sua moglie a non credere più ai guglielmiti, ma lei non gli dette retta. Nel 1296 Girardo doveva essere il primo dei guglielmiti in realtà rimase l'unico, Frate Tommaso andò a Roma in seguito a un ricorso contro di lui per un altra questione. L'interrogatorio però mise in apprensione suor Maifreda che decise di uscire dalla Casa Bissona e affittò per lei e le sue compagne la casa di un certo Guglielmo Codega. La portineria della Casa Bissona non taceva le visite ricevute da suor Maifreda, così era risaputo fino a Roma che la suora era visitata da Galeazzo Visconti. D'altronde con i Visconti aveva una lontana parentela e anche una certa protezione. Comunque, senza cautelarsi troppo, l'attività di suor Maifreda e del Saramita in quegli anni addirittura si intensificò. Saramita frequentava molta gente e raccontava che Papa Bonifacio VIII non era un vero papa, cosa che molti pensavano per il fatto che si era proclamato papa da solo ancora in vita il predecessore, Celestino V. Anche suor Maifreda appoggiava questa tesi. La suora ormai sicura di non coinvolgere Casa Bissona era più audace nel portare avanti le sue tesi. Così nel 1300 nel giorno di Pasqua decise di esercitare le sue funzioni, vestiti i panni sacerdotali celebra la messa solenne della liturgia pasquale. Altre volte aveva compiuto la benedizione e distribuzione delle ostie, che in forma rudimentale erano messe anche quelle, ma questa volta seguì il rito romano o forse quello ambrosiano. Nulla di straordinario, salvo il sesso del celebrante. Dunque, suor Maifreda non era una eretica riformatrice, non voleva cambiare la Chiesa in senso morale o spirituale, voleva solo un mutamento dello stato femminile. Nel 1300, sentendo il clima di attesa che nel mondo cristiano era presente, Dante vi collocherà il suo viaggio immaginario, tutti credevano a un nuovo periodo, si sperava nell'avvento di una nuova epoca, si sperava nella venuta dello Spirito santo, il Saramita addirittura crede ormai prossima la resurrezione di Guglielma. Suor Maifreda, senza mai contraddirlo, inclina diversamente il senso, dà un altro significato alla fine secolo, Dio per suor Maifreda non sta tornando, ma, ella pensa, i segni del suo potenziamento si testimonieranno con la liberazione del sesso femminile. La messa del 1300 fu curata in ogni dettaglio. Preziosi gli ornamenti e gli altri oggetti per la celebrazione. Nove giorni dopo frate Guido da Cocconato interroga Maifreda, ciò dà l'impressione di una correlazione con la messa praticata, ma non se ne trova traccia nelle parole dell'inquisitore. La causa sta, sembra, solo nelle voci diffuse e insistenti che circolano. Il 19 luglio successivo si apre il processo ai guglielmiti e questa volta alla stessa Guglielma. 

Franco Insalaco

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