Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 5 marzo 2012

Religione, filosofia e capri espiatori


La relazione tra religione e filosofia come elemento di elaborazione dell'identità e di incanalamento della violenza.

Intendo affrontare il rapporto tra filosofia e religione a partire dal conflitto che ha investito l'ex Jugoslavia e creato la guerra civile tra tutti i paesi che ne facevano parte. Mi pare che il dialogo intrecciato tra filosofia e religione, tra romanticismo e ortodossia, di fatto abbia alimentato gli eventi che l'hanno fatta cadere.

Questo metterò in evidenza con una analisi di matrice girardiana. La storia è nota a tutti. L'Italia per la prima volta dal 1945 entra in guerra allineandosi alla rappresaglia contro la Serbia. Intervento apparentemente giustificato dalla posizione di Belgrado che intendeva imporre continuità ai confini stabiliti dal regime di Tito salvaguardando violentemente gli interessi serbi nei vari paesi della confederazione. La regione balcanica è da sempre in equilibrio funambolico tra popolazioni di diverse etnie, culture e religioni. Ogni Stato federato era costituito da etnie, religioni e culture multiple che fino ad allora avevano convissuto in apparente concordia. Ma senza consapevolezza del significato democratico che tale convivenza richiedeva, determinante il fatto che vi era un solo partito, quello comunista. Il Comunismo, pur non preparando la popolazione al dialogo, impose però, paradossalmente, la massima democrazia, attuando una buona convivenza tra diversi. La costituzione federativa del paese venne realizzata tenendo conto delle differenze e vi era sancita una relativa e paritaria libertà tra tutti i cittadini: quella di espatrio tramite il passaporto, quella economica e di lavoro consentendo anche la proprietà di più case. Roma nel 200 A.C. aveva conquistato le regioni popolate dagli Illiri, queste si estendevano dall'attuale Albania fino alla Slovenia, cioè lungo tutto il Mar Adriatico. Si intese così nei secoli più prossimi a noi con illirizzazione la ricostituzione di quel grande Stato. Naturalmente la Serbia pensava a una grande Illiria serba e gli altri lo stesso, ma in proprio. La Jugoslavia rappresentava, in un certo senso, il disegno di quell'insieme, senza egemonie dell'uno sull'altro. Peraltro, non era semplice ricucire le tensioni che durante la seconda guerra mondiale provenivano da nazionalità spesso contrapposte. A costituire un unico tessuto in grado di trovare accordo tra tutte quelle molteplicità fu il Comunismo di Tito che unificò quelle differenze. L'aspetto religioso venne meno, la cultura romantica si sciolse, le origini storiche di ciascuno furono amputate con un nuovo inizio. Chi è cresciuto in quei paesi dopo la seconda guerra mondiale ha visto la storia, quella insegnata a scuola, iniziare proprio dal 1945, cioè a partire dalla nuova Costituzione della Repubblica Jugoslava. E' lungo e complesso il processo che porterà alla federazione degli Stati jugoslavi. Vi furono quattro fasi successive. Peraltro, prima della seconda guerra, esisteva già il regno jugoslavo, composto da serbi, croati, sloveni a religione ortodossa, mussulmana e cristiana.

La prima guerra mondiale
La prima guerra mondiale nasce in seguito alla volontà dell'impero Austro-Ungarico di appropriarsi di un piccolo regno slavo. Gli era stata concessa la Bosnia dall'intermediazione Russa, ma dopo l'uccisione di Francesco Ferdinando d'Austria da parte di uno studente serbo, l'Austria invia alla Serbia un elenco di 15 punti che avrebbe dovuto accettare per evitare il conflitto. La Serbia li accetta tutti meno uno, quello che prevedeva indagini compiute dalla polizia austriaca in territorio serbo. L'Impero Austro-Ungarico dichiara guerra. L'Impero Russo, alleato della Serbia, interviene a quel punto militarmente. La Germania impone alla Russia di ritirare le sue forze e al suo rifiuto dichiara guerra alla Russia e alla Francia. La prima guerra mondiale inizia così, scenderanno in campo i vari contendenti divisi in due fazioni: gli Imperi Centrali e la Triplice Intesa. Senza risalire più indietro nel tempo vediamo subito che i Balcani costituiscono un territorio di conquista da parte di paesi esterni all'area balcanica. L'interesse di alcuni paesi europei era evidente, visto che allora si arrivò al più grande conflitto mai registrato dalla storia degli uomini. Il primo conflitto su scala mondiale. Era una scusa l'omicidio di Francesco d'Austria, ma non lo era la conquista del territorio serbo. La Serbia un paese verde, pieno di pianure fertili, forse ultimamente, dopo i bombardamenti Nato, un poco velenose, ha sempre costituito un ricco bottino per gli Stati imperialisti. Cosa accade dopo? Entra in guerra anche l'Italia. Con un voltafaccia alla triplice alleanza, cioè agli imperi centrali, l'Italia affianca l'Inghilterra. Questa aveva promesso un ricco bottino in caso di vittoria, cioè, l'annessione di territori che vanno da Trento fino al Brennero, da Gorizia a Trieste a parte della Dalmazia, per questo si schiera con la Triplice Intesa. Il popolo italiano con un colpo di mano vede delegittimato il parlamento, in maggioranza neutrale, così gli interventisti la spuntarono anche se erano in minoranza. La prima scissione del parlamento imposta per motivi nazionali era stata compiuta. Gli interventisti erano irredentisti che intendevano recuperare dall'Impero Austro Ungarico le terre italiane considerate sotto dominio straniero, appunto Trento fino al Brennero, Gorizia, Trieste e Gradisca d'Isonzo, L'Istria senza Fiume e parte della Dalmazia.

La situazione economica
Ma torniamo alla storia più recente. L'aspetto religioso nella Jugoslavia comunista, rimanendo sullo sfondo, non costituì motivo di contese. Questo fino agli anni '80. Dopo la morte di Tito però la situazione precipitò in maniera drammatica lungo tutto il decennio, cioè fino alla fine degli anni '90, poi seguì la catastrofe. Qual è il punto essenziale per cui cadde il governo e venne stracciata la costituzione Jugoslava? Intanto una situazione economica fortemente compromessa. I singoli Stati non erano più in grado di garantire un tenore di vita sufficiente ai propri cittadini. Inoltre, la crisi generale del Comunismo in Unione Sovietica impedì di costituire un obiettivo credibile sul quale muoversi in piena condivisione. Ogni paese, dunque, inizia ad ignorare il governo comune e a pensare per sé. Questo aspetto porta direttamente all'emergere di conflitti economici, poi etnici e infine religiosi tra i diversi paesi. Non più retti da un parlamento comune e senza alcun dialogo, i vari Stati si frammentarono. Durante il dominio di Tito le frontiere dei paesi erano aperte e si incoraggiava chi voleva trasferirsi, così si erano create mescolanze che in ogni regione avevano formato delle minoranze reciproche. Quando, morto Tito, i governi non presero più sul serio né il parlamento né il nuovo presidente jugoslavo, la crisi si acuì e scoprì i nervi delle maggioranze contro le minoranze. Come accade che l'aggressività prenda il posto della parola? Il punto è che spesso la parola è violenta, ma nasconde la sua carica. Nella crisi si rielabora l'identità cercando una origine comune, un principio che ristabilisca la comunità. Ma questa ricostruzione identitaria passa attraverso meccanismi micidiali che René Girard mette in evidenza in modo particolarmente efficace.

Il desiderio triangolare
Questi meccanismi sono necessari per incanalare la violenza e limitarne gli effetti negativi. Tuttavia la loro brutalità è micidiale. Tali congegni sono tanto semplici quanto nascosti. Anzi, secondo René Girard spesso la cultura è il sistema di occultamento di questi automatismi. Succede, ad esempio, che la Serbia e L'Albania, o meglio i loro abitanti, abbiano le radici nella stessa terra kossovara, lì sarebbe il cuore e l'origine di entrambe le etnie e delle loro culture, cioè dei loro miti sull'origine. Dunque, un primo meccanismo gemellare è il desiderio di avere per sé il territorio marcato dal rivale. Il desiderio per Girard ha di caratteristico che funziona triangolarmente. Non desidero qualcosa direttamente ma solo se lo desidera qualcun altro, il mediatore. Dunque tra serbi e albanesi si instaura una reciprocità negativa gemellare sull'origine. I fratelli, sopratutto se sono gemelli, si confondono, e se si deve decidere l'erede al trono scatta, al momento della successione, la violenza reciproca. Si pensi a Romolo e Remo ma anche a Caino e Abele. Per i gemelli, quando il patrimonio familiare spetta in caso di maggiorasco all'uno o all'altro, le cose diventano per forza conflittuali. Vedi anche i tebani Eteocle e Polinice. La reciprocità è vista da Girard in modo sia pacifico sia conflittuale, ed è simmetrica. La reciprocità è solo simmetrica, quindi si apre al dono o al conflitto, perché entrambi facciamo da specchio all'altro, il mediatore, e vogliamo la stessa cosa. Dunque, per René Girard, i rapporti sono sempre identitari, non sono mai improntati alla differenza, come invece crede la cultura di sinistra. Tra serbi e albanesi scatta un rapporto gemellare in cui la reciprocità diventerà simmetricamente distruttiva perché entrambi desiderano e vogliono il Kossovo come patria elettiva, finché alla fine scoppierà la guerra. Gli uni e gli altri sono dentro un circuito vizioso in cui il desiderio è rilanciato dalla stessa terra. Diceva Goethe che è meglio non presentare ad un amico la donna che ci interessa, perché se troppo interessato o troppo poco ne soffriremo comunque. Dunque il desiderio funziona con meccanismi di rilancio che avvengono attraverso l'altro, gemellato.

La violenza vittimaria
In questa catena di rilanci ciò che si forma è fondamentalmente un circuito violento. Il desiderio naturalmente è quello di avere per noi ciò che già è dell'altro. La violenza normalmente è tenuta a freno finché il circuito è bloccato, cioè non è fluido. Quando le cose si complicano? Nel momento in cui l'indifferenziato si presenta. Cioè nel momento in cui tutti annegano e cominciano a chiedersi di chi sia la colpa. Colpa che sempre viene attribuita alla minoranza, cioè al capro espiatorio. La maggioranza si compatta e allinea in questa posizione originando spinte identitarie e nazionaliste. Nel momento in cui la Jugoslavia va affondando il presidente serbo Milosevich appoggerà i nazionalisti serbi, il carattere nazionale fa intravedere il ghigno della logica spartitoria che poi infiammerà i Balcani. Gli interessi in gioco naturalmente sono più ampi, cioè non sono solo locali. Tutti i paesi europei hanno degli interessi e anche gli Stati Uniti. In una situazione di scontro in cui gli interessi nazionali prevalgono, la presenza delle minoranze diviene risolutiva. La dissoluzione delle economie in crisi sfoga la violenza crescente individuando singole minoranze colpevoli. Il capro espiatorio è la minoranza di ciascun paese. L'effetto sarà che i serbi della Serbia accusano gli albanesi allo stesso modo in cui gli albanesi accusano i serbi nel Kossovo, e reciprocamente accadrà tra sloveni, croati, bosniaci. I serbi sono i più coinvolti perché il loro paese  è il più grande della coalizione, non a caso Belgrado era la capitale della Jugoslavia. Per il Kossovo poi è paradigmatico che entrambi, albanesi e serbi, abbiano le loro radici in una mitologia medioevale che coincide, in cui gli eroi, cioè, sono considerati serbi dai serbi e schipetari dagli albanesi.

La cultura maggioritaria
Così alla caduta del Comunismo la storia improvvisamente torna all'Ottocento, cioè alla filosofia romantica. Riprende vigore, sulle tracce di Johan Gottfried Herder, la ricerca delle radici e della lingua madre, quella parlata da chi dalla nascita abita quei territori e che indissolubilmente lo lega a quella terra e alla sua storia con un vincolo di sangue. Solo per questo motivo il suo valore è ritenuto superiore a quello di chi invece è appena arrivato, questa forma di razzismo si basa sull'autoctonia. L'autoctono è più puro e ha più valore. Una bella pretesa. Riaffiora contemporaneamente tutta la potenza religiosa che fino ad allora era sopita, anzi proprio per questo riprende con ancora più vigore dopo l'epoca materialistica del Comunismo. Questi fattori non sono altro che elementi di copertura e contenimento ma anche la causa della crisi che si profila all'orizzonte con lo scontro interetnico. Così, anziché andare verso una situazione di follia collettiva, in cui tutti sono nemici l'uno dell'altro rischiando uno scontro totale, si individua nella minoranza l'obiettivo che è in grado di ricompattare e allineare la maggioranza, si cerca così di ricostituire l'identità in via di sparizione e di limitare la violenza dell'uno contro l'altro evitando lo stato selvaggio descritto da Hobbes. In questo movimento ciò che tende a sparire sono anche le differenze individuali. Si è serbi, croati, sloveni, albanesi e tutte le altre questioni non interessano. Gli individui sono schiacciati sotto il condizionamento della nascita. Chiunque prenda posizione critica diviene nemico, anche se fa parte della stessa etnia. Si è solo numeri di una massa nazionale. L'individuo non deve emergere in alcun modo, vale solo il bene nazionale, guai a mettere in crisi l'identità in via di costruzione. Alcuni intellettuali di quelle regioni lo sanno bene, costretti alla fuga dai loro connazionali solo per averli criticati. Con il Comunismo la simmetria positiva veniva attuata su un altro piano, cioè con la condivisione dell'ideologia che, sorretta da un sistema poliziesco e da un esercito imponente, non lasciava spazio ad alcuna eteronomia. Se questa descrizione è veritiera allora possiamo osservare nei Balcani la costituzione di una alleanza tra filosofia e religione che, coalizzate, tentano di limitare, tramite elementi di ricostruzione delle identità la dissolvenza sociale, limitando la violenza e incanalandola. Ma lo scontro tra i diversi paesi della costituzione federata jugoslava è all'ultimo sangue rispetto alle minoranze, con la pulizia etnica. Molti sono uccisi e convinti dalla violenza ad andarsene. Via via si allargherà il conflitto tra gli Stati e verrà meno anche quella limitazione della violenza che il meccanismo vittimario dovrebbe attuare. Inoltre, l'intreccio di interessi esterni tendente a sfruttare se non ad alimentare i conflitti locali per affermarsi, non fa altro che gettare benzina sul fuoco. Ho potuto osservare come nei Balcani i racconti delle persone, incontrate nel dicembre 2007, fossero completamente immersi in una atmosfera mitico-religiosa. Le radici serbe erano individuate nel Kossovo a Metohija, significa 'bene ecclesiastico', per la resistenza opposta ai turchi nella guerra del 1389 a Kossovo Polje, quando la Serbia si costituì baluardo dell'Europa e della cristianità contro le orde islamiche. La componente religiosa ortodossa presente nei tantissimi monasteri, un centinaio di questi sono stati distrutti dagli albanesi negli ultimi anni, è proprio la conferma della sacralità di questa terra per i serbi. Gli albanesi, raccontano i serbi, hanno metodicamente messo in minoranza con politiche demografiche facendo negli anni passati una media di dieci figlia a famiglia, fino ad acquisire la maggioranza nel Kossovo. Il complotto, pensano i serbi, era già deciso da Tito che voleva una Serbia debole. Per questo gli albanesi potevano entrare in Kossovo liberamente. Il fatto è che ciascuno Stato alla fine ha creduto di essere danneggiato dal regime di Tito, così tutti hanno iniziato a rivendicare i danni subiti.

Gli interessi internazionali
La storia del Kossovo è anche un'altra. E' la storia di un paese, la Serbia, che viene attaccato dagli Stati Uniti perché non vuole entrare nella globalizzazione. In questo senso, come hanno sempre agito in Oriente o nel sud America, i governi statunitensi di destra e di sinistra una volta individuati gli alleati locali, spesso terroristi, mafiosi, avventurieri, ma è l'imperialismo che funziona così, hanno addestrato l' UCK albanese per conquistare la regione. Gli interessi sono tanti, ma il principale è costituito dalla sicurezza per i corridoi energetici dall'oriente all'occidente. Il fatto che la mitologia albanese costruisca sulle stesse storie kossovare narrate dai serbi la dimostrazione delle proprie radici basandole sugli stessi avvenimenti accade perché albanesi e serbi erano nel 1389 alleati contro lo stesso nemico, l'impero Ottomano. Entrambi difendevano le terre che avevano condiviso per centinaia di anni. Dall'inizio del 1900 quelle terre erano ancora al centro della contesa. Nel '12 e '13 le Guerre Balcaniche per l'indipendenza dalla Grande Porta videro la caduta dell'egemonia turca, ne seguirono la ripopolazione serba e la cacciata dei turchi e degli albanesi dal Kosovo. Successivamente, allo scoppio della prima guerra mondiale, la Triplice Intesa conquistò con l'appoggio della popolazione albanese quelle terre, poi, alla sua sconfitta, serbi, croati e sloveni costituirono il primo regno jugoslavo, riannettendosi di nuovo il Kossovo e attivando campagne repressive contro albanesi e macedoni. All'inizio della seconda guerra mondiale la maggioranza albanese si era ridotta e serbi e montenegrini costituivano la metà della popolazione kossovara. La seconda guerra mondiale vide la Germania e l'Italia dividersi i territori, la Serbia e il Kossovo del nord annessi alla prima, Albania e Kossovo del sud alla seconda. In questo periodo centinaia di migliaia di serbi furono di nuovo cacciati verso la Serbia. Quando il fascismo in Italia cadde Himmler costituì, con personale albanese kossovaro di religione mussulmana, la divisone Skanderberg con l'obiettivo di sterminare i serbi kossovari. Infine, alla fine del '44 partigiani comunisti, serbi e albanesi, liberarono la regione annettendola alla nuova Repubblica Jugoslava. Questi passaggi indicano una regione violentemente e continuamente contesa. L'aspetto politico fa perno su un processo vittimario ogni volta contro la minoranza del momento. Allora, quale è il rapporto che intercorre in questi casi tra filosofia e religione? E' il percorso attuato dal processo maggioritario. Cioè le istanze culturali che vi stanno dietro creano le condizioni per cui si crede che il mito della madre lingua e dell'origine, cioè la sacralità della terra elettiva, quella in cui si è nati, costituisca quella purezza che dà valore all'autoctono. Queste conclusioni accreditate tramite ricerche sul linguaggio, storiche, letterarie e mitologiche vanno a costituire la nuova cultura nazionale maggioritara. L'industria culturale è ben felice di appoggiare queste forze artistiche, ne ha tutto da guadagnare. Vedi Adorno e Horkeimer quando, in 'Dialettica dell'Illuminismo', parlano dell'industria culturale. Così le istituzioni di ciascuno Stato creano l'immaginario necessario a ricompattare l'identità. Questo fa sì che il vicino, se non è autoctono e magari lavora, in caso di crisi sia guardato in modo sempre più diffidente. Perché tutto nasce da una situazione di crisi. Non c'è più la normalità. Si sta sprofondando lentamente verso l'indifferenziato. Le cause possono essere molteplici: economiche, naturali, epidemiche. Nel caso jugoslavo erano prevalentemente economiche. Una crisi legata all'economia che non era più in grado di mantenere tutti e aumentava sempre di più gli esclusi. La povertà riaffiorava in modo preoccupante e ciascuno credeva che l'altro, soprattutto se straniero, ne fosse la causa. In questa ottica sempre più facili erano gli odi e gli scontri. A Kossovo Polje, seicento anni dopo l'epica battaglia, Milosevich tenne un discorso apparentemente equilibrato ma dalla forte impronta nazionalista. Da quel discorso inizia la disfatta.

La falsità del mito e della storia
Per René Girard il mito, la storia e la religione vanno letti sullo stesso piano, come se fossero narrazioni riferite alla stessa matrice violenta. Nel mito verrà mascherato il capro espiatorio al punto che diventerà l'eroe, il dio e il fondatore. Nella religione cristiana invece il meccanismo viene rivelato, cioè per la prima volta i fatti sono raccontati dal punto di vista delle vittime. Nella storia i fatti sono di nuovo, per così dire, falsificati dall'ignoranza. Come, ad esempio, è accaduto con gli ebrei ripetutamente e con le streghe. Ecco, leggere sotto questo punto di vista le relazioni svela il modo in cui in caso di crisi la violenza si incanala sempre verso le vittime più deboli. Queste sono individuate per qualche carattere specifico, vengono considerate mostruose, malate, pazze, deformi, zoppe, straniere e spesso lo sono davvero. Ogni volta che si ha la sensazione che sia in pericolo la nostra sicurezza e si individua nell'altro qualcuno di questi motivi siamo per strada nel costruire un capro espiatorio. In "Les animaux malades de la peste", La Fontaine lo suggerisce mirabilmente. Il favolista ci fa assistere al processo della malafede collettiva che consiste nell'identificare nell'epidemia un castigo divino. Il dio della collera irritato da una colpa, seppure non condivisa egualmente da tutti, diffonde l'epidemia. Per allontanare il flagello bisogna scoprire il colpevole e trattarlo di conseguenza o piuttosto, come scrive La Fontaine, "offrirlo in voto" alla divinità. I primi interrogati sono le bestie carnivore che descrivono bonariamente il loro comportamento di predatori, che è immediatamente scusato. L'asino viene per ultimo ed è lui, il meno sanguinario e, per questo, il più debole e il meno protetto, alla fine ad essere designato.

Franco Insalaco

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